sabato 29 ottobre 2016

Da Israele arriva il pinkwaRshing




La realta` supera la fantasia. E l'orrore. L'aereonautica israeliana ha tirato fuori dal cilindro degli sfavillanti e mortiferi caccia colorati di rosa in nome della prevenzione del cancro al seno. Perche` 'bombardare' le cellule cancerose non basta. Quella contro il cancro al seno e` una guerra a 360 gradi e puo` rivelarsi molto utile se serve a nascondere i crimini di chi massacra civili innocenti che, se non muiono sotto le bombe lanciate da aerei rosa - ah che dolce morte! - muoiono di cancro. A causa del blocco imposto da Israele ed Egitto a Gaza mancano i farmaci, inclusi quelli per le patologie oncologiche [qui]. Non solo, ma spesso ai pazienti e` negato il permesso di farsi curare presso ospedali fuori dalla Striscia. E` il caso di Nadia Abu Nahla al Bakri, direttrice del Women's Affair Technical Committee di Gaza e affetta da cancro al seno, a cui e` stata rifiutata la possibilita` di recarsi in ospedali fuori da Gaza per effettuare i controlli di cui necessita [qui].
Inoltre, e` di alcuni giorni fa l'appello delle donne malate di cancro al seno che denuncia la mancanza di farmaci e attrezzature mediche adeguate a Gaza e si rivolge al governo palestinese e alle autorita` internazionali perche` venga garantito il loro diritto a spostarsi per motivi di salute [qui].
Il pinkwaRshing israeliano copre tutto questo e molto altro. Sta a noi alzare la voce, piu` forte che possiamo, e smascherarne l'ipocrisia. 

mercoledì 12 ottobre 2016

Speranza, politica e vivere con il cancro al seno

In occasione della giornata del cancro al seno metastatico, pubblichiamo la traduzione del primo capitolo di So Much To Be Done, la raccolta di scritti di Barbara Brenner, edita da University of Minnesota Press, che sara` presentata a Bologna il 7 novembre prossimo [qui e qui]. Lo scritto e` stato pubblicato nell'agosto del 1995 all'interno della newsletter di Breast Cancer Action, di cui Barbara Brenner era allora presidente.

Trascorro molte ore la settimana a comunicare attraverso la rete con persone che si occupano di cancro al seno. In un recente scambio su internet con delle colleghe ho chiesto come dovremmo chiamarci noi che siamo state trattate per il cancro al seno. La discussione ha sollevato questioni importanti circa la relazione tra speranza e politica.

Non mi definisco una "sopravvissuta" al cancro al seno, ne` mi riferisco ad altre persone che hanno ricevuto la stessa diagnosi come a delle "sopravvissute". Il termine suggerisce - a torto - che il cancro al seno e` curabile. E` vero, grazie al cielo, che molte di noi vivranno a lungo abbastanza da morire di qualche altra cosa. Ma nessuna malata di cancro al seno potra` mai dire onestamente che il cancro non ritornera`. 

Per me, il termine "sopravvissuta" rimanda all'idea che non sono morta di cancro al seno perche` sono in qualche modo migliore o diversa dalle centinaia di migliaia di donne che sono morte di questa malattia. 

Non ho trovato una parola sola che esprima quello che voglio dire quando parlo della mia esperienza con il cancro al seno: che ha cambiato la mia vita per sempre e in molti modi, che il cancro mi uccida o no. La frase "vivere con il cancro al seno" e` un'opzione. Dice agli altri che e` possibile vivere con questa malattia, riconoscendo implicitamente che non tutte sono cosi` fortunate. Inoltre, comunica che la diagnosi e` un evento che cambia la vita. Tuttavia implica (come anche la frase "ho il cancro al seno") che la persona in questione e` in terapia o ne ha bisogno. [...]

Quando ho mandato queste idee al mio gruppo online sul cancro al seno, a una persona non e` piaciuta la frase "vivere con il cancro al seno" perche` riecheggiava il programma dell'American Cancer Society "Vivere con il cancro al seno" che, secondo lei, contiene paura e false speranze. Questa donna voleva concentrare l'attenzione sul bisogno di prevenire il cancro al seno. Un'altra del gruppo si chiedeva, in risposta, se dovessimo sacrificare la speranza pur di esercitare la pressione politica necessaria affinche` si trovino cure e misure preventive. 

