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lunedì 14 ottobre 2019

Vania Sordoni, matematica e attivista contro una malattia che fa dodicimila vittime ogni anno

Questa mattina sono stati celebrati i funerali della nostra cara Vania Sordoni. Vania e` morta di cancro al seno a soli 57 anni. Vania e` stata un'infaticabile attivista per le donne con cancro al seno metastatico, il che vuole dire per tutte noi visto che il cancro al seno, a prescindere dallo stadio alla diagnosi, da luogo a metastasi in circa il 30% dei casi e non e` possibile sapere se si sara` dal lato buono o cattivo della statistica. 
L'anno scorso Vania era stata tra le organizzatrici del flash mob-die in che si e` tenuto a Milano il 13 ottobre in occasione di quella che negli Stati Uniti e` la giornata del cancro al seno metastatico. Qualche giorno prima Andrea Capocci, fisico, insegnante e giornalista l'aveva intervistata. Per una serie di circostanze, l'intervista non era stata pubblicata. Saputo della morte di Vania, Andrea ce ne ha inviato il testo che pubblichiamo qui sotto. 
Ad Andrea un sentito grazie. A Vania tutto il nostro amore.


“Oltre il nastro rosa”, un flashmob contro il cancro
Intervista a Vania Sordoni, matematica e attivista contro una malattia che fa dodicimila vittime ogni anno.
di Andrea Capocci

Ottobre è il “mese della prevenzione contro il cancro al seno”. Queste ricorrenze appaiono spesso rituali e su un tema come il cancro al seno in tante e in tanti pensano di sapere già abbastanza. In fondo, tra i quaranta e i settant’anni di età la maggior parte delle donne si sottopone a esami preventivi gratuiti e un giorno sì e l’altro pure arrivano news su farmaci innovativi e guarigioni in crescita. Ma i dati dicono anche altro, e nell’ottimismo di cui siamo avidi tendiamo a ignorare le notizie che non ci piacciono. Per sensibilizzare su un tema piuttosto scomodo, sabato 13 alle 12 a Milano, in piazza Gae Aulenti, si svolgerà un flashmob sotto lo slogan “Oltre il nastro rosa”. I dettagli dell’appuntamento sono su Facebook. Per spiegare le ragioni della mobilitazione, abbiamo parlato direttamente con Vania Sordoni, matematica dell’università di Bologna, malata di cancro al seno metastatico e una delle organizzatrici del flashmob.

Come nasce la mobilitazione?

Nasce su Internet, da un gruppo Facebook a cui partecipano oltre duecento donne malate di cancro al seno metastatico per scambiare informazioni e aiuto psicologico. Ci siamo rese conto che la nostra è una realtà un po’ nascosta, che non si vuole vedere volentieri.

Nel 2010 Berlusconi annunciò che il suo governo avrebbe sconfitto il cancro in tre anni. In effetti, a ritmo quotidiano ci sono notizie ottimistiche sulla lotta al cancro: nuovi farmaci, nuove terapie. La realtà?

Le statistiche parlano di un tasso di sopravvivenza dell’87% dopo cinque anni e dell’80% a dieci, e farebbero pensare che guarire sia facile. In realtà, i farmaci hanno spinto in avanti il periodo in cui il tumore diventa metastatico, per cui molte donne risultano guarite dopo cinque o dieci anni ma non lo sono affatto. Inoltre, le percentuali sono alzate dai molti tumori “in situ” (cioè localizzati) rilevati con lo screening mammografico, che non metastatizzano. Nel complesso, per cancro al seno metastatico muoiono circa dodicimila donne l’anno.

C’è un legame tra l’eccesso di ottimismo e la ricerca di cure “alternative” ma illusorie?

La mortalità per il tumore al seno non è diminuita molto dal 2000 a oggi. Nel frattempo c’è stata una diffusione delle cosiddette medicine “alternative”. Spesso sono promosse da veri e propri ciarlatani, che convincono molte donne di essere in grado di aumentare l’efficacia delle terapie a cui si sottopongono. Noi invitiamo tutte a confrontarsi con la letteratura scientifica, ma è difficile impedire che molte pazienti si affidino a questi personaggi. Il metodo “Di Bella” non è affatto scomparso, anzi.

Allo screening mammografico si sottopongono i tre quarti delle donne italiane, con punte vicine al 100% al nord. Con quali risultati?

Grazie allo screening si individuano molti tumori in più. Si prevede che tra il 2017 e il 2018 i nuovi casi aumentino da 50500 a 52800. Aumentano le diagnosi al nord rispetto al sud. Si attribuisce il dato a una presunta migliore qualità della vita, ma temo che dipenda solo dalla bassa percentuale di donne che si sottopone allo screening al sud (meno del 60%, n.d.r.). Tuttavia, ci si ammala prima e dopo l’età dello screening, tra un esame e l’altro, e in molti casi i tumori possono metastatizzare anche prima di ingrandirsi e diventare visibili. Per questo lo screening non abbassa di molto la mortalità. Bisognerebbe fare prevenzione, invece c’è solo la diagnosi precoce. Sulla prevenzione c’è poca ricerca se non sul piano genetico, e si sa ancora troppo poco delle cause dei tumori.

Cosa chiedete al sistema sanitario?

Per una donna ammalata di cancro al seno metastatico, il percorso terapeutico è spersonalizzante. Non abbiamo a che fare un medico, ma con team di sei o sette persone, di cui magari tre sono specializzandi inesperti. Capiamo le ragioni organizzative, e quando si tratta di gestire la routine non è un problema. Ma chi ha un cancro metastatico vive molti momenti di stress: i risultati degli esami sono spesso complicati, e ci sono frequenti decisioni importanti da prendere. In quel caso, vorremmo avere a che fare con un medico di riferimento che conosce il caso e lo segue, non con il dottore di turno. Perciò, molte si rivolgono alla sanità privata, con un costo economico molto elevato.

È una malattia che colpisce le donne. Questo influisce sulla sua percezione sociale?

Se ne sottovalutano alcune conseguenze. Ad esempio, moltissime donne devono lasciare il lavoro, perché le terapie non sono compatibili, e ne subiscono le conseguenze sul piano umano ed economico. Ma dato che si tratta di lavoro femminile, questi effetti sono sottovalutati, mentre richiederebbero maggiore attenzione.

Siete pazienti, ma avete chiesto che al flashmob non si mostrino magliette o simboli delle associazioni dei pazienti. È una critica al mondo delle associazioni.

No, anche se forse alle associazioni rimproveriamo l’eccessiva enfasi sui benefici della diagnosi precoce. Però sottolineiamo un problema: una donna malata di cancro metastatico è un problema anche nelle associazioni di pazienti che, anche comprensibilmente, cercano di convincere che dal cancro si guarisce. Per una donna guarita da un cancro al seno e che fonda un’associazione per aiutarne altre, una donna metastatica è un incubo, ancor più che per una donna sana. Perché ricordiamo che la malattia può tornare, anche dopo anni. Perciò veniamo spesso messe ai margini. Noi vorremmo che nessuna donna abbassasse la guardia, e che servizi e assistenza tenessero conto anche di chi si trova nella nostra situazione.

Per esempio?

C’è la questione dei trial clinici, le sperimentazioni sui nuovi farmaci. Entrare in un trial per noi è una fonte di speranza importante. Però lo sviluppo di un farmaco dura anni e entrare in queste sperimentazioni è difficile. O si è seguiti da una struttura che partecipa a una sperimentazione, o difficilmente un medico propone alla paziente un trial che si svolge lontano, perché la gestione diventa troppo onerosa. Così molte di noi vagano da una struttura all’altra, sperando di trovare quella giusta al momento giusto, quello in cui si avvia una sperimentazione. Sarebbe fondamentale avere un servizio di raccolta e diffusione delle informazioni sui trial accessibile a tutte. C’è un disegno di legge al Senato presentato da Francesca Puglisi nella scorsa legislatura e ora ripreso da Paola Boldrini, e uno analogo presentato alla Camera da Luca Rizzo Nervo, sempre del PD. Vedremo cosa ne farà il Parlamento.

domenica 16 dicembre 2018

Possiamo fare molto di piu` che avere paura






Era stata una delle indomite che il 13 ottobre a Milano hanno portato in piazza, per la prima volta in Italia, un flash-mob per chiedere che anche nel nostro paese si cominci a parlare di cancro al seno in maniera rispondente alla realta` di fatti. A cominciare dal dato ineluttabile che di questa malattia si continua a morire. E oggi e` toccato a lei, a Camilla Gandolfi, essere una delle 33 donne che quotidianamente in Italia muoiono di cancro al seno. Aveva 37 anni.

Camilla aveva scoperto la malattia 4 anni fa. Era metastatica de novo, ossia dall'esordio, pur non avendo nessun fattore di rischio, inclusa la familiarita`. Lo aveva spiegato lei stessa a Vera Martinella che l'aveva intervistata per il Corriere della Sera in occasione del flash-mob [qui]. Un'iniziativa per cui Camilla si era spesa tantissimo, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Era stata lei a creare il Twibbon con il logo dell'evento che in tantissime hanno aggiunto alle loro foto profilo di Facebook e Twitter. E sempre lei aveva letto in piazza Gae Aulenti il comunicato stilato dalle organizzatrici e che vogliamo rileggere ancora una volta. Perche` di chiedere che di cancro al seno ci si ammali sempre meno e con il cancro al seno si possa vivere sempre meglio e piu` a lungo non smetteremo mai. Mai. Possiamo fare molto di piu` che avere paura e Camilla ne era l'esempio vivente.

