sabato 29 febbraio 2020

Virus, mascherine e polveri sottili

La scorsa settimana ci ha lasciato una lettrice del nostro blog. Si chiamava Maria Cristina Rinaldi. Ad ucciderla e` stato un cancro al polmone.

Vogliamo ricordarla attraverso il suo blog Le parole per dirlo di cui ci aveva colpito, insieme ad altri, un post in cui scriveva:

"Non ci sono manifestazioni per il tumore al polmone, che ogni giorno di più colpisce anche le donne, anche quelle non fumatrici come me! Forse è per questo che oggi mi sento un po’ più sola, vorrei che si accendessero i riflettori anche su questo subdolo killer." [qui]

Non fumava, Maria Cristina. Nemmeno questo, pero`, e` riuscita a proteggerla. Anzi, lo stigma che grava sull'associazione tra fumo di sigaretta e cancro al polmone continua a fare da freno alla ricerca sulla malattia.

Sono giorni di virus, paure, razzismo e mascherine. L'Italia, secondo l'edizione del 2019 del rapporto The Lancet Countdown on health and climate change pubblicato dall'omonima rivista, e` al primo posto in Europa per morti premature legate all'esposizione alle polveri sottili PM 2.5, che solo nel 2016 sono state 45.600 [qui]. Che anche il nome di Maria Cristina sia da aggiungere alla ormai interminabile elenco delle vittime?

domenica 23 febbraio 2020

1500 giorni di fragilità e resistenza

di Valentina Bridi

L'allarme coronavirus sembra aver fatto scoprire agli italiani che non siamo immortali. La popolazione si trova a guardare in faccia l'impotenza, il rischio, la malattia e l'idea della morte.
Tutte cose che chiunque faccia i conti con una diagnosi di cancro si vede sbattere in faccia ogni singolo giorno della propria esistenza. Per me sono passati 1500 giorni. Per la maggior parte del tempo mi racconto un sacco di cazzate, mi sembra di essere ripartita, ma basta niente per farmi ripiombare nel terrore. Ho rimesso insieme i pezzi, certo, ma stanno insieme per miracolo e basta un soffio per farli crollare.

Come una mattina di qualche giorno fa, quando lavandomi ho sentito una piccola pallina nell'ascella operata. Il cuore si è fermato, non riuscivo a respirare, sono caduta a terra tra i singhiozzi, pensando solo che sarei morta di lì a poco, la perdita del controllo, la paura, il panico. Mi sono ritrovata sul pavimento a singhiozzare come una bambina, incapace di mettere in fila i pensieri, disperata, ancora una volta, come il primo giorno. Eppure di giorni ne sono passati 1500. In ognuno di questi giorni ho fatto i conti con un corpo che non è più il mio, un corpo che non è più un corpo, ma un insieme di pezzi da guardare con sospetto, pronti a tradirmi da un momento all'altro. Se penso alla normalità che con orgoglio mi sembra di aver ricostruito, mi rendo conto che di normale in questa mia vita non c'è più nulla.

Ogni mattina mentre mi guardo allo specchio e passo la matita nera controllo che le sclere non siano ingiallite, mentre mi lavo mi ritrovo ad ispezionare il cavo ascellare, segno su un diario qualsiasi sintomo per capire da quanto dura, non esiste più un mal di testa che sia una giornata storta, o una tosse che sia un colpo di freddo, esistono metastasi pronte a spuntare fuori da qualsiasi parte, esiste la paura continua di perdere di nuovo tutto. Ogni cosa mi riporta a quel giorno di quattro anni fa, nonostante di giorni ne siano passati 1500. E poi, duro e crudo come una coltellata, arriva il senso di colpa, per stare bene e nonostante questo non riuscire a vivere come in quei bei racconti di forza e resilienza che siamo tanto abituate a leggere. Il sentirsi sempre fuori posto e fuori tempo, inadeguata, debole.

Rivendico però il mio e il nostro diritto di dire anche quanto sia difficile, andare avanti e sopravvivere a sé stesse. E lo è ancora di più quando incontri qualcosa o qualcuno che per un attimo ti ricorda la persona che eri e non sei più. Il cancro non mi ha resa una persona migliore, ero una ragazza bella, forte, impegnata, non avevo bisogno di un cancro per capire il senso della vita o darmi delle priorità. Il senso di ingiustizia per quello che la malattia mi ha portato via rimane fortissimo. A 30 anni si dovrebbe iniziare a costruirsela una vita, non certo fare i conti con una sua possibile fine.

Non c'è stato un solo giorno in questi 1500 giorni in cui non avrei voluto con tutta me stessa tornare anche solo per un momento quella che ero. Tornare a vivere una vita dove la morte e la paura non la fanno da padrone, ma restano un pensiero lontano, sullo sfondo, dove non bastava una stupida pallina a rendermi un cumulo di macerie da rimettere insieme per l'ennesima volta.

A tutte noi che facciamo fatica.

