venerdì 19 dicembre 2014

Breast Cancer Action. Una storia di speranza




Sono le nove e cinquantasei minuti a San Francisco. Mission Street e` piena di gente che cammina spedita con in mano bicchieroni di carta pieni di caffe`. Mancano 4 minuti alle dieci e il cuore mi batte a mille. Sono passati due anni da quando, attraverso il blog di AnneMarie Ciccarella (qui), ho scoperto Breast Cancer Action (qui). Da allora mi si e` aperto un mondo. Il mio rapporto con il cancro al seno che mi ha colpita nel 2010 e` cambiato radicalmente. Da sciagura abbattutasi sulla mia vita come una tempesta che mai sarebbe stato possibile prevedere si e` trasformato in occasione di lotta e sete di giustizia, per me e per quelle come me. Ho deciso di aprire questo blog, che e` cresciuto fino a diventare uno strumento di condivisone delle esperienze di malattia di diverse donne, in altre parole sono diventata un'attivista. L'emozione e` forte. Busso al citofono, qualcuno da su mi apre. Entro nell'edificio, mi dirigo verso l'ascensore che mi conduce fino al terzo piano. Un ragazzo che sta facendo le pulizie mi dice che la porta e` aperta. La spingo. Entro. Mi giro verso destra e vedo una foto di lei che sorride. Lei e` Barbara Brenner, direttrice di Breast Cancer Action dal 1995 al 2010. Barbara e` morta il 10 maggio del 2013, non di del cancro al seno, che pure l'aveva colpita due volte (qui). A portarcela via  e` stata la sclerosi laterale amiotrofica. Sara` stato un caso? Chissa`... Una donna intelligentissima e tenace, che ha fatto la storia del movimento contro il cancro al seno, sempre pronta a scatenare l'inferno se in ballo c'erano i diritti delle donne e la loro salute. Sento che mi stanno salendo le lacrime. Decido allora di percorrere il piccolo corridoio che collega l'ingresso con un open space pieno di scrivanie. C'e` una riunione in corso, ma Karuna Jaggar, che ha raccolto il testimone lasciatole dalla Brenner, mi viene incontro. E` davanti a me, finalmente. Mi stringe la mano forte e sorride. Indossa un paio di jeans e una maglietta blu, non un filo di trucco o un orpello. Lo sguardo e` diretto, taglia e accarezza allo stesso tempo. Mi fa accomodare nel suo ufficio. Dopo un po ci raggiunge anche Sahru Keiser che coordina le attivita` educative dell'organizzazione. Cominciano a farmi domande. Vogliono imparare da me, mi dicono. Da me? Siamo sicuri? Si, da me, da tutte. "Siamo la voce delle donne con il cancro al seno" - mi spiega Karuna - "Abbiamo bisogno di sapere cosa pensano, cosa vogliono, cosa si aspettano da noi". Parliamo di tantissime cose. Della mia storia personale, del fracking, di come stanno le cose sul cancro al seno in Europa e negli Stati Uniti, del venticinquesimo compleanno di Breast Cancer Action. Si, sono venticinque anni ormai che Breast Cancer Action esiste e fa le pulci all'industria del cancro al seno, smascherandone gli interessi e le contraddizioni. Una storia di campagne contro le multinazionali del farmaco, quelle dei cosmetici e del cibo arricchito di ormoni sintetici che finisce sulle nostre tavole. Campagne per la difesa del diritto alla salute delle donne, ricche e povere, bianche, nere e gialle, eterosessuali, lesbiche e quello che pare a loro. Un'attivita` infaticabile che ha portato a vittorie che a pensarci sembravano impossibili, roba da Davide contro Golia. E` il caso del brevetto sui geni BRCA1 e BRCA2 detenuto da Myriad Genetics che Breast Cancer Action ha trascinato davanti alla Corte Suprema col risultato che Myriad adesso quel brevetto non ce l'ha piu` (qui). E come sono stati raggiunti obiettivi di questa portata? Non una corsa per la cura e` stata organizzata da Breast Cancer Action, non una casa farmaceutica ne ha foraggiato l'attivita`, non una stella del cinema ha fatto da testimonial. Breast Cancer Action vive di donazioni, grandi e piccole, dei suoi sostenitori che le affidano i propri soldi e le proprie speranze di costruire un mondo senza cancro al seno. Si, speranza. Non quella plastificata del nastro rosa, quella del basta che porto a casa la pelle, quella del non e` successo niente, e` normale il cancro al seno, ma la speranza autentica di chi un mondo diverso lo sogna e lo vuole e passo dopo passo lo sta gia` costruendo. Grazie Breast Cancer Action.

lunedì 8 dicembre 2014

Delirio maternista: che fare?