"Ogni anno in Italia 12.000 donne muoiono di cancro al seno e si registrano 50.500 nuovi casi. Nonostante queste cifre, la malattia viene comunemente descritta come guaribile nella stragrande maggioranza dei casi e come un rito di passaggio capace addirittura di rendere migliore chi ne viene colpita. Una narrazione che nasconde la realtà di terapie estenuanti e prolungate che non offrono garanzia di guarigione: circa il 30% delle donne che si ammalano di cancro al seno, a prescindere dallo stadio alla diagnosi, muore.

È giunto il momento di dire basta a tutto questo. Non smetteremo di ammalarci e morire finchè non si aprirà un dibattito pubblico serio che parta dal riconoscimento dei dati di fatto. A questo scopo abbiamo indetto per il prossimo 13 ottobre una manifestazione a Milano alle ore 12 in piazza Gae Aulenti, a cui chiunque abbia a cuore il problema del cancro al seno è chiamato a partecipare. La scelta del giorno non è casuale: il 13 ottobre negli Stati Uniti è la giornata nazionale del cancro al seno metastatico, lo stadio della malattia che necessiterebbe di più attenzioni e di cui invece non si vuole parlare.

Il silenzio non ci proteggerà."

lunedì 9 luglio 2018

Cancro al seno metastatico: "una vita in cui tutto e` malattia e cura"

A circa un mese dalla pubblicazione della notizia sulla cura miracolosa per il cancro al seno metastatico [qui], i riflettori su questo stadio della malattia si sono spenti di nuovo. Chi con la realta` del cancro al seno metastico deve vivere non puo` certo permetterselo. Ne abbiamo parlato con Nunzia, una donna di 43 anni della provincial di Messina. 

Quanti ne avevi quando ti sei ammalata?

Avevo appena avevo compiuto 34 anni quando ho avuto conferma della diagnosi di tumore al seno.

Come l’hai scoperto?

Ho sentito per caso in palestra facendo un esercizio per le braccia con un attrezzo che al seno avevo qualcosa di duro. Alla palpazione sfuggiva pure, il mio seno è sempre stato abbondante, ma ho insistito e prenotato un'eco. Non ero in età da “fare prevenzione” chiaramente.

Che tipo di cancro al seno avevi e a quali terapie ti sei sottoposta?

Il mio cancro era duttale, infiltrante, grosso più o meno 2 cm x 1,5, nessun linfonodo era intaccato. Ho fatto tre cicli di fec e tre di taxotere, più sei settimane di radioterapia. Ho perso i capelli, sofferto nausea e vomito, dolori ossei quando ho avuto bisogno di stimolatori midollari, fatigue, e mi sono arrostita il petto con la radio fatta tra agosto e settembre in Sicilia. E poi ho sospeso il ciclo mestruale per tre anni, e fatto cura ormonale per cinque, con tutto ciò che ne segue.

Come e` cambiata la tua vita in seguito alla diagnosi?

La mia vita è cambiata totalmente, intanto perchè ti assale la paura. Io poi ero un soggetto sano, mai stata operata prima, non assumevo farmaci: è stato come ammalarmi all'improvviso, come se d'improvviso non fossi più quella di prima. Ho pensato molto in quel periodo e pianto poco, mi mostravo forte, e lo ero. Soffrivo anche fisicamente ma ero concentrata su me stessa e sulle cure, non pensavo a molto altro. Ho cercato però di condurre, quando potevo, una vita normale, la famiglia, gli amici, la palestra, lo studio post universitario, qualche viaggetto, tanti sogni perchè sapevo di poterne coltivare ancora.

Quando e come hai scoperto di avere il cancro al seno metastatico?

Anche dopo i cinque fatidici anni mi sono controllata semestralmente con eco seno e addome completo, analisi del sangue e markers. Ebbene al settimo anno, quando solo sei mesi prima, il 26 settembre, il mio controllo generale era negativo, mi ritrovo, al 26 febbraio, con due masse al fegato di 4 cm circa ciascuna diagnosticate dall'eco come secondarismi. Tac e pet hanno non solo confermato la diagnosi, ma aggiunto al dato l'esistenza di circa altre nove metastasi sparse tra polmoni, ossa e mediastino.

Come questo genere di diagnosi ha cambiato la tua vita?

La diagnosi di quarto stadio è stata un incubo. Ero da sola a fare l'eco. Uscii in lacrime e convinta di morire di lì a pochi mesi. Vivo con le metastasi viscerali da 2 anni e 4 mesi. Si, li conto! Dal momento in cui ho saputo di essere una malata terminale è cominciata una nuova vita, in cui tutto è malattia e cura. Lo è il doversi recare continuamente in ospedale per le cure, il doversi sottoporre ad esami strumentali trimestrali, il dover subire i disturbi ad ogni infusione di chemioterapia, lo sono gli sguardi impietositi della gente benchè io dica di star benino, lo sono i miei pensieri, rivolti ad un futuro breve e i miei progetti finalizzati soprattutto alla lotta perchè questa malattia venga conosciuta e curata meglio. Non ho più una vita privata. Ero single alla diagnosi di metastasi e lo sono, non ho figli e non potrò averne mai. Sono destinata a morire presto. La vita media di chi sta come me al quarto stadio è di tre o quattro anni. Chi potrebbe considerare normale tutto ciò per una donna della mia età?

Che terapie stai facendo?

Sto facendo chemio dalla fine di aprile 2016, ininterrottamente. Ho cambiato già quattro diverse molecule. Le mie metastasi sembrano inizialmente reagire alle terapie, ma i miglioramenti, che pure ci sono stati con tre terapie, sono relativamente brevi, sei mesi in media, cui seguono peggioramenti repentini e dunque cambio di terapia. Non è stato possibile procedere ad operazioni, nè a terapie meno pesanti della chemio, (come le ormonali, ad esempio) perchè appunto non c'è stata mai una stabilità tale da poter permettere un cambio di strategia.

Cosa vorresti si facesse per le donne che vivono col cancro al seno metastatico?

Io credo che ognuna di noi abbia bisogno di punti fermi, innanzitutto di un oncologo, possibilmente sempre lo stesso, che conosca la nostra storia clinica, che sappia di tumore al seno metastatico, e che sappia come gestire, oltre alla malattia, la donna. Questa figura deve però essere inserita in un contesto in cui la donna metastatica abbia diritto ad esami strumentali fatti nei tempi, di figure che garantiscano le informazioni e l'accessibilità alle sperimentazioni, alle nuove tecnologie di cura estistenti, a strutture ospedaliere che prevedano assistenza psicologica continua ma anche professionalità, che aiutino fino alla fine, come i terapisti del dolore e ancora più posti letto negli hospice. Vedo che manca poi l'informazione sui diritti stabiliti dalla nuova legge sul testamento biologico, manca una giornata per il tumore al seno metastatico, che esiste invece negli States, dove la lotta per i diritti delle donne metastatiche ha fatto tanti passi in avanti. E ancora, sono pochi i fondi per la ricerca indirizzata nello specifico al quarto stadio del tumore al seno, e serve ancora di più un'uniformità territoriale del SSN che garantisca cure adeguate in ogni Regione per porre fine alla migrazione sanitaria che, oltre a costituire un trauma personale e familiare, sta indebitando le regioni del meridione a vantaggio di quelle del centro-nord Italia. Insomma, il lavoro da fare c'è ed è giusto che finalmente la politica sanitaria faccia attenzione alle circa 35 mila donne malate in Italia.

Si sente spesso dire, anche da parte di medici famosi, che ormai dal cancro al seno si guarisce, soprattutto “se preso in tempo”. Cosa ne pensi? 

Penso che non si voglia parlare mai di sconfitta, penso che a leggere bene i dati statistici ufficiali ci si accorge che qualcosa non va. Intanto si parla di un alto tasso di guarigione (anche 98%!) non specificando sempre che il tasso di guarigione è per prima cosa riferito allo stadio di scoperta della malattia, e che per lo stadio di malattia più grave questo tasso si abbassa notevolmente.Inoltre non viene sottolineato nelle informazioni diffuse che questi dati si riferiscono ai primi 5 anni dalla diagnosi. Ebbene, intanto metastasti e recidive si possono ripresentare anche dopo i 5 anni, e si è realmente "guarite" dal cancro al seno superato il 20esimo anno dalla diagnosi, almeno per il cancro ormonoresponsivo, quando cioè si azzera il rischio dovuto alla precedente malattia, cioè quando la donna in questione rischia come chi non è mai stata malata prima. Proprio per questo bisognerebbe diffondere anche i dati successivi ai 5 anni, che logicamente sono meno "vincenti". E ancora si dovrebbe chiarire che se una persona è viva dopo 5 anni di tempo dalla diagnosi, ciò non vuol dire che è "guarita", potrebbe benissimo aver avuto una recidiva o essere diventata metastatica, e sarebbe comunque contata tra quelle sopravviventi. Il problema è, perchè tutto ciò non ci viene detto?

giovedì 7 giugno 2018

Paziente metastatica guarita con l'immunoterapia? Non proprio

Il miracolo che tutti stavano aspettando si e` finalmente compiuto. La cura per il cancro al seno e` arrivata. L'annuncio e` stato dato il 4 giugno in mondo visione: una donna affetta da cancro al seno metastatico e` guarita grazie all'immunoterapia.
La notizia e` rimbalzata dovunque, anche in Italia. Per una volta, la palma della disinformazione non spetta ai media nostrani. Perche` di questo si tratta: disinformazione. Ce lo spiega Health New Review, un sito statunitense che fa le pulci al giornalismo scientifico [qui].

