lunedì 8 gennaio 2018

Per un giornalismo scientifico serio

Il Corriere della Sera/Sportello Cancro ha pubblicato qualche giorno fa l'ennesimo articolo fuorviante sul cancro al seno. Non e` l'unica testata a farlo, sia chiaro. Questo articolo, pero`, ci ha colpite particolarmente per i motivi che leggerete nella lettera che abbiamo deciso di scrivere all'autrice del pezzo Vera Martinella e che riportiamo di seguito. Una lettera che non avremmo voluto scrivere, ma che speriamo offra l'occasione per aprire un dibattito sul pessimo stato del giornalismo riguardante il cancro al seno in Italia.
La lettera e` stata firmata da 23 donne che per motivi personali e professionali conoscono molto bene il cancro al seno. Accanto ai nomi molte di loro troverete frammenti della loro storia di malattia che non si conformano con l'immagine edulcorata che ne forniscono i media. Hanno scelto di condividerli spontaneamente perche` evidentemente sentono il bisogno di far sentire la propria voce fuori dal coro dei nastri rosa. Un gesto significativo, che merita attenta riflessione.

"Gentile Vera Martinella,

Le sottoscritte desiderano esprimere profondo disappunto per il contenuto del suo articolo dal titolo “Tumore al seno: donne vive dopo la diagnosi aumentate del 26 per cento” pubblicato su Corriere della Sera/Sportello Cancro il 3 gennaio scorso.

La stampa italiana offre una rappresentazione del cancro al seno estremamente parziale e trivializzante. La stragrande maggioranza degli articoli sul tema, lungi dall’offrire una disamina completa e accurata delle evidenze scientifiche e delle esperienze di chi lo vive sulla propria pelle, è tesa ad esaltare acriticamente presunti balzi in avanti nella gestione della malattia attraverso una perniciosa manipolazione dei dati.

Il suo articolo costituisce un esempio lampante di tale tendenza. Sia il titolo che il testo riportano, senza il minimo riferimento alla fonte da cui i dati sono stati estrapolati, come “nel 2017 sono state 50.500 le nuove diagnosi, ma le prospettive per chi si ammala, soprattutto se la neoplasia viene scoperta agli inizi, sono ottime: in otto anni (tra il 2010 e il 2017) nel nostro Paese le donne vive dopo la diagnosi sono aumentate del 26 per cento e oggi, stando alle ultime rilevazioni dei Registri Tumori, sono 766.957 le italiane che hanno affrontato un cancro al seno”.

Queste cifre provengono, come abbiamo avuto cura di verificare personalmente, dal rapporto
AIOM/AIRTUM I numeri del cancro in Italia 2017 nel quale viene operata una distinzione molto chiara tra il numero di persone vive dopo un cancro e il numero di persone che dal cancro possono considerarsi guarite ovvero la cui “attesa di vita è paragonabile a quello della popolazione generale”. Nel caso del tumore ai testicoli, ad esempio, “la maggioranza dei pazienti guarisce, in particolare questo accade per il 94% delle persone”. Nel caso del cancro al seno femminile, prosegue il rapporto, “va notato, invece, che [...] l’eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale diventa trascurabile solo dopo circa 20 anni dalla diagnosi. Ne consegue una stima di donne guarite di appena il 16%, circa 90.000 donne, anche se le altre, che pure mantengono un rischio di mortalità superiore a quello delle loro coetanee non affette da tumore, nella maggior parte dei casi non moriranno a causa della malattia”. Non è un caso che le terapie per i tumori ormonoresponsivi siano state prolungate da 5 a 10 anni con tutto ciò che ne consegue in termini di effetti collaterali che includono persino il cancro dell’endometrio nel caso del tamoxifene, grave osteoporosi nel caso degli inibitori dell’aromatasi, tossicità finanziaria e una ridotta qualità di vita.

Essere vive, dunque, non equivale affatto ad essere guarite come il suo articolo manca capziosamente di precisare. Anche le donne affette da cancro al seno metastatico sono vive, ma per loro non esiste al momento possibilità di guarigione, oltre al fatto che la loro esistenza, “pari a 43-50 mesi nelle forme HER2-positive e a 30-45 mesi nelle forme HER2-negative con recettori ormonali positivi”, è costellata da terapie estenuanti e continuate oltre che da controlli serrati con ricadute fisiche, psicologiche, familiari, affettive, lavorative ed economiche pesantissime. Di queste donne circa 12.000 l’anno muoiono a causa del cancro al seno, che costituisce a tutt’oggi la prima causa di morte oncologica nella popolazione femminile di tutte le fasce d’età.