Chi dice donna, dice mamma. La maternita` ce l'abbiamo nel destino. E si sa, al proprio destino non si puo` sfuggire. E allora anche se ci viene il cancro al seno da giovani, anche se e` un carcinoma ormonodipendente - e si sa che la gravidanza e` tutta un'esplosione di ormoni - anche se studi su larga scala che garantiscano che avere bambini dopo la malattia non aumenti il rischio che essa si ripresenti non ce ne sono, continuiamo lo stesso a desiderare di diventare madri e a star male al pensiero di doverci rinunciare. E` vero, un conto e` decidere autonomamente di non voler avere figli biologici, un altro e` arrivare a questa determinazione a seguito di un problema di salute non indifferente. Non posso fare, pero`, a meno di pensare che se non ci infilassero in testa tutte queste boiate materniste, che siamo programmate per fare le mamme, che non c'e` niente di piu` bello che mettersi a figliare ecc., forse ci sarebbe risparmiata qualche sofferenza nel momento in cui, per un problema qualsiasi, pargoli non se ne possono sfornare. Perche` io continuo a starci male davvero all'idea di non poter avere i bambini che tanto desideravo. E li desideravo perche` nel delirio maternista ci stavo e ci sto dentro fino al collo pure io e non riesco a liberarmene. E non so come fare, davvero non lo so. 

giovedì 4 dicembre 2014

La salute di parrucchiere ed estetiste

Quando andavo a scuola, soprattutto alle elementari, la domenica non mi andava mai di fare i compiti. Mia madre cominciava, in realta` ad implorarmi dal giorno prima "Fatti i compiti, cosi` stai senza pensieri". Il richiamo dei giochi, dopo una settimana passata sui banchi, era troppo forte. La domenica mattina, tra un soffritto e il letto da rifare, mamma sbraitava che non i compiti non li avevo fatti ancora. Immancabilmente, mio padre, suo marito, le faceva eco: "Domani, a lavare i capelli". Non che i miei capelli fossero particolarmente sporchi di domenica mattina. Il pover'uomo cercava maldestramente di darsi arie da padre tutto d'un pezzo. Il suo rimedio alla mia pigrzia di scolara era il lavoro di aiutante della parrucchiera, la cosiddeta shampista. Un lavoro che non richiede particolari qualifiche e che di solito si comincia da ragazzin*. Un lavoro stancante. Un lavoro che, ma questo mio padre non lo sapeva, espone la salute a grossi rischi.
Women's Voices for the Earth ha pubblicato, circa un mese fa, i risultati di un rapporto (qui) sulla salute delle parrucchiere e delle lavoratrici dei saloni di bellezza (negli Stati Uniti nella stragrande maggioranza si tratta di donne), appartenenti di solito alle fasce piu` svantaggiate della popolazione soprattutto se non si e` proprietarie del negozio, ma si lavora come dipendenti. Queste donne sono esposte per motivi professionali a sostanze contenute, per esempio, nelle colle per le extension, a causa delle quali possono sviluppare delle patologie che vanno dalla dermatite, alle malattie respiratorie, al cancro. Studi condotti in Nord Europa e negli Stati Uniti hanno infatti documentato la maggiore incidenza dell'asma tra le parrucchiere e le estetiste a causa dei fumi liberati da smalti, solventi e tinture. Studi europei e nordamericani hanno messo in luce il rischio maggiore rispetto alla popolazione generale di mettere al mondo bambini affetti da malformazioni o di parti prematuri. L'immancabile cancro al seno figura pure tra le malattie elencate nek rapporto, insieme a quello al polmone, alla laringe, alla vescica e al mieloma multiplo.
Che fare? Le lavoratrici del settore dovrebbero richiedere l'utilizzo di prodotti meno tossici e l'impiego di strumenti di protezione per la pelle e le vie respiratorie oltre ad assicurarsi che i residui dei prodotti vengano smaltiti senza arrecare ulteriori danni. Le consumatrici, invece, dovrebbero cominciare al piu` presto il problema dei danni che l'industria della bellezza, cosi` come e` organizzata adesso, arreca alla salute delle donne tutte. Questo non significa, ovviamente, dover rinunciare a colorarci i capelli e le unghie come ci piace o alla stiratura all'ultimo grido. Possiamo, sicuramente, pero`, alzare la voce e chiedere prodotti che non facciano male.