Partiamo dai fatti: Judy Perkins, 49 anni, malata di cancro al seno metastatico e in progressione nonostante diversi cicli di chemioterapia, e` in remissione completa da due anni dopo essere stata trattata con immunoterapia dal gruppo di ricerca di Steven Rosenberg del National Institue of Health (NIH). Non e` la prima volta che Rosenberg finisce sotto i riflettori. Era gia` successo nel 1985, quando le sue ricerche sull'interleukina 2, una proteina capace di far proliferare i linfociti, per la cura del cancro e nel 2006 quando Rosenberg aveva riportato il successo nella terapia del melanoma avanzato in due pazienti e i media avevano sorvolato allegramente sulla morte di un'altra quindicina.

Anche Judy Perkins non era sola. Altre 2 donne con cancro al seno metastatico facevano parte, insieme a lei, dello studio. Una e` morta per un'infezione, l'altra non ha risposto alla terapia. Le 3 donne facevano parte di un gruppo di 45 affetti da tumori maligni di diverso tipo e tutti in fase avanzata: solo in 7 casi l'immunoterapia ha dato risultati.
L'immunoterapia puo` avere serissimi effetti collaterali, costa oltre 100.000 dollari l'anno e probabilmente funziona solo su tumori di un certo tipo. Inoltre, non e` possibile sapere se Perkins continuera` a non presentare segni di malattia e se non incorrera` in altri problemi di salute legati proprio al trattamento subito. Solo il tempo, molto tempo potra` dirlo.

Infine, quella degli "exceptional responders", persone cioe` che traggono beneficio da terapie che nella maggioranza dei casi non funzionano e` una categoria ben nota in oncologia ed e` molto difficile capire se i risultati ottenuti sono dovuti o meno alle loro caratteristiche biologiche individuali.

Insomma, conclude Health News Review, non ci sono elementi per pronunciarsi sull'efficacia, la sicurezza e la sostenibilita` economica dell'immunoterapia.

Il giorno in cui la notizia del "miracolo" di cui sarebbe stata protagonista Judy Perkins e` stata pubblicata, Samuela Barco, 40 anni, e` morta a causa di un cancro al seno ormonoresponsivo. Quello che basta una pilloletta di tamoxifene al giorno per 5 o 10 anni e "si guarisce". Per Samuela non ha funzionato. Perche`? Nessuno lo sa e certamente la sua storia non finira` sui giornali, nonostante Samuela sia in compagnia delle oltre 12.000 donne che ogni anno muoiono di cancro al seno in Italia.

mercoledì 21 febbraio 2018

Annamaria Felisa

Annamaria Felisa era una donna normale. Insegnava scienze in un liceo bolognese. Aveva un marito e due figlie. Nel 2005, a 43 anni, si era ammalata di cancro al seno. Un tumore non particolarmente aggressivo in apparenza, tant'e` che non aveva intaccato i linfonodi, ma che, nel 2013 si e` ripresentato in forma metastatica.
Annamaria e` morta ieri. Aveva 55 anni. Ogni giorno in Italia 33 donne muoiono di cancro al seno. Ieri e` toccato ad Annamaria, domani potrebbe essere qualunque altra. Finche` non alzeremo seriamente la voce la situazione non cambiera`. Annamaria lo sapeva e, nonostante le sue precarie condizioni di salute, ad ottobre ci aveva parlato della sua situazione previdenziale e della sua storia di malattia.
Riproponiamo di seguito l'intervista e ci stringiamo a tutti i suoi cari.

D: Quanti anni hai e quando ti sei ammalata di cancro al seno?

R: Ho 55 anni, mi sono ammalata di tumore al seno nel 2005 a 43 anni.
Sono metastatica da fine 2013 (51 anni).

D: Che lavoro fai e come è cambiata la tua situazione lavorativa a seguito della diagnosi (sia iniziale che di metastatica)?

R: Sono docente di scuola superiore: insegno Scienze in un liceo di Bologna (ho laurea in biologia, specialistica in biochimica marina e 9 anni di borse di studio).
Nel 2005 (anno del tumore primario al seno, avevo 43 anni) insegnavo alle scuole medie e avevo una figlia di 4 e una di 9 anni. A seguito dell’operazione (quadrantectomia) e per effettuare la chemioterapia ho preso 8 mesi di grave patologia (15 ottobre 2005 – 15 giugno 2006). Il mio tumore primario non aveva intaccato i linfonodi , era un “banale” G2 (ER+ 95%, PRG+ 95%, Her2 -) molto ormonoresponsivo e nel mio caso il piano terapeutico ha previsto la  FEC 50 (6 cicli di chemio) , la radioterapia, un anno di enantone e 5 anni di tamoxifene .
Dopo gli 8 mesi di grave patologia, prendendo enantone e tamoxifene e con figlie piccole, sono tornata a lavorare a tempo pieno. Così ho fatto per diversi anni, persino nel 2011 e 2012 quando purtroppo ho "vinto" anche un tumore di basso grado alla vescica dovuto alla chemio fatta nel 2005 (effetto collaterale delle mitiche "rosse") e ho subíto, lavorando, installazioni locali di chemio (in vescica ).
Le metastasi del cancro al seno sono comparse a fine 2013 ed erano 3 anni e mezzo che avevo finito il tamoxifene (non prendevo NULLA insomma).
La diagnosi di metastaticitá mi ha buttato nel panico perché a suo tempo, facendo la chemio, mi avevano detto che avevo il 98% di possibilità di guarire (solo dopo molto tempo ho capito che le statistiche di cui parlano gli oncologi si riferiscono ai 5 anni e io effettivamente per 8  anni e mezzo ero apparentemente  guarita!!). Non avendo avuto i linfonodi intaccati e avendo fatto tutta la profilassi , nessuno mi aveva paventato la possibilità di metastasi dal torrente circolatorio cosa che invece è ciò che è successa a me.
Da gennaio 2014 a giugno 2014 ho nuovamente preso 6 mesi di grave patologia perché prima mi hanno fatto la radioterapia su di una vertebra (unico punto che brillava alla PET) e solo dopo alcuni mesi hanno capito, con PET negativa e marker bassi,  che avevo metastasi dal seno nelle ovaie. Ho tolte le ovaie a febbraio 2014 e da gennaio 2014 preso aromasin e zometa (flebo ogni 28gg). Sono tornata di nuovo a lavorare come metastatica, ma dal 2014 ho richiesto il part time per motivi di salute perché fra analisi, flebo, controlli e visite facevo troppe assenze e, insegnando, non si può perché lasci sempre le classi scoperte, per cui mi sono AUTOTASSATA rinunciando a parte dello stipendio in quanto malata  e per non creare troppi disservizi .
Ho lavorato così per due  anni (in questo periodo ero NEAD (-No Evidence of Active Disease, ndr- cioè PET e TAC PULITE) fino a marzo 2016 quando ho avuto un peggioramento notevole con metastasi nel basso peritoneo, fegato e inoltre alle ossa. Il peggioramento è stato causato dal fatto che, quando aromasin ha smesso di funzionare (ottobre 2015), mi hanno somministrato un ulteriore terapia ormonale (fulvestrant) per 4 cicli e purtroppo, mentre io allegramente  lavoravo, il mio tumore NON ha risposto al fulvestrant. In soli 4 mesi mi sono riempita di metastasi nel basso peritoneo e nel fegato e anche nelle ossa (lesioni osteoaddensanti). A marzo 2016, prima di iniziare chemio, ho persino dovuto mettere uno stent all’uretere destro perché la metastasi peritoneale rischiava di occluderlo.

D: Che terapie fai per il cancro al seno metastatico e quali sono i loro effetti collaterali?

