giovedì 1 luglio 2021

L'inferno e` tra noi

Rosa ha 55 anni. Ha una chioma di bellissimi capelli neri, gli occhi fieri. E' caldo e protettivo l'abbraccio che mi da Rosa il giorno in cui capisco che per mamma non c'e` piu` niente da fare. Mamma era dentro il reparto, a fare la penultima, inutile chemioterapia. Guardo le sue spalle scheletrite prima di uscire dalla sua stanza. All'uscita quel giorno, Rosa fa le veci della mia mamma. Mi asciuga le lacrime, mi abbraccia forte, mi dice che devo pensare anche un po` a me stessa, che sono diventata troppo magra, che mamma non vorrebbe vedermi ridotta cosi`. Restiamo all'aria aperta, nel sole di settembre, mano nella mano per un po`. Prepariamo insieme il piano sorriso per il ritorno a casa, in modo che papa` non si accorga di niente.

Rosa era l'infermiera che ci ha aiutato con mamma nel suo ultimo mese di vita. Oggi e` morta anche lei, di cancro alla vescica, uno di quei cancri per cui l'esposizione a sostanze tossiche rientra tra le cause certe. 

La scoperta del cancro di Rosa e` avvenuta otto mesi fa, durante la seconda ondata della pandemia di Covid. Il Covid non e` caduto dal cielo. I salti dei virus dagli animali agli uomini sono diventati sempre piu` frequenti a causa dei danni che il nostro sistema socio-economico sta causando all'ecosistema. Nostro poi, certo e` un sistema socio-economico non a beneficio dei piu`.

Fa molto caldo dove Rosa giace senza vita oggi, con i suoi cari intorno che la piangono, inclusa una figlia di diciotto anni. Non e` un caso. Come non sono un caso gli oltre 40 gradi che si stanno registrando in questi giorni in Canada.

L'inferno e` tra noi, costretti a lavorare e vivere come schiavi, le cui vite non vale la pena tutelare. Le "cure" per ogni sorta di malattie che ci colpiscono sempre piu` giovani non sono che promesse e non ci restituiranno quello a cui abbiamo diritto: una vita sana, non medicalizzata. Se non ce lo riprendiamo da soli non ce lo dara` nessuno.  

sabato 29 maggio 2021

Il 5X1000 a Codice Viola



 

Tempo di dichiarazioni dei redditi e di 5X1000. "A chi mi consigliate di darlo?", ci scrivono in tante. Fino ad ora non ci veniva in mente molto altro che le associazioni che si occupano di fornire assistenza nella fase terminale della malattia e che sopperiscono, meritoriamente, alle troppe carenze dello stato in questo ambito. Quest'anno abbiamo, invece, una risposta convinta per chi preferisse invece destinare il proprio 5X1000 alla ricerca. E la risposta e' Codice Viola, l'associazione impegnata a rompere il muro di indifferenza che circonda il cancro al pancreas. Il motivo e' molto semplice  e l'ha spiegato di recente la stessa associazione nel suo blog [qui]:

"chi deciderà di finanziare Codice Viola saprà a priori dove saranno impegnati i soldi raccolti e perché si è deciso di finanziare alcune iniziative. Inoltre siamo impegnati a cambiare il ruolo dei pazienti negli studi clinici richiedendo che vengano prese in considerazioni alcune istanze della nostra comunità"

A differenza di altre grandi fondazioni che si occupano di ricerca sul cancro e trattano le persone come salvadanai da cui tirare fuori soldi senza nemmeno premurarsi di spiegare a quale tipo di ricerca quei soldi saranno devoluti, la piccola ma preziosa Codice Viola e' trasparente, cristallina e mette al centro le reali necessita' dei pazienti. 

Anni fa vi avevamo invitate a fare agli organizzati delle innumerevoli iniziative organizzate in nome della raccolta di fondi per la ricerca sul cancro al seno le quattro domande suggerite da Breast Cancer Action. Una di queste era: "quali progetti riguardanti il cancro al seno saranno finanziati?". [qui]
Codice Viola non si occupa di cancro al seno, ma offre alle altre organizzazioni una straordinaria lezione di metodo. Chiarisce quali progetti verranno finanziati prima ancora che sia necessario chiederlo, come e' giusto che sia. Occorre dunque supportarne il lavoro, a prescindere dal tipo di cancro, affinche' anche gli altri si adeguino e capiscano che niente che riguarda i pazienti si puo' fare senza interpellarli e rappresentarne le istanze.

giovedì 29 aprile 2021

A Francesca

Permettimi, cara Francesca, di dissentire da te ancora una volta. E te lo devo dire, anche se sei morta, perche` ho troppo rispetto per la tua intelligenza che rimane qui con noi, nonostante il tuo corpo abbia smesso di esserne veicolo. Trovera` altri canali, ne sono certa.

