Annamaria Felisa era una donna normale. Insegnava scienze in un liceo bolognese. Aveva un marito e due figlie. Nel 2005, a 43 anni, si era ammalata di cancro al seno. Un tumore non particolarmente aggressivo in apparenza, tant'e` che non aveva intaccato i linfonodi, ma che, nel 2013 si e` ripresentato in forma metastatica.
Annamaria e` morta ieri. Aveva 55 anni. Ogni giorno in Italia 33 donne muoiono di cancro al seno. Ieri e` toccato ad Annamaria, domani potrebbe essere qualunque altra. Finche` non alzeremo seriamente la voce la situazione non cambiera`. Annamaria lo sapeva e, nonostante le sue precarie condizioni di salute, ad ottobre ci aveva parlato della sua situazione previdenziale e della sua storia di malattia.
Riproponiamo di seguito l'intervista e ci stringiamo a tutti i suoi cari.
D: Quanti anni hai e quando ti sei ammalata di cancro al seno?
R: Ho 55 anni, mi sono ammalata di tumore al seno nel 2005 a 43 anni.
Sono metastatica da fine 2013 (51 anni).
D: Che lavoro fai e come è cambiata la tua situazione lavorativa a seguito della diagnosi (sia iniziale che di metastatica)?
R: Sono docente di scuola superiore: insegno Scienze in un liceo di Bologna (ho laurea in biologia, specialistica in biochimica marina e 9 anni di borse di studio).
Nel 2005 (anno del tumore primario al seno, avevo 43 anni) insegnavo alle scuole medie e avevo una figlia di 4 e una di 9 anni. A seguito dell’operazione (quadrantectomia) e per effettuare la chemioterapia ho preso 8 mesi di grave patologia (15 ottobre 2005 – 15 giugno 2006). Il mio tumore primario non aveva intaccato i linfonodi , era un “banale” G2 (ER+ 95%, PRG+ 95%, Her2 -) molto ormonoresponsivo e nel mio caso il piano terapeutico ha previsto la FEC 50 (6 cicli di chemio) , la radioterapia, un anno di enantone e 5 anni di tamoxifene .
Dopo gli 8 mesi di grave patologia, prendendo enantone e tamoxifene e con figlie piccole, sono tornata a lavorare a tempo pieno. Così ho fatto per diversi anni, persino nel 2011 e 2012 quando purtroppo ho "vinto" anche un tumore di basso grado alla vescica dovuto alla chemio fatta nel 2005 (effetto collaterale delle mitiche "rosse") e ho subíto, lavorando, installazioni locali di chemio (in vescica ).
Le metastasi del cancro al seno sono comparse a fine 2013 ed erano 3 anni e mezzo che avevo finito il tamoxifene (non prendevo NULLA insomma).
La diagnosi di metastaticitá mi ha buttato nel panico perché a suo tempo, facendo la chemio, mi avevano detto che avevo il 98% di possibilità di guarire (solo dopo molto tempo ho capito che le statistiche di cui parlano gli oncologi si riferiscono ai 5 anni e io effettivamente per 8 anni e mezzo ero apparentemente guarita!!). Non avendo avuto i linfonodi intaccati e avendo fatto tutta la profilassi , nessuno mi aveva paventato la possibilità di metastasi dal torrente circolatorio cosa che invece è ciò che è successa a me.
Da gennaio 2014 a giugno 2014 ho nuovamente preso 6 mesi di grave patologia perché prima mi hanno fatto la radioterapia su di una vertebra (unico punto che brillava alla PET) e solo dopo alcuni mesi hanno capito, con PET negativa e marker bassi, che avevo metastasi dal seno nelle ovaie. Ho tolte le ovaie a febbraio 2014 e da gennaio 2014 preso aromasin e zometa (flebo ogni 28gg). Sono tornata di nuovo a lavorare come metastatica, ma dal 2014 ho richiesto il part time per motivi di salute perché fra analisi, flebo, controlli e visite facevo troppe assenze e, insegnando, non si può perché lasci sempre le classi scoperte, per cui mi sono AUTOTASSATA rinunciando a parte dello stipendio in quanto malata e per non creare troppi disservizi .
Ho lavorato così per due anni (in questo periodo ero NEAD (-No Evidence of Active Disease, ndr- cioè PET e TAC PULITE) fino a marzo 2016 quando ho avuto un peggioramento notevole con metastasi nel basso peritoneo, fegato e inoltre alle ossa. Il peggioramento è stato causato dal fatto che, quando aromasin ha smesso di funzionare (ottobre 2015), mi hanno somministrato un ulteriore terapia ormonale (fulvestrant) per 4 cicli e purtroppo, mentre io allegramente lavoravo, il mio tumore NON ha risposto al fulvestrant. In soli 4 mesi mi sono riempita di metastasi nel basso peritoneo e nel fegato e anche nelle ossa (lesioni osteoaddensanti). A marzo 2016, prima di iniziare chemio, ho persino dovuto mettere uno stent all’uretere destro perché la metastasi peritoneale rischiava di occluderlo.