R: Da marzo 2016 sono di nuovo in grave patologia (ho lo stipendio part time ma sto a casa). Prima ho fatto 10 abraxane (chemio in endovena) poi, per leggero peggioramento epatico, da novembre 2016 sono sotto terapia con capacetabina e vinorelbina.
Purtroppo da pochi giorni so che il CEA è salito molto e anche se la TAC era stabile la PET ha evidenziato una ripresa notevole nelle ossa e un fegato ancora con metastasi (in tutto questo tempo infatti il tumore è regredito solo nel peritoneo consentendomi di togliere lo stent a marzo 2017- per il resto ho avuto “stabilità”). Perciò dalla prossima settimana inizierò eribulina (flebo che causa perdita di capelli oltre a vari effetti collaterali) e xgeva per la mineralizzazione delle ossa.
A suo tempo gli effetti collaterali di abraxane sono stati perdita totale di capelli e sopracciglia, stitichezza, neuropatia e dolore forte alle gambe, stanchezza per almeno 3 giorni dopo la chemio ( da stare a letto o sul divano ) e anche nei giorni dopo non ero energeticamente normale. Della terapia che ho appena sospeso, capacetabina la reggevo bene (unghie deboli e gonfiore addominale) e se avevo solo quella ci provavo a tornare a lavorare con il part time, ma vinorelbina per me è  stata devastante sia per il  sistema immunitario sia per l’intestino: grande stitichezza, forti neuropatie, globuli bianchi e piastrine sotto la norma sempre. Alla luce dei recenti peggioramenti io francamente vorrei stare a casa e non pensare più al lavoro.

D: Ti senti abbastanza in forma per lavorare?
R: Il mio lavoro richiede energia, si sta in classi di 28 alunni, si parla 5 ore di seguito sempre in piedi e camminando, si fanno continuamente scale (nella mia scuola molto ripide) passando da una classe all’altra con portatile in mano e borsa stracolma di libri, a pomeriggio si devono preparare le lezioni e le verifiche e correggerle. Chi insegna sa che e' un lavoro impegnativo anche per una persona normale (specie di 55 anni) e nel mio caso io sarei  immunodepressa e credo proprio che non mi faccia bene  prendere l'autobus alle 7 del mattino ne' infilarmi in classi con 28 alunni (con influenze , mononucleosi, gastroenteriti, raffreddori ecc), non posso portare pesi per via delle metastasi alle vertebre (pc, libri? Chi li porta?), sarei lenta a fare le scale e pertanto penso di non avere la salute necessaria per insegnare. In fondo sei sempre davanti a 28 spettatori e non amo mettere in piazza le mie fragilità!! Per concludere direi che 19 mesi di chemio ininterrotta hanno anche inficiato la mia memoria (non ricordo i nomi delle persone per dirne una e come sappiamo ci sono molte pubblicazioni sul “cervello da chemio”). Insomma sarei un rottame che insegna.

D: Se a marzo 2018 (fine dell’attuale grave patologia) decidessi di lasciare il tuo lavoro ti spetterebbe una pensione di inabilità e se sì a quanto ammonterebbe?

R: Da quanto mi ha detto il medico legale del patronato (CGIL) in data 12/10/2017 lei non richiederebbe per me la pensione di inabilità perché "parlo , ragiono e cammino " e in Emilia Romagna,a suo dire, la danno solo a chi è infermo in un letto. Secondo lei avrei diritto ad un ricollocamento che significa finire in segreteria, ma non so se con lo stesso stipendio e lo stesso orario (ho voci molto contraddittorie al riguardo). Se rientro a lavorare a scuola manterrei il mio stipendio e il mio orario cioè con il part time 12 ore frontali (più almeno 20 a casa in nero a preparare lezioni e correggere verifiche): devo pensarci bene.
Il consiglio del medico del patronato è stato velatamente quello di tornare in classe perché se accetto di andare in segreteria devo lavorare a luglio e agosto mentre come docente starei a casa. E’ vero, ma penso che così facendo sicuramente mi ammalo prima di luglio e agosto e in effetti se defungo risparmiano tutti (no terapie, no pensione ecc)!!
Nella mia esperienza il cancro mi ha colpito duramente quando ero sotto pressione (come se avessi avuto un calo di difese immunitarie) e la scuola ha giocato un grosso peso nella genesi del mio stress (ansia da prestazione, continue riunioni, progetti, verifiche , alunni da recuperare, approfondimenti, stages, lezioni ecc). Io penso che il cancro sia una malattia che richiede al corpo molta energia (per resistere alle terapie, per non ammalarsi in quanto immunodepressi, per resistere a TAC e PET). Occorre stare tranquilli, prendersi il proprio tempo, fare le cose che ci piacciono, mangiare bene, sforzarsi comunque di uscire e camminare e/ o fare attività fisica . Come si fa a pensare che uno che va a lavorare, anche in segreteria, abbia poi ancora le energie per fare tutto ciò? Inevitabilmente peggiorerei più in fretta secondo me. Poi io dovrei lavorare sotto chemio a vita (con le attuali terapie non c’è guarigione) e cioè dovrei morire lavorando e presentarmi ogni giorno al lavoro (qualunque esso sia) sempre più rovinata. Io ho una mia dignità, se fosse possibile eviterei.
Alle mie obiezioni il medico del patronato ha risposto testuale: "i malati di cancro vogliono lavorare". Ho solo 20 anni di contributi: può essere una mia scelta  uscire dal mondo del lavoro anche con una pensione bassa (che avrei in realtà voluto essere almeno pari alla pensione minima di vecchiaia)  in modo da "godermi", fra una terapia e l'altra, il  po' di vita che mi resta?
Si parla di adeguamento delle pensioni alle aspettative di vita: non vale anche per chi e' destinato a vivere poco ( ho metastasi ossa, basso peritoneo e fegato e dovrò fare chemio a vita)? o devo morire lavorando?
Con rabbia osservo che  intanto continuiamo  a pagare baby pensioni a persone che vivono alle Canarie o in Grecia e sono in salute (l’hanno avuta con molti meno contributi di me ricordo), continuiamo ad elargire pensioni d'oro ai senatori  e pensioni molto esose alle vedove dei senatori della prima repubblica del dopoguerra. Vi sembra equo?

D: A quanto ammonterebbe la tua pensione se te la dessero?

R: AH! AH! Se ottengo la pensione di inabilità, da quanto mi hanno detto a voce al patronato, saranno circa 400 euro a cui potrei aggiungere l'assegno di invalidità civile (circa 270 euro credo). Sottolineo che a  tutt'oggi non ho mai goduto ne' di assegno di invalidità (perché il part time supera il tetto di reddito previsto) ne' tanto meno di accompagnamento (pur essendo in chemio da marzo 2016). In altre Regioni so che, anche chi ha solo metastasi ossee e non fa chemio ma solo terapia ormonale,  percepisce l’accompagnamento. Non mi sembra giusto francamente (in Emilia Romagna solo se non sei autosufficiente o non deambuli).
Inutile dire che con due figlie ancora in casa (16 e 21 anni) quei pochi soldi nemmeno li vedrei, ma almeno avrei più energie per combattere la malattia.  Se invece tornerò a lavorare a scuola (o chiederò il ricollocamento ) i soldi saranno comunque i pochi di sempre (1300 euro), ma con meno energie. Devo decidere .


Sottolineo che ho SOLO vent’anni di contributi non perché ho bighellona. Tutti i laureati (medici, avvocati ecc.) in Italia si sottopongono a lunghi tirocini mal pagati prima di avere un lavoro stabile. Nel mio caso ho avuto 9 anni di borse di studio senza versamento di contributi pensionistici  da ASL , Regione Emilia Romagna (la stessa che ora mi ritiene abile per il lavoro), Provincia, Università ecc.  perche’ lavoravo sull’ambiente. Ai concorsi arrivavo sempre seconda o terza. Poi quando hanno istituito le ARPA hanno impiegato circa sei anni per fare regolari concorsi e nel frattempo io sono entrata di ruolo a scuola. In seconda battuta, dal 1990 al 2000 non ci sono stati concorsi a cattedre nella scuola (come diventavo di ruolo se non c’erano concorsi?). In terza battuta, per riscattare laurea e specialistica mi chiedevano 40000 euro (però vedo che è allo studio in questi giorni una delle solite leggi una tantum tipicamente italiane per riscattare GRATIS laurea e specialistica a chi è nato dopo un certo anno; ovviamente non vale per me). Insomma  se avessi tutti questi contributi ne avrei ben 35 di anni contributivi! In ogni caso, visto che la pensione di inabilità al lavoro viene erogata subito e non a 67 anni come per le altre persone  (magari potessi aspettare i 67 anni!) anche con molti contributi sarebbe comunque molto decurtata: 400 euro di pensione di inabilità sono davvero pochi , non sono nemmeno la pensione di minima sussistenza!!! Vi sembra equo? Mah... mi sa che sono una tipica storia italiana...

martedì 31 ottobre 2017

Rimani qua, Beth




Ottobre rosa si chiude nel peggiore modo possibile, ma purtroppo il piu` rispondente alla realta`.

Di cancro al seno si muore. E la mia adorata Beth Caldwell, co-fondatrice di METUP [qui] e attivista instancabile, sta per morire. Lo scrive suo marito sul suo blog [qui].

Negli ultimi 3 anni Beth e` stata un punto di riferimento importantissimo. Non dimentichero` il nostro incontro a San Antonio nel 2015, i poster che aveva stampato e distribuito e che avevamo appiccicato con la gomma da masticare alle nostre sedie durante la cerimonia per l'assegnazione del premio della Komen, la riunione nella sua camera d'albergo mentre lei era allettata e faceva colazione col bacon che tanto le piace per poi imbottirsi di pillole di chemioterapici.

