giovedì 12 gennaio 2017

Tra cuoricini e mammografie. Pensiamoci bene

L'ormai popolare messaggio che, negli ultimi giorni, molte donne hanno ricevuto attraverso i social e che le invitava a postare un cuoricino per la "prevenzione" del cancro al seno, noi non l'abbiamo ricevuto. Chi ci segue sa come la pensiamo a riguardo. Il cancro al seno per noi non e` un tema da cuoricini e nastri rosa.
Abbiamo osservato, tuttavia, che un interessante dibattito ha preso piede vedendo schierat* chi nel cuoricino si e` identificat* e chi, invece, invitava alla "prevenzione" tramite strumenti diagnostici come la mammografia. Quest'ultima, insieme alle visite di controllo, alle ecografie e a quanto la medicina mette oggi a disposizione per la diagnosi di cancro al seno, viene presentata come l'alternativa razionale all'adesione all'ultima cancro-catena di Sant'Antonio. Un atteggiamento che non stupisce. Lo screening mammografico viene presentato da decenni come l'unica arma a disposizione per difendersi dalla malattia e in Italia gode del supporto granitico della stragrande maggioranza dei professionisti della salute.
Le cose, pero`, stanno cambiando oltre oceano. E non poco, se persino il Chief Medical Officer dell'American Cancer Society, Otis Brawley, si spinge a scrivere un editoriale di accompagnamento all'ennesimo studio sui limiti dei programmi di screening in cui esorta ad "accettare l'esistenza della sovradiagnosi di cancro al seno" [qui]. Non tutte le lesioni sono destinate a crescere e uccidere. Dare per scontato che lo facciano e`, secondo Brawley, l'equivalente medico del "racial profiling", la pratica da parte delle forze dell'ordine di pensare che gli appartenenti a un gruppo razziale si comporteranno nello stesso modo. I tumori, prosegue Brawley, inclusi quello con caratteristiche biologiche simili, possono comportarsi in modo diverso. L'idea che alcuni possano "crescere cosi` lentamente da essere clinicamente insignificanti non e` forzata" e nel caso del tumore alla prostata o alla tiroide la sovradiagnosi e` considerata un dato di fatto. Riconoscerne l'esistenza anche per il cancro al seno significa ammettere che "i benefici dello screening sono stati ingigantiti e che ad alcune donne che sono state 'curate' sono stati procurati danni a causa di trattamenti non necessari". Lungi da Brawley l'idea di proporre l'abbandono dello screening. Occorre, tuttavia, comprenderne i limiti e ripensarlo.
Prima di precipitarvi a "fare prevenzione" - che prevenzione poi non e` - leggete l'opuscolo pubblicato due anni fa da Breast Cancer Action "Devo fare la mammografia?" [qui]. Se ritenete opportuno, fatela pure, ma solo dopo averne ponderato bene i rischi e i benefici.

lunedì 2 gennaio 2017

Non Restate [a guardare] In Pace

Ne e` morta un'altra. Jennie. Nemmeno 50 anni, di cui quasi dieci col cancro. Era tornato dopo sei anni dalla prima diagnosi. 
La sua bacheca di Facebook e` piena di messaggi. RIP, scrive la gente. Rest In Peace. Riposa In Pace. 
Pace? E se fosse questo il problema? E` forse la pace la risposta migliore alla strage che e` il cancro al seno? 
Pace di chi? Di chi muore anzitempo? Di chi sente l'alito della morte sul collo? O di chi si volta dall'altra parte?
Non Restate [a guardare] In Pace.