venerdì 22 novembre 2019

Di cancro al seno, maternità e scherzi del destino

Una nostra lettrice, che preferisce rimanere anonima, ci ha inviato questo testo. Lo pubblichiamo volentieri perche` ci sembra offra spunti di riflessione sul diritto a scegliere di non sottoporsi a terapie come quella ormonale che, e` bene ricordarlo, non "curano" il cancro al seno ma si limitano a ridurre le probabilita` di recidiva, soprattutto locale, e comportano effetti collaterali pesanti tra cui, nel caso del tamoxifene, anche un aumento del rischio di cancro dell'endometrio.

Io e il mio compagno viviamo insieme ormai da moltissimi anni. Figli non ne sono arrivati. E non abbiamo mai voluto forzare la situazione. Per noi è stato naturale accettare che la natura volesse così.

Poi un giorno, quando ormai avevo più di 40 anni arriva, totalmente inaspettata, una gravidanza. Un fulmine a ciel sereno. Ero talmente confusa da non sapere se essere felice. Diciamo che era una felicità piena di paura.

Dopo alcune settimane, in modo altrettanto inaspettato arriva l’aborto spontaneo, doloroso per il corpo e per l’anima. Era come se avessi potuto intravedere da una porta socchiusa il mondo della maternità, per qualche istante appena. Poi, un colpo di vento ha fatto sbattere la porta e sono rimasta chiusa fuori, attonita.

Ero più confusa di prima.

Diciamo che non ho avuto tanto tempo per riflettere sull’accaduto, sia perché il dolore era ancora troppo forte e sia perché, dopo alcuni mesi, a completare il quadro, è arrivata la diagnosi di cancro al seno.

Visite, intervento, terapie oncologiche e nel frattempo il simpatico spettro della terapia ormonale di 5/10 anni che, vista l’età, avrebbe cancellato definitivamente la possibilità di avere figli.

In realtà ci avevo già rinunciato da tempo ma quella gravidanza lampo mi aveva aperto una possibilità inaspettata. Quindi che fare? Mi sono consultata con un centro specializzato che, come pensavo, mi ha confermato che le possibilità di una gravidanza erano bassissime.

Ma non me la sono sentita di essere io a sbattere la porta. Ho lasciato fare anche in questo caso alla natura e ho rifiutato la terapia ormonale.

Ormai sono passati alcuni anni. Figli non ne sono arrivati e recidive o metastasi nemmeno. Prima che passino i vent’anni dalla diagnosi manca ancora parecchio tempo, ma vivo alla giornata e per ora va bene così.

Certo, mentirei se dicessi che è tutto facile. Ho rinunciato alla terapia per un figlio che non è mai arrivato. A volte sembra normale, altre volte tornano a galla desideri e rimpianti. Non ne faccio certamente una tragedia, in fondo finora sono stata fortunata rispetto a molte altre donne. Ma ho ancora bisogno di tempo per elaborare, la cicatrice non si è ancora rimarginata.

Per affrontare questa scelta mi sono protetta. Pochissime persone conoscono il motivo per cui ho rifiutato la terapia. Non ero pronta ad accettare facili giudizi, certamente in buona fede, ma taglienti come lame. E non sono pronta ad accettarli nemmeno ora.

Però sento di dover condividere la mia storia. Certo, un po’ per liberarmene (le Amazzoni furiose mi perdoneranno per questo), e un po’ per portare un punto di vista. Per far sentire che non ci sono strade tracciate. Che ognuna di noi, nel suo viaggio, percorre strade diverse.

E che le scelte di ognuna di noi sono sacre e come tali vanno rispettate e non giudicate. Possiamo confrontarci, informarci, ascoltare compagni, medici, amici e consulenti. Ma alla fine solo il nostro giudice interiore sa cosa è giusto per noi, ed è solo ascoltandolo che riusciamo a convivere ogni giorno con le conseguenze delle nostre scelte.

domenica 10 novembre 2019

Ha da passà Ottobre. Una proposta

Anche quest’anno si esce stordite dal mese in rosa.

Dopo qualche considerazione una proposta su cui lavorare in attesa del prossimo ottobre.