Dunque, no, non sono d'accordo quando dici che non ti senti tanto speciale ad avere e morire di un cancro al pancreas al quarto stadio perche` la vita e` cosi`. Vero, la vita e` cosi`, Francesca, ma cosi` com'e` e` una vita molto ingiusta. E' una gran bella vita di merda! Non e` giusto, no, ammalarsi di cancro al pancreas a 50 anni, non e` giusto dover lasciare anzitempo un figlio adolescente, una madre e le tantissime altre persone che ti vogliono bene. Capisco, perche` me l'hai detto, che la tua priorita` e` stata dare loro quanta piu` serenita` possibile, al punto che hai voluto essere progressivamente meno presente nelle loro vite per rendere meno doloroso il distacco. Resta comunque il fatto che sono stati negati a te almeno altri 40 anni di vita e a loro, in particolare a tuo figlio, almeno altri 40 anni di vita con te. E questo fatto va detto e ribadito in ogni dove, dati alla mano e rabbia nel petto e sulla lingua, per quanto male possa fare. Perche` se la realta` non la guardiamo dritta in faccia in tutto il suo schifo e non la descriviamo per quella che e`, come facciamo a cambiarla?

E non sono d'accordo nemmeno sul fatto che, secondo te, i caregiver fanno troppo i chiagnazzari. Si, e` vero, certi cancro-gruppi da social sono un piagnisteo. Cazzo, non si rendono conto che, oltre a piangere e ricordare quanto hanno sofferto i loro cari prima di esalare l'ultimo respiro, fornendo tutti i dettagli sulla devastazione a cui un corpo ucciso dal cancro puo` andare incontro a persone che vivono con la stessa malattia e, giustamente, se la fanno sotto, potrebbero uscire dal loro privato e provare a dire una parola, fosse pure un vaffanculo, su quanto sia intollerabile che cosi` tante persone si ammalino e muoiano oppure mettere mano al portafogli e fare una donazione a Codice Viola. Ed e` pure vero, che visto lo stadio della tua malattia, alle lacrime dei tuoi cari non ci volevi nemmeno pensare. Pero`, ti assicuro, il loro dolore e` grande. E` un dolore silenzioso, che possono esprimere solo da dietro uno schermo, perche` nella vita di tutti i giorni, in questo grande circo distopico in cui le nostre esistenze sono state trasformate, tutti siamo chiamati a fare finta che "andra` tutto bene", che anche se mio padre o mia sorella o mia figlia sono morti di cancro bisogna sorridere che` "la vita va avanti". Molti, infatti, poi escono dai gruppi e tornano a interpretare il ruolo che il circo distopico gli ha cucito addosso invece di intraprendere la vera battaglia che non e` quella del singolo contro la malattia - che grandissima stronzata! -  ma quella per il diritto a vivere in salute quanti piu` anni possibile e, quando ci si ammala, ad avere a disposizione terapie efficaci e non tossiche.

Quindi, Francesca, ti ripeto, non sono d'accordo e bisogna che troviamo un modo per continuare questo confronto. Mamma si e` reincarnata in una farfalla e si fa vedere mentre svolazza nei prati, adesso che e` primavera. Tu hai gia` scelto in quale creatura sfottente, altruista e coraggiosa ti rincarnerai? Quando hai fatto, dammi una voce che` l'appiccico deve continuare. Vado, a rinnovare l'iscrizione a Codice Viola e fare una donazione a nome tuo, senno` ti incazzi e avresti anche ragione. A presto.            

venerdì 2 aprile 2021

Ai caregiver

 A chi ci tiene la mano, mentre, nel braccio, l'ago della flebo pizzica

A chi ci fa le iniezioni per anni

A chi fa tutto in casa e fuori quando la fatigue non ci molla

A chi ci prepara la colazione 

A chi salta di gioia perche` la mangiamo

A chi si finge interessato a Stuart Hall per scacciarci via la nausea

A chi sta sveglio di notte per piangere e gridare in silenzio

A chi di notte non riesce a dormire

A chi di notte crolla per la stanchezza

A chi guarda le stelle per mestiere ed esprime sempre lo stesso desiderio quando ne vede una cadente