Secondo l'American College Dictionary, speranza vuol dire "attesa di qualcosa di desiderato" o "fiducia in un evento futuro". Allo stato attuale, riporre aspettative o essere fiduciose che il cancro al seno, una volta trattato, non si ripresentera` e` una falsa speranza. Non c'e` cura per il cancro al seno. Dobbiamo far credere alle persone che una cura esista perche` altrimenti si sentiranno indifese di fronte alla diagnosi? Oppure dobbiamo far capire alle persone che non c'e` una cura se vogliamo aspettarci che l'epidemia di cancro al seno riceva l'attenzione di cui necessita?

Queste domande mettono in luce il punto in cui il personale e il politico - che di solito sono la stessa cosa - si separano. Le persone malate e i loro cari hanno bisogno di speranza. Hanno bisogno di credere che loro e i loro cari possono guarire perche` la speranza e` essenziale per l'animo umano. E in realta`, a volte, finite le terapie, per ragioni che nessuno puo` identificare, il cancro non ritornera`. La stessa terapia, pero`, in un'altra donna o in migliaia di alte donne, non garantisce la guarigione. Ed e` questo il fatto che deve muovere l'azione politica e che rende il lavoro di Breast Cancer Action cosi` importante. 

Finche` le persone continueranno a fingere che esiste una cura per il cancro al seno, le donne continueranno a morire per la negligenza che caratterizza questa malattia. Piu` di um milione di donne - tutte quelle a cui e` stata diagnosticata - vivono giorno dopo giorno con la possibilita` di una ripresa di malattia. Bisogna far capire questa realta` se  vogliamo esercitare una pressione reale sulle istituzioni governative, mediche e scientifiche perche` trovino un modo efficace per porre fine a questa epidemia. 

La polio era considerata un'emergenza sanitaria quando 50.000 persone all'anno si ammalavano e 3.300 ne morivano. Cosa ci vorra` perche` il cancro al seno riceva lo stesso tipo di attenzione? Ci vorra` che le donne che si sono ammalate e quelle a rischio (ossia tutte le donne) si facciano sentire circa il bisogno di cure e prevenzione. Quindi, visto che il personale e` politico, per quelli a cui interessa saperlo e per i molti a cui non importa, sono una donna che vive con il cancro al seno.

Barbara Brenner
Presidente

domenica 2 ottobre 2016

Barbara Brenner, la cattiva ragazza del cancro al seno




Ogni volta che qualche persona che conosco muore di cancro al seno scrivo un piccolo necrologio per ricordarla e ricordare che di cancro al seno si muore. Quando se n'e` andata lei non ci sono riuscita [qui]. E non certo perche` a portarsela via non e` stato il cancro al seno, ma la sclerosi laterale amiotrofica - quella SLA di cui si parla troppo poco - ma soprattutto perche` mai sarei riuscita a trovare le parole per descriverla.
Lei e` Barbara Brenner, la piu` grande attivista della storia del movimento politico contro il cancro al seno. Nata a Baltimora nel 1951, Barbara ricordava di aver partecipato a soli dieci anni, accompagnata dalla madre, ad una manifestazione culminata con un comizio di Martin Luther King. "Ero una bambina piuttosto saccente", aveva ricordato divertita in un'intervista.
Grazie ad una borsa di studio, nel 1969 era andata a studiare allo Smith College, dove aveva partecipato alle proteste studentesche contro la guerra del Vietnam. Successivamente si era iscritta alla facolta` di legge presso la Georgetown University, che aveva pero` lasciato una volta resasi conto che legge e giustizia non sempre si equivalgono. Trasferitasi a Princenton, aveva conosciuto Susie Lampert, destinata a diventare il grande amore della sua vita e la sua compagna. Quello di Princeton era un ambiente estremamente maschilista e omofobo, che Barbara mal sopportava. Appena Susie ebbe concluso i suoi studi, la coppia si trasferi` in California, prima a Los Angeles e poi a San Francisco. Li`, a Berkeley, Barbara si laureo` in legge e comincio` a lavorare come avvocata esperta in diritti delle persone LGBT.