Sei venuta in Inghilterra, Beth, e io non c'ero. Sono venuta io negli Stati Uniti e non sono venuta a trovarti perche` Seattle era lontana e perche` sapevo che sarei tornata presto. Ti credevo immortale, nonostante l'avanzare inesorabile della malattia. Rimani qua, Beth, non te ne andare. Rimani con chi ti vuole bene, con tuo marito e i tuoi bambini. Ti scongiuro, rimani.







venerdì 20 ottobre 2017

Con le metastasi ma senza pensione

Siamo faticosamente giunte agli ultimi dieci giorni ottobre, sommerse, come ogni anno, dalle solite balle sul cancro al seno tra guarigioni quasi al 100%, diagnosi precoce fatta passare per prevenzione e una vita da cancrate tutta rosa. Quale antidoto migliore a tutto questo che una bella immersione nella realta` di chi vive con il cancro al seno metastatico e deve fare i conti, oltre che con terapie estenuanti a tempo indeterminato, anche con la totale assenza di diritti in termini previdenziali per chi e` affetto da una malattia cosi` grave? Ne abbiamo parlato con Annamaria Felisa.

D: Quanti anni hai e quando ti sei ammalata di cancro al seno?

R: Ho 55 anni, mi sono ammalata di tumore al seno nel 2005 a 43 anni.
Sono metastatica da fine 2013 (51 anni).

D: Che lavoro fai e come è cambiata la tua situazione lavorativa a seguito della diagnosi (sia iniziale che di metastatica)?

R: Sono docente di scuola superiore: insegno Scienze in un liceo di Bologna (ho laurea in biologia, specialistica in biochimica marina e 9 anni di borse di studio).
Nel 2005 (anno del tumore primario al seno, avevo 43 anni) insegnavo alle scuole medie e avevo una figlia di 4 e una di 9 anni. A seguito dell’operazione (quadrantectomia) e per effettuare la chemioterapia ho preso 8 mesi di grave patologia (15 ottobre 2005 – 15 giugno 2006). Il mio tumore primario non aveva intaccato i linfonodi , era un “banale” G2 (ER+ 95%, PRG+ 95%, Her2 -) molto ormonoresponsivo e nel mio caso il piano terapeutico ha previsto la  FEC 50 (6 cicli di chemio) , la radioterapia, un anno di enantone e 5 anni di tamoxifene .
Dopo gli 8 mesi di grave patologia, prendendo enantone e tamoxifene e con figlie piccole, sono tornata a lavorare a tempo pieno. Così ho fatto per diversi anni, persino nel 2011 e 2012 quando purtroppo ho "vinto" anche un tumore di basso grado alla vescica dovuto alla chemio fatta nel 2005 (effetto collaterale delle mitiche "rosse") e ho subíto, lavorando, installazioni locali di chemio (in vescica ).
Le metastasi del cancro al seno sono comparse a fine 2013 ed erano 3 anni e mezzo che avevo finito il tamoxifene (non prendevo NULLA insomma).
La diagnosi di metastaticitá mi ha buttato nel panico perché a suo tempo, facendo la chemio, mi avevano detto che avevo il 98% di possibilità di guarire (solo dopo molto tempo ho capito che le statistiche di cui parlano gli oncologi si riferiscono ai 5 anni e io effettivamente per 8  anni e mezzo ero apparentemente  guarita!!). Non avendo avuto i linfonodi intaccati e avendo fatto tutta la profilassi , nessuno mi aveva paventato la possibilità di metastasi dal torrente circolatorio cosa che invece è ciò che è successa a me.
Da gennaio 2014 a giugno 2014 ho nuovamente preso 6 mesi di grave patologia perché prima mi hanno fatto la radioterapia su di una vertebra (unico punto che brillava alla PET) e solo dopo alcuni mesi hanno capito, con PET negativa e marker bassi,  che avevo metastasi dal seno nelle ovaie. Ho tolte le ovaie a febbraio 2014 e da gennaio 2014 preso aromasin e zometa (flebo ogni 28gg). Sono tornata di nuovo a lavorare come metastatica, ma dal 2014 ho richiesto il part time per motivi di salute perché fra analisi, flebo, controlli e visite facevo troppe assenze e, insegnando, non si può perché lasci sempre le classi scoperte, per cui mi sono AUTOTASSATA rinunciando a parte dello stipendio in quanto malata  e per non creare troppi disservizi .
Ho lavorato così per due  anni (in questo periodo ero NEAD (-No Evidence of Active Disease, ndr- cioè PET e TAC PULITE) fino a marzo 2016 quando ho avuto un peggioramento notevole con metastasi nel basso peritoneo, fegato e inoltre alle ossa. Il peggioramento è stato causato dal fatto che, quando aromasin ha smesso di funzionare (ottobre 2015), mi hanno somministrato un ulteriore terapia ormonale (fulvestrant) per 4 cicli e purtroppo, mentre io allegramente  lavoravo, il mio tumore NON ha risposto al fulvestrant. In soli 4 mesi mi sono riempita di metastasi nel basso peritoneo e nel fegato e anche nelle ossa (lesioni osteoaddensanti). A marzo 2016, prima di iniziare chemio, ho persino dovuto mettere uno stent all’uretere destro perché la metastasi peritoneale rischiava di occluderlo.

D: Che terapie fai per il cancro al seno metastatico e quali sono i loro effetti collaterali?

R: Da marzo 2016 sono di nuovo in grave patologia (ho lo stipendio part time ma sto a casa). Prima ho fatto 10 abraxane (chemio in endovena) poi, per leggero peggioramento epatico, da novembre 2016 sono sotto terapia con capacetabina e vinorelbina.
Purtroppo da pochi giorni so che il CEA è salito molto e anche se la TAC era stabile la PET ha evidenziato una ripresa notevole nelle ossa e un fegato ancora con metastasi (in tutto questo tempo infatti il tumore è regredito solo nel peritoneo consentendomi di togliere lo stent a marzo 2017- per il resto ho avuto “stabilità”). Perciò dalla prossima settimana inizierò eribulina (flebo che causa perdita di capelli oltre a vari effetti collaterali) e xgeva per la mineralizzazione delle ossa.
A suo tempo gli effetti collaterali di abraxane sono stati perdita totale di capelli e sopracciglia, stitichezza, neuropatia e dolore forte alle gambe, stanchezza per almeno 3 giorni dopo la chemio ( da stare a letto o sul divano ) e anche nei giorni dopo non ero energeticamente normale. Della terapia che ho appena sospeso, capacetabina la reggevo bene (unghie deboli e gonfiore addominale) e se avevo solo quella ci provavo a tornare a lavorare con il part time, ma vinorelbina per me è  stata devastante sia per il  sistema immunitario sia per l’intestino: grande stitichezza, forti neuropatie, globuli bianchi e piastrine sotto la norma sempre. Alla luce dei recenti peggioramenti io francamente vorrei stare a casa e non pensare più al lavoro.

D: Ti senti abbastanza in forma per lavorare?
R: Il mio lavoro richiede energia, si sta in classi di 28 alunni, si parla 5 ore di seguito sempre in piedi e camminando, si fanno continuamente scale (nella mia scuola molto ripide) passando da una classe all’altra con portatile in mano e borsa stracolma di libri, a pomeriggio si devono preparare le lezioni e le verifiche e correggerle. Chi insegna sa che e' un lavoro impegnativo anche per una persona normale (specie di 55 anni) e nel mio caso io sarei  immunodepressa e credo proprio che non mi faccia bene  prendere l'autobus alle 7 del mattino ne' infilarmi in classi con 28 alunni (con influenze , mononucleosi, gastroenteriti, raffreddori ecc), non posso portare pesi per via delle metastasi alle vertebre (pc, libri? Chi li porta?), sarei lenta a fare le scale e pertanto penso di non avere la salute necessaria per insegnare. In fondo sei sempre davanti a 28 spettatori e non amo mettere in piazza le mie fragilità!! Per concludere direi che 19 mesi di chemio ininterrotta hanno anche inficiato la mia memoria (non ricordo i nomi delle persone per dirne una e come sappiamo ci sono molte pubblicazioni sul “cervello da chemio”). Insomma sarei un rottame che insegna.

D: Se a marzo 2018 (fine dell’attuale grave patologia) decidessi di lasciare il tuo lavoro ti spetterebbe una pensione di inabilità e se sì a quanto ammonterebbe?