A chi saccheggia il mercato perche` delle fragole si sente il sapore

A chi ci viene a trovare a sorpresa

A chi ci spedisce lettere e disegni e libri

A chi a forza di insistere alla fine ci fa ridere

A chi vorrebbe poter essere al posto nostro

A chi si infila di nascosto nel pronto soccorso per non lasciarci soli

A chi ci lava quando siamo allettati

A chi ci prepara le medicine se deve uscire

A chi non gli fa schifo niente, nemmno il vomito, la cacca, il catarro

A chi gli fa schifo tutto ma ci aiuta a pulirci lo stesso

A chi finge di non aver paura

A chi, dopo la fine, muore di dolore

A chi da paziente diventa caregiver e poi di nuovo paziente e caregiver insieme 

Grazie.

venerdì 8 gennaio 2021

Dio benedica Le Amazzoni Furiose

di Valentina Bridi

L'11 gennaio del 2016 mi sono svegliata con  la notizia della morte di David Bowie e con in testa stampato il suo ultimo video. I segni della malattia sul corpo, l'angoscia, la morte imminente. Dopo poche ore mi sono seduta di fronte a un chirurgo buono che con lo sguardo abbassato ha sussurrato un sì alla mia domanda secca Ho il cancro vero? 

Per tanto tempo ho pensato che nulla mi avrebbe resa più felice di trovarmi qui, dopo cinque anni, a scrivere sono Valentina ho 38 anni e sono passati 5 anni dalla mia Hiroshima. Sto bene. 

Ho pensato di poter dimenticare, ho sperato a lungo che come per magia tutto sarebbe tornato come prima. 

E invece quella ferita che mi ha squarciato in due é stata talmente brutale, profonda, radicale che la si può addobbare certo, si può imparare ad accettarla e perfino a nasconderla fino al punto di dimenticarsi qualche volta della sua esistenza, ma sarà sempre lì, a ricordare quello che è stato e quello che è perso.
La fatica di sopravvivere a sé stessi. 

Sono finita sul blog delle Amazzoni Furiose pochi giorni dopo la mia diagnosi, persa nel mezzo di un racconto collettivo della malattia che non solo non mi apparteneva, ma trovavo offensivo verso quello che stavo vivendo, perché volutamente e colpevolmente parziale ed edulcorato. Nessuno spazio alla fragilità, alla paura, all’angoscia, alla possibilità concreta di non sopravvivere. 

Leggevo storie su storie e non capivo dove sbagliassi, perché non riuscissi ad essere positiva, a reagire, a trasformare quello che mi stava accadendo in un piccolo incidente di percorso che avrei superato più forte di prima. Il cancro che ti rende una persona migliore, che ti insegna il valore delle cose, che ti fa apprezzare quello che hai. 

Questo tipo di narrazione poi é quasi sempre donna ed é alle donne che viene imposta come unica possibile, pena il silenzio o il giudizio. 

Mi chiedevo perché non riuscissi ad indossare il mantello da eroina per sconfiggere quel cancro cattivo magari con un bel sorriso stampato in viso, perché tutto quel rosa che raccontava la mia malattia mi facesse venire il voltastomaco. 

Ho capito che la risposta era nella parola consapevolezza, ho avuto fin dal primo momento una consapevolezza estrema non solo del mio cancro e di come sarebbero potute andare le cose, ma anche di quanto poco contasse quello che avrei potuto fare o non fare. 

E mi sono fin da subito sentita presa in giro da tutte quelle persone che provavano a tenermi buona raccontandomi di certezze che sapevo bene nessuno potesse avere, nemmeno quando quel qualcuno indossava un camice bianco. Giusto chi abita i piani alti, per chi ci crede. 

Quell’andrà tutto bene che tanto va di moda in tempi di coronavirus chi riceve una diagnosi di cancro se lo sente ripetere come un mantra, perché fare i conti con quello che significa davvero, avere un cancro, fa una gran paura e se lo si può evitare lo si evita, ma lo si fa per sé stessi, mica per aiutare chi il cancro ce l'ha per davvero. 