A dir poco insultante per chi come noi è molto ben informata sul cancro al seno per ragioni personali e professionali è poi il riferimento a “studi che dimostrano come le donne operate in fase iniziale abbiano una prospettiva di vita persino migliore delle coetanee che non si sono mai ammalate”. Soltanto cliccando sul link a un altro suo articolo del 27 gennaio 2017 si scopre che detta affermazione si basa su un non meglio precisato “studio olandese” in cui “ricercatori del Cancer Institute Olandese hanno analizzato i dati relativi a circa 10mila donne del loro Paese che avevano avuto [tra il 1989 e il 2004] una diagnosi di carcinoma duttale in situ” da lei definito poche righe più sopra come “una forma iniziale di tumore al seno” e successivamente “una tipologia di cancro mammario nota per essere non invasiva, ovvero che non genera metastasi [che] può però, se non adeguatamente trattato, trasformarsi in un tumore invasivo e potenzialmente letale”. Il carcinoma duttale in situ non è una forma iniziale di tumore al seno, ma un tipo di cancro che per definizione, se non in rarissimi casi, non si estende nè ai linfonodi ascellari nè ad altri organi. Il cancro al seno in situ non mette dunque a rischio la vita di chi ne è colpita e non va confuso con il cancro al seno infiltrante che, invece, può e, in migliaia di casi l’anno, è effettivamente letale.

Saremmo inoltre interessate a sapere da dove provengono i dati a cui fa riferimento il professor Cognetti che sarebbe stato suo dovere di giornalista verificare.

Il cancro al seno è una malattia molto grave che colpisce e uccide ogni anno solo in Italia circa 12.000 donne. Finchè si continuerà a fare finta che la soluzione è ormai a portata di mano, non si metterà un freno nè alle diagnosi nè alle morti. È nostro diritto in quanto donne chiedere che la stampa offra un tipo di informazione adeguato alla gravità del problema di fronte al quale ci troviamo.

Distinti saluti,

Rosa Barbato, pensionata, operata di carcinoma mammario destro nel 2015

Samuela Barco, paziente metastatica

Enza Bettinelli, pensionata

Valentina Bridi, psicologa, malata di cancro al seno

Marianna Burlando, Psicologa SIPO Puglia

Maristella Campana, insegnante

Emanuela Cerutti, lavoratrice autonoma, operata nel 2008

Marina Colombo, educatrice, ora segretaria per patologie correlate al cancro

Manuela Curci, lavoratrice autonoma la cui migliore amica è morta di cancro al seno triplo negativo nonostante alla diagnosi il linfonodo sentinella fosse pulito

Nunzia Donato, disoccupata, prima diagnosi nel 2009, metastasi nel 2016

Grazia De Michele, ricercatrice, malata di cancro al seno

Annamaria Felisa, docente di Scienze al liceo scientifico, malata mestastatica da 4 anni nonostante non ci fossero linfonodi intaccati alla prima diagnosi nel 2005

Alberta Ferrari, chirurga senologa in centro di senologia certificato EUSOMA

Daniela Fregosi, lavoratrice autonoma (formatrice ed operatrice reiki), operata al seno nel 2013, attivista come Afrodite K

Camilla Gandolfi, paziente metastatica

Viviana Indino, insegnante

Isabella Paladini, lavoratrice stagionale in hotel, carcinoma mammario triplo negativo nel 2012 con mutazione del gene BRCA2 di significato ignoto

Maria Palumbo, paziente, operata sedici anni fa di cancro al seno sinistro e nel 2017 al destro

Angelica Perrone, studentessa

Angela Russo, casalinga

Vania Sordorni, professore universitario, Università degli Studi di Bologna

Carla Zagatti, psicoterapeuta, ora grazie al 100% di invalidità pensionata “fortunata”

Daniela Ventura, cassiera, prima diagnosi di cancro al seno nel 2010, recidiva nel 2013