Il tumore al seno è più che rilevante per le donne e un tema più che importante di sanità pubblica e sociale. I numeri sono veramente significativi e necessitano ben più che semplice attenzione: 53.000 nuove diagnosi anno (fonte Numeri del Cancro 2019). Alla domanda “conosce tra parenti e amici donne con diagnosi di tumore al seno”, circa il 70% di una coorte di donne sane  partecipanti a uno studio sullo screening mammografico ha risposto sì (studio DonnaInformata).

Con questi numeri è evidente che l’attenzione non può che essere elevata, a tutti i livelli – personale e collettivo.
Con questi numeri c’è da chiedersi a che punto sia la ricerca sulle cause del tumore, perché non ci sia attivo un registro di patologia, chi decide l’agenda della ricerca, quanto sia soddisfacente l’informazione cui hanno accesso le donne, perché i programmi di screening non siano ugualmente distribuiti sul territorio. Le terapie farmacologiche hanno portato in questi anni ad una maggior sopravvivenza, ma molte donne ricadono anche dopo molti anni, per molte donne che ricadono la qualità della vita è il problema. E il vaccino? 
Con questi numeri qual è il valore aggiunto dei nuovi farmaci? Al momento su clinicaltrials.gov sono registrati circa un centinaio di trial fase 2 e 3 attivi in Italia, la maggior parte di sponsor aziendale, dov’è la ricerca indipendente? 

La narrazione sul tumore al seno necessita di ridiscussione, soprattutto per quella dei media, degli Istituti di Ricerca, delle Aziende nonché delle Associazioni. Le capacità di reazione delle donne sono importanti e stupefacenti, le singole esperienze meritano spazio e rispetto per le diverse sfaccettature di volta in volta sottolineate ma, nel complesso, la narrazione è spesso enfatica, di carattere paternalistico e non di condivisione o di partecipazione. Spesso è più un affidarsi che non un prenderne parte. I messaggi sono molto vari, spesso con scarso rispetto delle prove scientifiche disponibili. 

I tanti gruppi di aiuto nati sulla esperienza di tumore al seno sono esemplari, fanno molto lavoro locale – spesso l’unico riferimento, soprattutto nelle piccole realtà. Il coordinamento è tuttavia difficile, la formazione di chi si interfaccia a livello locale o meno con le Istituzioni è molto differente, gli inviti a collaborare vanno ben soppesati tra forma e sostanza. Molte donne non si riconoscono direttamente in queste realtà. 

Gli interessi verso la malattia: ci sono e sono tanti. Se guardiamo al panorama italiano non c’è alcun dubbio che sia ampia la schiera di operatori sanitari che si prodigano per offrire le migliori cure e la migliore qualità della vita, Tanti ne abbiamo conosciuti, così come valida, anche se territorialmente disomogenea, l’esperienza delle breast unit. Tuttavia va riconosciuta anche l’esistenza di un mercato che fortemente influenza le scelte delle donne sia nell’approccio alla diagnosi precoce, sia sul tema della prevenzione primaria sia al momento delle scelte del centro cui rivolgersi. Dalla spinta ad esami di diagnosi precoce in fasce di età in cui non c’è dimostrata efficacia, alla spinta da parte di aziende farmaceutiche per attivare collaborazioni con le associazioni di pazienti, alla scarsa trasparenza dei rapporti con gli sponsor aziendali (associazioni, medici e società scientifiche).

E allora una proposta.

Questo mese in rosa che ci inonda in modo disordinato di informazioni, storie di malattia, speranze, patemi e angosce, spinge a esami inutili, mette la cittadina in uno stato di ansia e preoccupazione è possibile trasformarlo in una occasione per la ricerca scientifica? Sarebbero disposti tutti gli attori di questa rappresentazione a convogliare sforzi e operatività per la creazione di un fondo unico indipendente per la ricerca dedicato al tumore al seno? Si potrebbe lavorare veramente congiuntamente per arrivare nel 2020 con un modello innovativo di mese in rosa? E come stabilire le priorità per il finanziamento dei progetti? Con metodo: chiedendolo alle donne, alle associazioni e ai clinici, stabilendo un elenco di priorità e destinando i fondi tramite un modello di assegnazione trasparente e indipendente.

Grazia De Michele e Paola Mosconi

Commenti, adesioni e proposte a: 2019rosapink@gmail.com

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