R: Da quanto mi ha detto il medico legale del patronato (CGIL) in data 12/10/2017 lei non richiederebbe per me la pensione di inabilità perché "parlo , ragiono e cammino " e in Emilia Romagna,a suo dire, la danno solo a chi è infermo in un letto. Secondo lei avrei diritto ad un ricollocamento che significa finire in segreteria, ma non so se con lo stesso stipendio e lo stesso orario (ho voci molto contraddittorie al riguardo). Se rientro a lavorare a scuola manterrei il mio stipendio e il mio orario cioè con il part time 12 ore frontali (più almeno 20 a casa in nero a preparare lezioni e correggere verifiche): devo pensarci bene.
Il consiglio del medico del patronato è stato velatamente quello di tornare in classe perché se accetto di andare in segreteria devo lavorare a luglio e agosto mentre come docente starei a casa. E’ vero, ma penso che così facendo sicuramente mi ammalo prima di luglio e agosto e in effetti se defungo risparmiano tutti (no terapie, no pensione ecc)!!
Nella mia esperienza il cancro mi ha colpito duramente quando ero sotto pressione (come se avessi avuto un calo di difese immunitarie) e la scuola ha giocato un grosso peso nella genesi del mio stress (ansia da prestazione, continue riunioni, progetti, verifiche , alunni da recuperare, approfondimenti, stages, lezioni ecc). Io penso che il cancro sia una malattia che richiede al corpo molta energia (per resistere alle terapie, per non ammalarsi in quanto immunodepressi, per resistere a TAC e PET). Occorre stare tranquilli, prendersi il proprio tempo, fare le cose che ci piacciono, mangiare bene, sforzarsi comunque di uscire e camminare e/ o fare attività fisica . Come si fa a pensare che uno che va a lavorare, anche in segreteria, abbia poi ancora le energie per fare tutto ciò? Inevitabilmente peggiorerei più in fretta secondo me. Poi io dovrei lavorare sotto chemio a vita (con le attuali terapie non c’è guarigione) e cioè dovrei morire lavorando e presentarmi ogni giorno al lavoro (qualunque esso sia) sempre più rovinata. Io ho una mia dignità, se fosse possibile eviterei.
Alle mie obiezioni il medico del patronato ha risposto testuale: "i malati di cancro vogliono lavorare". Ho solo 20 anni di contributi: può essere una mia scelta  uscire dal mondo del lavoro anche con una pensione bassa (che avrei in realtà voluto essere almeno pari alla pensione minima di vecchiaia)  in modo da "godermi", fra una terapia e l'altra, il  po' di vita che mi resta?
Si parla di adeguamento delle pensioni alle aspettative di vita: non vale anche per chi e' destinato a vivere poco ( ho metastasi ossa, basso peritoneo e fegato e dovrò fare chemio a vita)? o devo morire lavorando?
Con rabbia osservo che  intanto continuiamo  a pagare baby pensioni a persone che vivono alle Canarie o in Grecia e sono in salute (l’hanno avuta con molti meno contributi di me ricordo), continuiamo ad elargire pensioni d'oro ai senatori  e pensioni molto esose alle vedove dei senatori della prima repubblica del dopoguerra. Vi sembra equo?

D: A quanto ammonterebbe la tua pensione se te la dessero? 

R: AH! AH! Se ottengo la pensione di inabilità, da quanto mi hanno detto a voce al patronato, saranno circa 400 euro a cui potrei aggiungere l'assegno di invalidità civile (circa 270 euro credo). Sottolineo che a  tutt'oggi non ho mai goduto ne' di assegno di invalidità (perché il part time supera il tetto di reddito previsto) ne' tanto meno di accompagnamento (pur essendo in chemio da marzo 2016). In altre Regioni so che, anche chi ha solo metastasi ossee e non fa chemio ma solo terapia ormonale,  percepisce l’accompagnamento. Non mi sembra giusto francamente (in Emilia Romagna solo se non sei autosufficiente o non deambuli).
Inutile dire che con due figlie ancora in casa (16 e 21 anni) quei pochi soldi nemmeno li vedrei, ma almeno avrei più energie per combattere la malattia.  Se invece tornerò a lavorare a scuola (o chiederò il ricollocamento ) i soldi saranno comunque i pochi di sempre (1300 euro), ma con meno energie. Devo decidere .
Sottolineo che ho SOLO vent’anni di contributi non perché ho bighellona. Tutti i laureati (medici, avvocati ecc.) in Italia si sottopongono a lunghi tirocini mal pagati prima di avere un lavoro stabile. Nel mio caso ho avuto 9 anni di borse di studio senza versamento di contributi pensionistici  da ASL , Regione Emilia Romagna (la stessa che ora mi ritiene abile per il lavoro), Provincia, Università ecc.  perche’ lavoravo sull’ambiente. Ai concorsi arrivavo sempre seconda o terza. Poi quando hanno istituito le ARPA hanno impiegato circa sei anni per fare regolari concorsi e nel frattempo io sono entrata di ruolo a scuola. In seconda battuta, dal 1990 al 2000 non ci sono stati concorsi a cattedre nella scuola (come diventavo di ruolo se non c’erano concorsi?). In terza battuta, per riscattare laurea e specialistica mi chiedevano 40000 euro (però vedo che è allo studio in questi giorni una delle solite leggi una tantum tipicamente italiane per riscattare GRATIS laurea e specialistica a chi è nato dopo un certo anno; ovviamente non vale per me). Insomma  se avessi tutti questi contributi ne avrei ben 35 di anni contributivi! In ogni caso, visto che la pensione di inabilità al lavoro viene erogata subito e non a 67 anni come per le altre persone  (magari potessi aspettare i 67 anni!) anche con molti contributi sarebbe comunque molto decurtata: 400 euro di pensione di inabilità sono davvero pochi , non sono nemmeno la pensione di minima sussistenza!!! Vi sembra equo? Mah... mi sa che sono una tipica storia italiana...

venerdì 4 agosto 2017

Morire di cancro al seno non e` scritto nel destino

Estate. Siete in Italia. Insieme a Lucifero. E state "morendo" di caldo. Beati voi!
Un sacco di mie conoscenti e amiche, invece, stanno morendo di cancro al seno. E` una strage senza fine. Che non si ferma e non si fermera` finche` non ci sara` la volonta` politica di farlo. E la volonta` politica di farlo non ci sara` finche` continueremo a pensare che e` scritto nel destino ammalarsi di cancro al seno e morirne. Finche` non pretenderemo prevenzione primaria e terapie piu` efficaci e meno tossiche per tutti gli stadi della malattia, incluso il quarto.

                                                                Lori Marx Rubiner

Ieri se n'e` andata Lori Marx Rubiner, ex presidentessa di METAVivor, l'unica organizzazione no-profit negli Stati Uniti a raccogliere fondi esclusivamente per la ricerca per migliorare la longevita` e la qualita` della vita delle persone affette da cancro al seno metastatico [qui].
Lori si era ammalata nel 2002, a soli 36 anni. Dopo intervento chirurgico, chemio, radioterapia e 5 anni di tamoxifene, sembrava si fosse lasciata la malattia alle spalle. Nel 2011 sono arrivate le metastasi ossee.
"Non dimentico mai che io sono 'l'incubo peggiore' delle donne che hanno o hanno avuto il cancro al seno; la mia vita e` la loro paura piu` grande", scriveva Lori in uno dei tanti post sul suo blog in cui ha documentato la sua condizione di donna con cancro al seno metastatico e il suo instancabile attivismo [qui].


                                                                    Beth Caldwell

E poi c'e` Beth. La mia Beth. Appesa a un filo.
"Il cancro al seno e` spesso dipinto come una cosa allegra, rosa, con le piume di struzzo; tipo 'Sono sopravvissuta, metto un reggiseno rosa al mio cane e lo copro di palloncini. Circa il 5-10% di noi sono metastatiche dall'inizio e il 20-30% di quelle che l'hanno preso in fase iniziale andranno in metastasi e moriranno di cancro al seno", ha raccontato Beth in TV un paio di giorni fa [qui].
Beth ha scoperto la malattia a 37 anni, nel 2014 e, insieme a Jennie Grimes, nel 2015 ha fondato MET UP e organizzato diversi Die-In in protesta contro l'attuale situazione della ricerca sulle terapie per chi e` gia` in metastasi [qui].
La sera in cui l'intervista televisiva di Beth e` andata in onda e` arrivata una notizia terribile. Il cancro avrebbe invaso le meningi lasciandole non piu` di 2-4 mesi di vita. Beth ha quindi deciso di sospendere le terapie debiliatanti a cui e` sottoposta per godersi i suoi ultimi giorni con marito e figli, di 10 e 5 anni.
Jim, il piu` grande, un giorno le ha chiesto se stava per morire. "Un giorno" - gli ha risposto sua madre - "ma non oggi."