D: Che terapie fai per il cancro al seno metastatico e quali sono i loro effetti collaterali?
R: Da marzo 2016 sono di nuovo in grave patologia (ho lo stipendio part time ma sto a casa). Prima ho fatto 10 abraxane (chemio in endovena) poi, per leggero peggioramento epatico, da novembre 2016 sono sotto terapia con capacetabina e vinorelbina.
Purtroppo da pochi giorni so che il CEA è salito molto e anche se la TAC era stabile la PET ha evidenziato una ripresa notevole nelle ossa e un fegato ancora con metastasi (in tutto questo tempo infatti il tumore è regredito solo nel peritoneo consentendomi di togliere lo stent a marzo 2017- per il resto ho avuto “stabilità”). Perciò dalla prossima settimana inizierò eribulina (flebo che causa perdita di capelli oltre a vari effetti collaterali) e xgeva per la mineralizzazione delle ossa.
A suo tempo gli effetti collaterali di abraxane sono stati perdita totale di capelli e sopracciglia, stitichezza, neuropatia e dolore forte alle gambe, stanchezza per almeno 3 giorni dopo la chemio ( da stare a letto o sul divano ) e anche nei giorni dopo non ero energeticamente normale. Della terapia che ho appena sospeso, capacetabina la reggevo bene (unghie deboli e gonfiore addominale) e se avevo solo quella ci provavo a tornare a lavorare con il part time, ma vinorelbina per me è stata devastante sia per il sistema immunitario sia per l’intestino: grande stitichezza, forti neuropatie, globuli bianchi e piastrine sotto la norma sempre. Alla luce dei recenti peggioramenti io francamente vorrei stare a casa e non pensare più al lavoro.
D: Ti senti abbastanza in forma per lavorare?
R: Il mio lavoro richiede energia, si sta in classi di 28 alunni, si parla 5 ore di seguito sempre in piedi e camminando, si fanno continuamente scale (nella mia scuola molto ripide) passando da una classe all’altra con portatile in mano e borsa stracolma di libri, a pomeriggio si devono preparare le lezioni e le verifiche e correggerle. Chi insegna sa che e' un lavoro impegnativo anche per una persona normale (specie di 55 anni) e nel mio caso io sarei immunodepressa e credo proprio che non mi faccia bene prendere l'autobus alle 7 del mattino ne' infilarmi in classi con 28 alunni (con influenze , mononucleosi, gastroenteriti, raffreddori ecc), non posso portare pesi per via delle metastasi alle vertebre (pc, libri? Chi li porta?), sarei lenta a fare le scale e pertanto penso di non avere la salute necessaria per insegnare. In fondo sei sempre davanti a 28 spettatori e non amo mettere in piazza le mie fragilità!! Per concludere direi che 19 mesi di chemio ininterrotta hanno anche inficiato la mia memoria (non ricordo i nomi delle persone per dirne una e come sappiamo ci sono molte pubblicazioni sul “cervello da chemio”). Insomma sarei un rottame che insegna.
D: Se a marzo 2018 (fine dell’attuale grave patologia) decidessi di lasciare il tuo lavoro ti spetterebbe una pensione di inabilità e se sì a quanto ammonterebbe?
R: Da quanto mi ha detto il medico legale del patronato (CGIL) in data 12/10/2017 lei non richiederebbe per me la pensione di inabilità perché "parlo , ragiono e cammino " e in Emilia Romagna,a suo dire, la danno solo a chi è infermo in un letto. Secondo lei avrei diritto ad un ricollocamento che significa finire in segreteria, ma non so se con lo stesso stipendio e lo stesso orario (ho voci molto contraddittorie al riguardo). Se rientro a lavorare a scuola manterrei il mio stipendio e il mio orario cioè con il part time 12 ore frontali (più almeno 20 a casa in nero a preparare lezioni e correggere verifiche): devo pensarci bene.
Il consiglio del medico del patronato è stato velatamente quello di tornare in classe perché se accetto di andare in segreteria devo lavorare a luglio e agosto mentre come docente starei a casa. E’ vero, ma penso che così facendo sicuramente mi ammalo prima di luglio e agosto e in effetti se defungo risparmiano tutti (no terapie, no pensione ecc)!!
