domenica 23 novembre 2025

Dipendente da un antidepressivo




La storia che sto per raccontarvi è assurda e molti di voi nel leggerla non ci crederanno, ma non importa. D'altra parte, non c'avrei creduto nemmeno io fino a qualche tempo fa, fino a quando, cioè, non ho provato sulla mia pelle che gli antidepressivi non sono proprio sicuri come mi era stato fatto credere, soprattutto se li si assume per diversi anni. Quindici nel mio caso. 

È cominciato tutto il maledetto giorno in cui ho dovuto sottopormi alla biopsia al seno, nel 2010. Ero in ansia, non riuscivo a dormire e mi rivolsi a uno psichiatra di cui mi fidavo molto. "La depressione può influire anche sulla prognosi della patologia oncologica", affermò con convizione quando la diagnosi venne confermata. In realtà, depressione non ne avevo. Paura si, tanta e legittima. Pensai, però, che la depressione mi sarebbe forse potuta venire a causa della paura e dell'odissea di trattamenti e controlli che avrei dovuto affrontare. "Certo che deve prendere gli psicofarmaci", mi esortò un senologo. E allora via: xanax a colazione, pranzo e cena, sertralina che però riduceva l'efficacia del tamoxifene per il cancro al seno - come scoprii da sola su internet mentre lo psichiatra si difendeva dicendo di non essere un oncologo e l'oncologo dicendo di non essere uno psichiatra - escitalopram e infine il farmaco che se solo dimentichi una dose rischi di finire con la camicia di forza, la venlafaxina. Anche in quest'ultimo caso, avevo dovuto cercare da sola una molecola che non interferisse con il tamoxifene. "Guardi un pò su google", mi disse lo pschiatra nonsonounoncologo con nonchalance poco prima che gli sganciassi 150 euro per la visita. 

La venlafaxina mi ha cambiato la vita come nemmeno il cancro è riuscito a fare. Se dimenticavo di prenderla anche solo per un giorno venivo assalita dai sintomi più disparati: ansia, angoscia, crisi di pianto, parestesie, paralisi del sonno, diarrea, perdita dell'appetito. Questo, però, non era che un leggerissimo assaggio di quello che sarebbe successo quando, nel 2024, a seguito dell'innalzamento dei valori della fosfatasi alcalina, dovuto probabilmente alla venlafaxina [qui], ho provato a ridurne la dose seguendo le istruzioni fornitemi dallo psichiatra. Che non fosse un'impresa facile avrei dovuto capirlo dal suo "non tutti riescono a sospendere questo farmaco". Un particolare omesso al momento della prescrizione. Nel corso di 14 settimane, tra febbraio e i primi di maggio 2024, sono passata da 75mg a 37.5mg. Pensavo di essermela cavata con tanta stanchezza e dei forti mal di testa. A giugno, però, ho iniziato a svegliarmi all'alba con ansia e forte sudorazione alle mani e a non avere appetito fino a sera. Ero molto presa dal lavoro e gli ho attribuito queste manifestazioni. A fine agosto, alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti, dove dovevo restare per sei mesi, è arrivato il terrore. Mi svegliavo in preda al terrore. Terrore di tutto. Di alzarmi dal letto, di andare in bagno, di uscire di casa, di partire. Ho attribuito la cosa allo stress pre-partenza. Arrivata negli Stati Uniti, la situazione è andata fuori controllo: insonnia completa, scariche elettriche lungo la schiena, sudorazioni notturne profuse, anoressia, conati di vomito, rigidità muscolare, crampi, movimenti involontari delle gambe, disperazione, terrore, pensieri e ricordi intrusivi, incapacità di rimanere ferma. Comincio a pensare all'antidepressivo. Una ricerca online mi rivela l'esistenza di un mondo sconosciuto: quello delle persone affette da sintomi di astinenza causati dalla sospensione o anche dalla semplice riduzione della dose. Riunite in forum e gruppi di Facebook, si scambiano consigli su come porre rimedio alla destabilizzazione del proprio sistema nervoso causata dalla dipendenza fisica indotta da questa classe di farmaci, non diversa da quella causata dalle benzodiazepine, e come deprescriverseli in maniera sicura. Di tutto questo i medici, sia quelli di medicina generale che gli psichiatri, non hanno idea. La maggior parte nega che gli antidepressivi causino dipendenza fisica e scambia i sintomi di astinenza per una ricaduta della depressione per la quale l'antidepressivo era stato prescritto, riprescrivendo lo stesso farmaco e, non di rado, aggiungendone altri che non fanno che peggiorare la situazione. Peccato che in molti casi, all'origine dell'assunzione dell'antidepressivo non ci sia nessuna depressione. La venlafaxina, ad esempio, viene utilizzata per controllare i sintomi della menopausa, l'emicrania, il dolore cronico. Alla sospensione, però, l'astinenza si manifesta lo stesso. Tra i frequentatori di uno di questi forum, Surviving Antidepressants, fondato nel 2011 da Adele Framer, affetta per anni da sindrome di astinenza prolungata causata dalla paroxetina [qui], c'è persino uno psichiatra. Non uno qualsiasi, ma un ricercatore, addottoratosi al King's College di Londra con una tesi sulla neurobiologia della depressione e la farmacologia degli antidepressivi. Si chiama Mark Horowitz e quando, al termine del dottorato, ha provato a sospendere molto lentamente l'escitalopram ha visto la sua vita implodere arrivando per la prima volta a meditare il suicidio [qui] . Col supporto di Framer e degli altri utenti di Surviving Antidepressants, è riuscito finalmente a liberarsi dell'escitalopram senza rimetterci le penne e ha messo a punto un metodo sicuro per la deprescrizione degli antidepressivi [qui]. 

Horowitz, che attualmente lavora a Londra presso l'ambulatorio per la deprescrizione degli psicofarmaci del National Health Service [qui], inorridisce quando gli descrivo lo schema di riduzione della venlafaxina che ho seguito. Mi spiega, inoltre, che, insieme a duloxetina, paroxetina e disvenlafaxina, la venlafaxina è uno degli antidepressivi col più alto rischio di provocare sintomi di astinenza [qui] e mi diagnostica una sindrome di astinenza prolungata che, in parole povere, significa che il mio sistema nervoso è stato messo sotto sopra e non si sa quanto tempo impiegherà a riprendersi. Certo non giorni, speriamo mesi, ma potrebbe anche trattarsi di anni. Mi consiglia di aumentare con molta cautela la dose di venlafaxina aprendo la capsula e contando gli sferoidi che sono contenuti all'interno, cosa che faccio ma non sortisce gli effetti sperati o almeno non del tutto. 

A distanza di quattordici mesi dalla fase acuta di settembre 2024 sono ancora soggetta alle cosiddette "windows and waves" che caratterizzano la sindrome da astinenza [qui]: i sintomi si riacutizzano e si affievoliscono a seconda di come gli gira, con assoluta imprevedibilità. La mia vita è quindi sospesa da quando, dopo aver perso parecchi chili in soli quaranta giorni, sono stata costretta a fare ritorno anticipato a casa rinunciando a una fellowship in una prestigiosa università statunitense e, cosa ben peggiore, a condurre un'esistenza normale. La riduzione troppo rapida e impropria della venlafaxina ha fatto sì che il mio corpo e il mio cervello si rivoltassero contro di me trasformandosi in camere di tortura e non è dato sapere quando torneranno in equilibrio.