domenica 16 dicembre 2018

Possiamo fare molto di piu` che avere paura






Era stata una delle indomite che il 13 ottobre a Milano hanno portato in piazza, per la prima volta in Italia, un flash-mob per chiedere che anche nel nostro paese si cominci a parlare di cancro al seno in maniera rispondente alla realta` di fatti. A cominciare dal dato ineluttabile che di questa malattia si continua a morire. E oggi e` toccato a lei, a Camilla Gandolfi, essere una delle 33 donne che quotidianamente in Italia muoiono di cancro al seno. Aveva 37 anni.

Camilla aveva scoperto la malattia 4 anni fa. Era metastatica de novo, ossia dall'esordio, pur non avendo nessun fattore di rischio, inclusa la familiarita`. Lo aveva spiegato lei stessa a Vera Martinella che l'aveva intervistata per il Corriere della Sera in occasione del flash-mob [qui]. Un'iniziativa per cui Camilla si era spesa tantissimo, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Era stata lei a creare il Twibbon con il logo dell'evento che in tantissime hanno aggiunto alle loro foto profilo di Facebook e Twitter. E sempre lei aveva letto in piazza Gae Aulenti il comunicato stilato dalle organizzatrici e che vogliamo rileggere ancora una volta. Perche` di chiedere che di cancro al seno ci si ammali sempre meno e con il cancro al seno si possa vivere sempre meglio e piu` a lungo non smetteremo mai. Mai. Possiamo fare molto di piu` che avere paura e Camilla ne era l'esempio vivente.

"Ogni anno in Italia 12.000 donne muoiono di cancro al seno e si registrano 50.500 nuovi casi. Nonostante queste cifre, la malattia viene comunemente descritta come guaribile nella stragrande maggioranza dei casi e come un rito di passaggio capace addirittura di rendere migliore chi ne viene colpita. Una narrazione che nasconde la realtà di terapie estenuanti e prolungate che non offrono garanzia di guarigione: circa il 30% delle donne che si ammalano di cancro al seno, a prescindere dallo stadio alla diagnosi, muore.

È giunto il momento di dire basta a tutto questo. Non smetteremo di ammalarci e morire finchè non si aprirà un dibattito pubblico serio che parta dal riconoscimento dei dati di fatto. A questo scopo abbiamo indetto per il prossimo 13 ottobre una manifestazione a Milano alle ore 12 in piazza Gae Aulenti, a cui chiunque abbia a cuore il problema del cancro al seno è chiamato a partecipare. La scelta del giorno non è casuale: il 13 ottobre negli Stati Uniti è la giornata nazionale del cancro al seno metastatico, lo stadio della malattia che necessiterebbe di più attenzioni e di cui invece non si vuole parlare.

Il silenzio non ci proteggerà."

giovedì 13 dicembre 2018

Un desiderio per il nuovo anno

di Ilaria Benecchi*

Ci ho impiegato un po’ di tempo. Ma alla fine ho capito cosa mi ha fatto davvero infuriare del cancro al seno.

Non è stato lo spavento al momento della diagnosi, il dolore fisico dopo l’intervento, la cicatrice, le trasferte quotidiane per le terapie, i continui controlli, la paura che il cancro si diffonda in altre parti del corpo e mi porti via, come le 33 donne che ogni giorno muoiono di cancro al seno in Italia.

È stato invece quasi tutto ciò di cui si parla nel blog delle Amazzoni Furiose e in particolare l’incoerenza dei mezzi di comunicazione: stampa, tv, radio, con pochissime eccezioni.
Le notizie diffuse ogni giorno su qualunque argomento sono tendenzialmente catastrofiche: siamo sommersi da brutte notizie, polemiche sterili, cronaca nera, storie negative. Sembra quasi che ci sia un interesse a raccontare solo le bruttezze di questo mondo, chissà perché poi.

Ma c’è un’eccezione: il cancro, e in particolare quello al seno. Il cancro è rosa, di cancro si guarisce, si diffondono percentuali miracolose, 98%, 99%... la malattia è praticamente sconfitta. Ogni giorno si legge che la scienza ha fatto la scoperta decisiva che debellerà il cancro. Circola un grande entusiasmo, che talvolta si trasforma persino in euforia.

NO. QUESTO NON LO ACCETTO.

Se l’informazione vede nero, allora nero sia. Perché solo il cancro deve essere rosa? Perché per tutto il resto il pessimismo prevale e per il cancro l’informazione deve essere così ottimista?

Il punto è che la realtà è molto più complessa di un titolo che fa notizia, o del contrasto fra il bianco e il nero. È una tavolozza infinita di colori, una combinazione di gioia e sofferenza, giustizie e torti, successi e sconfitte, speranza e disillusione.

Cerco ogni giorno con il lumicino un’informazione più equilibrata e sana e mi nutro anche di tante buone notizie che mi ispirano, mi aiutano a sviluppare progetti, mi fanno crescere e mi appagano.

A modo mio sono piena di gioia di vivere, ho progetti per il futuro, so di avere una grande forza ma al tempo stesso vivo alla giornata, perché fin da piccola ho avuto una percezione molto intensa della mia fragilità e finitezza.

E se qualcuno afferma che il cancro è un dono non lo condivido, ma non polemizzo. Ognuno di noi vive la malattia a suo modo. A me non serviva il cancro per capire che la vita è un’emozione immensa e che ogni attimo è prezioso, lo sapevo già, ma non siamo tutti uguali.

Certo, mi piacerebbe che ci confrontassimo su questi temi, ma in modo serio e onesto. Per favore, basta strumentalizzazioni, liti su “il cancro è un dono o non è un dono”, pillole clamorosamente indorate, basta lucrare sulle storie di chi è ammalato, magari diffondendo un’informazione superficiale e spesso inesatta.

Se dovessi esprimere un desiderio oggi, sarebbe questo: prima di intervenire, in particolare su temi così delicati, restiamo un po’ in religioso silenzio e ascoltiamolo, probabilmente avrà molto da dirci.

*Ilaria Benecchi ha 44 anni ed e` una traduttrice freelance, fotografa e ulivicultrice. Ha scoperto di avere il cancro al seno nel 2016. Tra le sue passioni la sostenibilita` ambientale, la comunicazione non violenta e la giustizia sociale