martedì 30 maggio 2017

Quando il cancro al seno si diffonde dopo 25 anni

Questa giornata finisce ancora peggio di com'era iniziata.
Era iniziata male perche` a nemmeno 12 ore dall'iniezione blocca-ovaie che faccio ogni 28 giorni da ormai 7 anni, gia` stavo come un vegetale, gli occhi a mezz'asta e il cervello in poltiglia.
"Sto cancro di merda non finisce mai", pensavo quando mi sono imbattuta in un servizio del TG1 secondo cui la presidente della Camera Laura Boldrini, nel corso di un incontro sulle breast unit tenutosi ieri a Montecitorio, avrebbe detto che dal cancro al seno "si guarisce". Due anni fa, avevamo regalato a Boldrini Pink Ribbon Blues, il libro di Gayle Sulik di cui abbiamo parlato piu` volte [qui]. Non deve avere avuto modo di leggerlo se ha fatto un'affermazione tanto avventata.
A seguire, mi e` toccato l'articolo di Repubblica che celebrava tali Nicoletta, Ivana e Raffaele che, stando al titolone ad effetto, avrebbero "vinto il tumore al seno" [qui]. Vinto come si vince un premio? Chissa`...
Mi sono presa una pausa da internet onde evitare di passare il resto della giornata ad inveire sulla disinformazione su tutto cio` che riguarda il cancro al seno a tutti i livelli. Mi ci sono riaffacciata pochi minuti fa per leggere da un'attivista americana che Olivia Newton John, l'attrice che in Italia conosciamo prevalentemente come protagonista di Grease, ha scoperto una metastasi del cancro al seno scoperto nel 1992. 25 anni dopo. 25.
Dal cancro si guarisce, il tumore al seno si vince. Andatelo a dire ad Olivia Newton John e al 30% delle donne che, a prescindere dalla stazione alla diagnosi, vedranno la loro malattia diffondersi e ne moriranno. In alternativa, potreste sempre considerare la possibilita` di chiudere il becco. 

giovedì 27 aprile 2017

Siamo tutte metastatiche - Il die-in



Il 12 aprile 2015 108 donne malate di cancro al seno metastatico si sono sdraiate a terra tenendosi la mano a Philadelphia [qui]. Una di loro ha letto il testo seguente:

"Carissime, siamo qui riunite per dire addio ai 108 Americani che moriranno di cancro al seno metastatico OGGI, e OGNI giorno, perche` non c'e` cura per la nostra malattia. Sono nostr* amic*, madri, figlie, sorelle, e meritano di piu`. Meritano una cura e che la loro memoria sia onorata CHIEDENDOLA, non un giorno, ma ORA. E ora osserviamo un minuto di silenzio per i 108 tra uomini e donne che non sono piu` con noi"

L'autrice di questo "elogio funebre per i 108" e` Beth Caldwell, giovane avvocata di Seattle, ammalatasi di cancro al seno metastatico nel 2014 a soli 37 anni. Beth e` una cosiddetta metastatica de novo. La sua malattia era metastatica sin dall'esordio. E non perche` non aveva "fatto prevenzione", ossia la mammografia - per cui alla sua eta` non c'e` indicazione - o l'autopalpazione. Beth, anzi, la faceva regolarmente e non aveva mai sentito nulla, finche` non ha sentito un nodulo mentre faceva la doccia. Il 6-10% dei casi di cancro al seno negli Stati Uniti si presentano al quarto stadio fin dall'inizio, come Beth ha appreso quando, precipitatasi dal medico e fatti gli esami di rito, ha saputo che il suo cancro era gia` andato alle ossa ed era quindi, come racconta lei stessa, "incurabile" [qui].
A quel die-in - una manifestazione di protesta in cui ci si sdraia facendo finta di essere morti - aveva partecipato anche Jennie Grimes, trentenne anche lei metastatica. Insieme a Beth, Jennie, nei giorni successivi dara` vita a MET UP, organizzazione impegnata sul fronte del cancro al seno metastatico attraverso la disubbidienza civile il cui nome richiama quello di ACT UP, altra organizzazione che si occupa di AIDS utilizzando gli stessi metodi [qui e qui].

Da allora ci sono state altre manifestazioni e altri die in [qui e qui] e sabato 29 aprile ce ne sara` un altro ancora, sempre a Philadelphia. Perche`? Perche` di cancro al seno si continua a morire e non si fa abbastanza per consentire a chi e` al quarto stadio di vivere piu` a lungo e con una buona qualita` di vita. Metastatiche possiamo esserlo tu. Chi ha gia` il cancro al seno e chi non ce l'ha ancora. La sopravvivenza media negli Stati Uniti per chi ha metastasi di cancro al seno e` in media di tre anni. Ogni anno circa 40.000 donne muoiono. In Italia, sono circa 12.000. 1.000 al mese. Non c'e` altro tempo da perdere. Occorre mobilitarsi. Le attiviste di MET UP chiedono sostegno. Come? Se siete troppo lontan* da Philadelphia, scattatevi una foto con in mano un poster che potete stampare dalla loro pagina Facebook [qui] la foto di una persona cara morta di cancro al seno metastatico, possibilmente sdraiatevi a terra con gli occhi chiusi (se non volete o potete, qualsiasi altra posa va benissimo) e postate sui social con il tag @metuporg per Facebook e @METUPorg per Twitter usando l'hashtag #SpeakOutDieIn. E` un gesto semplice, ma importante. E` amore verso le donne di MET UP e verso se` stesse.




mercoledì 12 ottobre 2016

Speranza, politica e vivere con il cancro al seno

In occasione della giornata del cancro al seno metastatico, pubblichiamo la traduzione del primo capitolo di So Much To Be Done, la raccolta di scritti di Barbara Brenner, edita da University of Minnesota Press, che sara` presentata a Bologna il 7 novembre prossimo [qui e qui]. Lo scritto e` stato pubblicato nell'agosto del 1995 all'interno della newsletter di Breast Cancer Action, di cui Barbara Brenner era allora presidente.

Trascorro molte ore la settimana a comunicare attraverso la rete con persone che si occupano di cancro al seno. In un recente scambio su internet con delle colleghe ho chiesto come dovremmo chiamarci noi che siamo state trattate per il cancro al seno. La discussione ha sollevato questioni importanti circa la relazione tra speranza e politica.

Non mi definisco una "sopravvissuta" al cancro al seno, ne` mi riferisco ad altre persone che hanno ricevuto la stessa diagnosi come a delle "sopravvissute". Il termine suggerisce - a torto - che il cancro al seno e` curabile. E` vero, grazie al cielo, che molte di noi vivranno a lungo abbastanza da morire di qualche altra cosa. Ma nessuna malata di cancro al seno potra` mai dire onestamente che il cancro non ritornera`. 

Per me, il termine "sopravvissuta" rimanda all'idea che non sono morta di cancro al seno perche` sono in qualche modo migliore o diversa dalle centinaia di migliaia di donne che sono morte di questa malattia. 

Non ho trovato una parola sola che esprima quello che voglio dire quando parlo della mia esperienza con il cancro al seno: che ha cambiato la mia vita per sempre e in molti modi, che il cancro mi uccida o no. La frase "vivere con il cancro al seno" e` un'opzione. Dice agli altri che e` possibile vivere con questa malattia, riconoscendo implicitamente che non tutte sono cosi` fortunate. Inoltre, comunica che la diagnosi e` un evento che cambia la vita. Tuttavia implica (come anche la frase "ho il cancro al seno") che la persona in questione e` in terapia o ne ha bisogno. [...]

Quando ho mandato queste idee al mio gruppo online sul cancro al seno, a una persona non e` piaciuta la frase "vivere con il cancro al seno" perche` riecheggiava il programma dell'American Cancer Society "Vivere con il cancro al seno" che, secondo lei, contiene paura e false speranze. Questa donna voleva concentrare l'attenzione sul bisogno di prevenire il cancro al seno. Un'altra del gruppo si chiedeva, in risposta, se dovessimo sacrificare la speranza pur di esercitare la pressione politica necessaria affinche` si trovino cure e misure preventive. 

Secondo l'American College Dictionary, speranza vuol dire "attesa di qualcosa di desiderato" o "fiducia in un evento futuro". Allo stato attuale, riporre aspettative o essere fiduciose che il cancro al seno, una volta trattato, non si ripresentera` e` una falsa speranza. Non c'e` cura per il cancro al seno. Dobbiamo far credere alle persone che una cura esista perche` altrimenti si sentiranno indifese di fronte alla diagnosi? Oppure dobbiamo far capire alle persone che non c'e` una cura se vogliamo aspettarci che l'epidemia di cancro al seno riceva l'attenzione di cui necessita?

Queste domande mettono in luce il punto in cui il personale e il politico - che di solito sono la stessa cosa - si separano. Le persone malate e i loro cari hanno bisogno di speranza. Hanno bisogno di credere che loro e i loro cari possono guarire perche` la speranza e` essenziale per l'animo umano. E in realta`, a volte, finite le terapie, per ragioni che nessuno puo` identificare, il cancro non ritornera`. La stessa terapia, pero`, in un'altra donna o in migliaia di alte donne, non garantisce la guarigione. Ed e` questo il fatto che deve muovere l'azione politica e che rende il lavoro di Breast Cancer Action cosi` importante. 

Finche` le persone continueranno a fingere che esiste una cura per il cancro al seno, le donne continueranno a morire per la negligenza che caratterizza questa malattia. Piu` di um milione di donne - tutte quelle a cui e` stata diagnosticata - vivono giorno dopo giorno con la possibilita` di una ripresa di malattia. Bisogna far capire questa realta` se  vogliamo esercitare una pressione reale sulle istituzioni governative, mediche e scientifiche perche` trovino un modo efficace per porre fine a questa epidemia. 