Andiamo bene comunque.

martedì 18 febbraio 2020

Protesi e ricostruzione o di come se un problema non si vede non esiste

E` uscito la scorsa settimana su La 27esimaora, il blog femminile de Il Corriere della Sera, un interessante articolo di Adamantia Paizis, astrofisica e campionessa di scacchii, ammalatasi a 30 anni di cancro al seno [qui]. Un pezzo ricco di spunti interessanti, a cominciare dall'accenno, che meriterebbe ulteriore approfondimento, al fatto che "se non hai marito e figli non sei davvero una persona". Riflessione ispirata dall'incontro in sala d'attesa - una delle tante in cui i malati di cancro si trovano a trascorrere le proprie giornate tra un'infusione e una visita, un prelievo e una medicazione - con un'anziana signora, anche lei malata di cancro, secondo la quale, non avendo Paizis figli e marito, poteva tranquillamente andarsene all'altro mondo senza fare troppe storie.

Il tema centrale dell'articolo e`, tuttavia, la ricostruzione del seno post-mastectomia e quello che potremmo definire il dogma della simmetria:

" «Hai perso il seno? Te lo rifacciamo». È come se la società corresse ai ripari della forma: la donna deve avere due seni. E tu non hai il tempo di capire, pensare, guardarti dentro e chiederti se è questo quello che vuoi veramente."

Paizis descrive i numerosi problemi legati all'intervento di ricostruzione, di cui quasi sempre si tace, racconta della recidiva al seno a distanza di nove anni dalla prima diagnosi, cui seguono un nuovo intervento e la decisione di rifiutare un'ulteriore ricostruzione, optando, invece, per l'utilizzo di una protesi esterna:

"Ogni sera metto il mio seno destro nell’armadio. È triste? Sì, ma l’alternativa mi spaventa di più. Nel mio caso, ho avuto il tempo di elaborare il lutto del seno perduto nove anni prima e di conseguenza ho messo insieme la consapevolezza di una scelta più naturale."

Sono tante le donne che decidono di non ricorrere alla ricostruzione del seno. Afrodite K e` tra queste e ha raccontato nel suo blog come una scelta di questo genere rientri oggi nel dominio dell'impensabile tant'e` che, quando si e` sottoposta alla mastectomia, nessuno ha chiesto il suo consenso per l'inserimento dell'espansore [qui]. Se l'e` ritrovato addosso e basta e adesso nemmeno puo` toglierlo.

Oggi e` il 18 febbraio. Audre Lorde, poetessa, femminista, nera e lesbica, ammalatasi di cancro al seno nel 1978, avrebbe compiuto 86 anni. La sua raccolta di scritti sul cancro al seno, The Cancer Journals uscita per la prima volta nel 1980, e tradotta in italiano solo nel 2014 da Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida*, contiene quella che e` forse l'analisi piu` acuta sul ruolo delle protesi, ed oggi della ricostruzione, nell'ambito del cancro al seno [qui].

Sono passati dieci giorni dalla mastectomia. Lorde esce di casa da sola per la prima volta. E` impaziente. Un'amica le ha lavato i capelli, indossa un bel vestito e scarpe nuove. Da un orecchio, uno solo, splende un orecchino a forma di uccello "in nome di una grandiosa asimmetria". Si reca nello studio del prestigioso chirurgo di New York che l'ha operata a farsi togliere i punti, ma e` felice. Si sente bella e viva. Ad accoglierla c'e` l'infermiera. Si sono viste altre volte ed e` stata sempre gentile e rassicurante. Lorde si aspetta un commento sul suo bell'aspetto e, invece, del tutto inaspettato arriva un rimprovero. Perche`? Perche` Audre Lorde non porta la protesi e a nulla vale spiegare che la trova scomoda:

""Si sentira` molto meglio se la mette", mi disse. "E comunque , vorremmo proprio che lei portasse qualcosa, almeno quando viene qui. Altrimenti ci deprime le clienti""

Ma come?!? Ad ogni donna presente avrebbe fatto bene vedere che la vita non finisce certo perche` si ha un seno solo, che ci si puo` ancora sentire belle e in armonia con il proprio corpo. E invece l'infermiera sostiene che la vista di una donna asimmetrica avrebbe fatto cadere il morale della truppa. Perche`, si chiede Lorde, nascondere la realta` del cancro al seno dietro a una protesi in modo che nessuno possa notare la differenza con le altre donne?

"E` proprio questa differenza che io, invece, voglio affermare, perche` l'ho vissuta, e sono sopravvissuta, e desidero condividere questa forza con altre donne. Se dobbiamo trasformare il silenzio che circonda il cancro al seno in linguaggio e azione contro questo flagello, allora il primo passo e` far diventare visibili le une alle altre le donne che hanno subito la mastectomia. Perche` silenzio e invisibilita` vanno a braccetto con l'impotenza. Nell'accettare il mascheramento della protesi, noi donne con un seno solo proclamiamo di essere creature insufficienti, che dipendono da una finzione. Rafforziamo il nostro isolamento e l'invisibilita` reciproca, cosi` come la falsa compiacenza di una societa` che preferisce non affrontare i risultati delle proprie follie".

E tra i risultati di queste follie c'e` il cancro al seno. A chi ne e` colpita viene offerta la possibilita` di nasconderne gli effetti visibili. Come se si trattasse di un problema cosmetico, di un brufolo da nascondere sotto un po` di correttore. Chi invece avrebbe il dovere di porre in atto misure per la prevenzione - quella vera - e la cura della malattia puo` continuare a farla franca. D'altra parte se un problema non si vede, non esiste.

*Marta Gianello Guida aka Marti Bas e` mort* di cancro al seno a 32 anni. Aveva scoperto, amato e tradotto Audre Lorde prima di ammalarsi. Maggiori informazioni qui