La prima psicologa con cui ho parlato a pochi giorni dalla diagnosi mi ripeteva che la stavo facendo troppo grande, di darmi allo yoga, alla cucina senza zuccheri, alla meditazione, alla scrittura creativa. Che il tumore al seno è una malattia di cui non si muore praticamente più, che è il cancro buono, che la chirurgia è talmente orientata alla ricostruzione estetica che nemmeno lo avrei rimpianto il mio seno, che davvero non era quello il modo di affrontare quello che stavo vivendo, che non potevo pensare di guarire se non aiutavo il mio corpo a farlo, che li avrei visti andare all’università i miei figli. 

Il mio cancro aveva una proliferazione del 98% (credo di detenere una sorta di record fra gli oncologi a riguardo, visto che il 100% tecnicamante non si è mai visto). La soglia per considerare un tumore al seno aggressivo è una proliferazione superiore al 20%. Un cancro che cresceva letteralmente alla velocità della luce e che se non avesse risposto alle terapie mi avrebbe ammazzata nel giro di pochi mesi, poco più di 30 anni, due bambini piccoli e quello che mi sentivo ripetere da tutti era che ero troppo negativa, che sarebbe andato tutto bene. 

Vaffanculo. Sono tornata in vita quando sono riuscita a dire un bel vaffanculo a chi pretendeva di insegnarmi come si doveva stare, in quella merda, come ci si doveva sentire, come si doveva reagire. Quando sono riuscita a dirmi che andavo bene lo stesso, che ero brava ad affrontare tutto, anche se facevo fatica. 

Chi mi cammina accanto sa bene che c’è stato un durante e un dopo la malattia fatto di cose belle, di viaggi, di progetti, di speranza, ma non ho mai voluto fosse questo il punto.  Celebrare la mia personale storia di malattia, che come tutte continuo a sperare possa essere a lieto fine, non è mai stato e non sarà mai il mio punto. 

Avevo una possibilità su 3 di essere morta a 3 anni dalla diagnosi, e di ragazze che sono cadute in quella possibilità ne ho conosciute a decine. Con alcune di loro le nostre vite si sono appena sfiorate, con altre abbiamo condiviso un pezzo di strada e poi c’è stata Valeria che ha cambiato la mia vita per sempre. La sua morte un dolore che ancora faccio fatica a nominare. 

Il cancro al seno è una cazzo di roulette russa. Ti curi fai quello che ti dicono e incroci le dita. Se non tocca a te toccherà a qualcun altro e il prezzo del tuo sopravvivere nella giungla delle probabilità che in oncologia diventano prognosi sarà la morte di un'altra persona che ha fatto tutto esattamente come te e probabilmente molto meglio di te. 

Finchè tutto sarà affidato al caso, finchè il mio destino e con il mio quello di milioni di donne che ogni anno si ammalano sarà una roulette russa, finchè non esisterà una cura per il cancro al seno e finché non si farà davvero qualcosa per evitare che le donne continuino ad ammalarsi, sempre di più e sempre più giovani, la mia personale storia non conterà nulla e non sarà mai il mio punto. 

Qui dentro ho smesso di sentirmi sola e sbagliata, perché quello che uccide quando ci si ammala ancor più della malattia è il senso di solitudine profondo che ci si trova a vivere. Pochi, pochissimi, accettano di guardare in faccia insieme a te quello che una diagnosi di cancro porta con sé. Per paura o per incapacità poco cambia, il risultato è che ci si sente tremendamente sole. E sbagliate. 

Incontrare altre donne, leggere parole che finalmente comprendevano anche me, è stato come sentirsi a casa in un momento in cui la mia, di casa, era crollata e tutto quello che vedevo erano solo macerie sparse ovunque. Unire le nostre voci e insieme alzarle l’unico senso che sono riuscita a trovare in quello che mi è successo. 

"Fare le brave non serve a niente" diceva Barbara Brenner che grazie a questo blog ho imparato a conoscere ed amare ed é proprio così. Possiamo subire accettando che altri decidano e pensino per noi o possiamo farci sentire, autodeterminandoci. Nella malattia così come nella vita. 

“Perciò è meglio parlare, perchè non era previsto che noi sopravvivessimo” (Audre Lorde). 

Dio Benedica Le Amazzoni Furiose e le donne e gli uomini che le abitano.