Nella mia esperienza il cancro mi ha colpito duramente quando ero sotto pressione (come se avessi avuto un calo di difese immunitarie) e la scuola ha giocato un grosso peso nella genesi del mio stress (ansia da prestazione, continue riunioni, progetti, verifiche , alunni da recuperare, approfondimenti, stages, lezioni ecc). Io penso che il cancro sia una malattia che richiede al corpo molta energia (per resistere alle terapie, per non ammalarsi in quanto immunodepressi, per resistere a TAC e PET). Occorre stare tranquilli, prendersi il proprio tempo, fare le cose che ci piacciono, mangiare bene, sforzarsi comunque di uscire e camminare e/ o fare attività fisica . Come si fa a pensare che uno che va a lavorare, anche in segreteria, abbia poi ancora le energie per fare tutto ciò? Inevitabilmente peggiorerei più in fretta secondo me. Poi io dovrei lavorare sotto chemio a vita (con le attuali terapie non c’è guarigione) e cioè dovrei morire lavorando e presentarmi ogni giorno al lavoro (qualunque esso sia) sempre più rovinata. Io ho una mia dignità, se fosse possibile eviterei.
Alle mie obiezioni il medico del patronato ha risposto testuale: "i malati di cancro vogliono lavorare". Ho solo 20 anni di contributi: può essere una mia scelta uscire dal mondo del lavoro anche con una pensione bassa (che avrei in realtà voluto essere almeno pari alla pensione minima di vecchiaia) in modo da "godermi", fra una terapia e l'altra, il po' di vita che mi resta?
Si parla di adeguamento delle pensioni alle aspettative di vita: non vale anche per chi e' destinato a vivere poco ( ho metastasi ossa, basso peritoneo e fegato e dovrò fare chemio a vita)? o devo morire lavorando?
Con rabbia osservo che intanto continuiamo a pagare baby pensioni a persone che vivono alle Canarie o in Grecia e sono in salute (l’hanno avuta con molti meno contributi di me ricordo), continuiamo ad elargire pensioni d'oro ai senatori e pensioni molto esose alle vedove dei senatori della prima repubblica del dopoguerra. Vi sembra equo?
D: A quanto ammonterebbe la tua pensione se te la dessero?
R: AH! AH! Se ottengo la pensione di inabilità, da quanto mi hanno detto a voce al patronato, saranno circa 400 euro a cui potrei aggiungere l'assegno di invalidità civile (circa 270 euro credo). Sottolineo che a tutt'oggi non ho mai goduto ne' di assegno di invalidità (perché il part time supera il tetto di reddito previsto) ne' tanto meno di accompagnamento (pur essendo in chemio da marzo 2016). In altre Regioni so che, anche chi ha solo metastasi ossee e non fa chemio ma solo terapia ormonale, percepisce l’accompagnamento. Non mi sembra giusto francamente (in Emilia Romagna solo se non sei autosufficiente o non deambuli).
Inutile dire che con due figlie ancora in casa (16 e 21 anni) quei pochi soldi nemmeno li vedrei, ma almeno avrei più energie per combattere la malattia. Se invece tornerò a lavorare a scuola (o chiederò il ricollocamento ) i soldi saranno comunque i pochi di sempre (1300 euro), ma con meno energie. Devo decidere .
Sottolineo che ho SOLO vent’anni di contributi non perché ho bighellona. Tutti i laureati (medici, avvocati ecc.) in Italia si sottopongono a lunghi tirocini mal pagati prima di avere un lavoro stabile. Nel mio caso ho avuto 9 anni di borse di studio senza versamento di contributi pensionistici da ASL , Regione Emilia Romagna (la stessa che ora mi ritiene abile per il lavoro), Provincia, Università ecc. perche’ lavoravo sull’ambiente. Ai concorsi arrivavo sempre seconda o terza. Poi quando hanno istituito le ARPA hanno impiegato circa sei anni per fare regolari concorsi e nel frattempo io sono entrata di ruolo a scuola. In seconda battuta, dal 1990 al 2000 non ci sono stati concorsi a cattedre nella scuola (come diventavo di ruolo se non c’erano concorsi?). In terza battuta, per riscattare laurea e specialistica mi chiedevano 40000 euro (però vedo che è allo studio in questi giorni una delle solite leggi una tantum tipicamente italiane per riscattare GRATIS laurea e specialistica a chi è nato dopo un certo anno; ovviamente non vale per me). Insomma se avessi tutti questi contributi ne avrei ben 35 di anni contributivi! In ogni caso, visto che la pensione di inabilità al lavoro viene erogata subito e non a 67 anni come per le altre persone (magari potessi aspettare i 67 anni!) anche con molti contributi sarebbe comunque molto decurtata: 400 euro di pensione di inabilità sono davvero pochi , non sono nemmeno la pensione di minima sussistenza!!! Vi sembra equo? Mah... mi sa che sono una tipica storia italiana...