Nel 1993, il cancro al seno. Barbara subisce una quadrantectomia, ma nel 1996, la malattia si ripresenta. Questa volta, il seno colpito viene rimosso interamente e Barbara sceglie di non fare la ricostruzione ne` di indossare una protesi per nascondere gli effetti della mastectomia. Nel frattempo, nel 1994, quando non ha ancora completato la chemioterapia a seguito della prima diagnosi, Barbara scrive una lettera sui finanziamenti per la ricerca sul cancro al seno al San Francisco Chronicle. L'allora presidente di Breast Cancer Action (BCAction), Nancy Evans, la contatta e le chiede di partecipare ad almeno una riunione del gruppo. Barbara e` titubante, ma alla fine si lascia convincere. L'anno successivo prendera` le redini dell'organizzazione, allora semisconosciuta, che sotto la sua guida sarebbe cresciuta fino ad assumere il ruolo informale di "garante" del movimento contro il cancro al seno.
Barbara definisce le attiviste di BCAction "le cattive ragazze del cancro al seno". Non ha peli sulla lingua, non teme il confronto alla pari con medici e ricercatori a cui pone domande che nessuno aveva mai osato fare. Il suo motto e` "fare le brave non serve a niente".
Nel 1998, BCAction decide ufficialmente di rifiutare qualsiasi donazione dall'industria farmaceutica e da aziende che producono sostanze anche solo sospettate di essere collegate alla malattia. Nel 2002, la campagna Think Before You Pink smaschera per la prima volta il colossale imbroglio che si nasconde dietro la vendita delle mercanzie piu` varie contrassegnate dal nastro rosa, imposto, attraverso un'operazione di marketing della casa di cosmetici Estee Lauder, come simbolo della malattia [qui]. Un neologismo - pinkwashing - coniato per l'occasione da BCAction serve a indicare la vendita di prodotti contenenti ingredienti tossici con la scusa di raccogliere fondi da devolvere alla ricerca [qui].
Dalle colonne della newsletter di BCAction, Barbara offre al grande pubblico un'analisi dettagliata ma accessibile di tutto quanto riguarda il cancro al seno, svelando le falle nell'organizzazione della ricerca e l'assenza di una strategia coordinata e coerente a livello globale per garantire terapie piu` efficaci e con meno effetti collaterali. Il suo interesse preponderante non e` certo la popolarita`, ma il il diritto alla salute e all'informazione per tutte le donne, malate e non, anche a costo di metterle al corrente di verita` poco piacevoli. L'attivismo, scriveva nel 2011, "serve rendere il mondo un posto migliore per chi lo abita [e] non e` per le persone poco coraggiose".


Anche quando le e` stata diagnosticata la SLA, nel 2010, Barbara non ha rinunciato al suo ruolo. Costretta a lasciare la direzione di BCAction un anno prima del previsto, apre un blog attraverso cui continuare ad dire la sua. Persa la voce e la mobilita`, utilizza una sedia a rotelle elettrica per spostarsi e un software per la sintesi vocale, in grado di trasformare in voce umana le parole che lei scrive con il computer.
Barbara muore il 10 maggio del 2013, annunciando lei stessa la sua fine prossima tramite il suo blog. A distanza di tre anni, una raccolta dei suoi scritti e` stata pubblicata dalla casa editrice University of Minnesota Press con il il titolo So Much To Be Done (C'e` tanto da fare) [qui]. Una lettura imprescindibile non solo per chi e` stato colpito dal cancro al seno o dalla SLA, ma per chiunque voglia fare qualcosa di concreto per cambiare le cose.
Il 7 novembre a Bologna presso l'aula 1 di Piazza Scaravilli 2 alle 18.30 ci sara` una presentazione del libro di Barbara Brenner, organizzata dal Centro di Salute Internazionale dell'Universita` di Bologna, dal Gruppo Prometeo, e dall'associazione Armonie a cui partecipera` anche Susie Lampert [qui]. Non perdete quest'occasione, unica in Italia, per conoscere e celebrare una donna e un'attivista straordinaria, il cui spirito indomabile non si spegnera` finche` continueremo a mettere in pratica quanto ci ha insegnato.