La polio era considerata un'emergenza sanitaria quando 50.000 persone all'anno si ammalavano e 3.300 ne morivano. Cosa ci vorra` perche` il cancro al seno riceva lo stesso tipo di attenzione? Ci vorra` che le donne che si sono ammalate e quelle a rischio (ossia tutte le donne) si facciano sentire circa il bisogno di cure e prevenzione. Quindi, visto che il personale e` politico, per quelli a cui interessa saperlo e per i molti a cui non importa, sono una donna che vive con il cancro al seno.

Barbara Brenner
Presidente

martedì 12 gennaio 2016

Holley Kitchen




Il suo video sulla realta` del cancro al seno metastatico ha fatto il giro del mondo nel giugno del 2015. E lei non se lo aspettava di certo. Poco prima di mettersi a cenare con la sua famiglia, marito e due bambini di nove e 4 anni, nella loro casa di Cedar Park, in Texas, Holley Kitchen, chiusa nella sua camera da letto e armata di iPad e bigliettini, e` riuscita a condensare cio` che occorre sapere sul cancro al seno metastatico che l'aveva colpita, a distanza di poco tempo dalla prima diagnosi, a soli 40 anni e dopo una doppia mastectomia, chemio, radio e ormonoterapia. Caricato su Facebook il video, Holley e` tornata dai suoi cari per scoprire, dopo cena, che in poco meno di mezz'ora era stato visto da cinque mila persone.
Ad oggi le visualizzazioni sono oltre cinquantuno milioni [qui]. Oggi pero` Holley non c'e` piu`. E` morta. A nulla sono serviti gli sforzi per prolungarne la vita, incluso l'arruolamento in uno studio clinico. Qualche giorno fa aveva raccontato sulla sua pagina Facebook che le sue precarie condizioni di salute non le consentivano di proseguire la chemioterapia e che il suo nuovo obiettivo era riuscire a vedere il suo figlio piu` piccolo compiere 5 anni tra 5 settimane [qui]. Non ha fatto in tempo.
Holley non sapeva cosa fosse il cancro al seno metastatico quando si era ammalata. Pensava che la doppia mastectomia l'avrebbe protetta dal cancro al seno per sempre. Quando le era stato comunicato che la malattia si era diffusa aveva pensato si trattasse di un nuovo cancro. Le era stato spiegato che si trattava sempre dello stesso cancro al seno, localizzato alle ossa questa volta, e che le terapie sarebbero terminate solo con la sua morte.
Non c'e` cura per il cancro al seno metastatico, spiega Holley nel video, e le persone non vogliono parlarne perche` fa paura. Il suo intento era farne conoscere l'esistenza e smuovere le coscienze sulla necessita` di trovare delle soluzioni terapeutiche adeguate per le migliaia di donne e uomini che ne sono colpiti e che, aveva scritto su uno dei bigliettini, "sono piu` di un grazioso nastro rosa".

venerdì 25 dicembre 2015

Patrizia Quattrocchi

di Manuela Curci

"Si muore per lasciare il meglio di sè a quelli che ti hanno saputo leggere". Sono le parole di Goliarda Sapienza, la scrittrice più amata di Patrizia, autrice del nostro libro di riferimento  L'arte della gioia, primo libro in assoluto che Pat mi regalò otto anni fa, essenziale e fondamentale per cogliere la natura di Pat, quella più profonda, quella celata. Fu come dirmi leggilo subito Manu, ti presento una parte di me, percepisci l'animo della protagonista perchè io sono ANCHE cosí, la mia indole è ANCHE questa, io sono TANTO ALTRO. Lo lessi in un fiato...caspita Pat, welcome! Anch'io cerco di essere libera, anch'io vivo momenti, anche io sperimento e sono una donna complessa: mi piaci, affiniamo quest'arte insieme!
Mica facile però, le pagine sono un'esplosione di vitalità, intelligenza, trasgressione e dolore, tanto dolore quindi non sempre siamo state all'altezza...in realtà la vita che la gente crede che tu stia vivendo spesso prende il sopravvento e quindi, in quei momenti, improvvisando, più che l'arte della gioia abbiamo affinato l'arte del cazzeggio, con buona pace di tutti! E su questo ci abbiamo riso sopra tantissimo, due adolescenti dalla risata irrefrenabile guardate con affetto paternalistico persino dai propri cani spesso unici e fortunati spettatori di tanta spensieratezza. Quindi attraverso  questa testimonianza raccogliete, se volete, il suo dono e fatevi penetrare perchè, ripeto con lei

"si muore per lasciare il meglio di sè a quelli che ci hanno saputo leggere".

Care donne di tutto il mondo, questo è il mio tributo a Patrizia, 50 anni, la mia amica del cuore morta lo scorso 1 dicembre per un cancro al seno metastatico, ricordarla con chi probabilmente ha la stessa malattia in questo momento mi pare la cosa migliore in assoluto, con chi se non con voi parlarne il giorno di Natale? Come dice Grazia, il cancro non conosce le Feste!
Pat ed io vi abbracciamo forte forte.

lunedì 14 dicembre 2015

Jennie, un fuscello d'acciaio





Di ritorno dal San Antonio Breast Cancer Symposium, la piu` importante conferenza sul cancro al seno del mondo che si tiene ogni anno negli Stati Uniti e a cui ho potuto partecipare grazie a una scholarship di Advocates for Breast Cancer, organizzazione no profit fondata e diretta da Susan Zager, donna coraggiosa, intraprendente e simpaticissima [qui].
E` stata una settimana intensa, piena di emozioni. Sono ancora frastornata dal jet lag e scrivero` nei prossimi giorni degli aspetti scientifici del simposio. Sento, pero`, l'urgenza di raccontare dell'incontro con una donna straordinaria, Jennie Grimes.
Jennie e` cresciuta in Colorado, ma adesso abita a Los Angeles con il suo compagno, Connor, e il loro cane, Fala. Jennie si e` ammalata di cancro al seno a soli 27 anni. Tre anni dopo, le metastasi. Oggi Jennie di anni ne ha 35 e la sua vita e` costellata di terapie, inclusa la chemio, ed effetti collaterali molto pesanti. Prima di ammalarsi, Jennie lavorava per la AIDS Coalition to Unleash Power (ACT UP) che, attraverso l'azione diretta, si batte per porre fine alla pandemia di AIDS [qui]. Sulla base di questa esperienza, Jennie ha fondato insieme ad un'altra attivista metastatica, Beth Caldwell di Seattle, un'organizzazione chiamata MET UP il cui focus e` la cura del cancro al seno metastatico, quello che uccide ma di cui ci si occupa troppo poco [qui].
Jennie e` un fuscello. I 5 anni di trattamenti per il cancro al seno metastatico sono stati stremanti. Gli ultimi esami, effettuati qualche giorno prima di partire per il simposio (a cui anche lei ha partecipato grazie alla generosita` di Advocates 4 Breast Cancer), hanno rivelato una progressione della malattia. Bisognera` passare ad altro. Anche se non e` ancora chiaro a cosa. E soprattutto per quanto, La grinta, pero`, non puo` togliergliela nemmeno il padre eterno in persona.
E` giovedi 10 dicembre, il secondo giorno del simposio. Le advocates partecipano, per tutta la durata dell'evento, a delle sessioni dedicate a loro organizzate dalla Alamo Breast Cancer Foundation, durante le quali viene offerta loro la possibilita` di fare domande su quanto discusso nel corso delle sessioni scientifiche a esperti di rilievo internazionale [qui]. Jennie nel pomeriggio e` rimasta in albergo per via della nausea che la perseguita, ma, infagottata in una giacca nera che ne sottolinea ulteriormente la magrezza, si e` presentata alla sessione della Alamo Foundation.
Durante la sessione plenaria del pomeriggio sono stati presentati i risultati di uno studio sulle mutazioni somatiche nei tumori primari e in quelli metastatici condotto attraverso il prelievo di campioni di tessuto dal corpo di donne morte di cancro al seno che avevano dato il loro consenso all'effetuazione di un'autopsia entro sei ore dalla morte. Una decisione elogiata, nel corso della sessione per le advocate, da Hyman Muss, docente presso la University of Carolina Chapel Hill e direttore della divisione di oncologia geriatrica del Lineberger Comprehensive Cancer Center [qui].
Due microfoni sono posizionati ai lati del salone in cui le advocate, da brave scolarette, ascoltano le opinioni degli illustri clinici e pongono dilingentemente le loro domande mentre sorseggiano la limonata rosa loro offerta. Jennie e` l'ultima della fila. Cosa vorra` chiedere? Quando finalmente arriva il suo turno, la moderatrice dichiara che il tempo e` scaduto e non e` piu` possibile fare domande. Jennie e` un fuscello si, ma alla sua domanda non ha intenzione di rinunciare. "Devo fare la mia domanda adesso, perche` l'anno prossimo potrei essere morta", esclama afferrando il microfono e destando lo stupore di tutti i presenti. E continua:

"Mi chiamo Jennie Grimes e rappresento MET UP. Ho ricevuto la diagnosi di cancro al seno metastatico a 30 anni. Come ci avete ricordato questa sera, ci sono molti studi importanti che, tuttavia, non avranno effetti sulle terapie questo lunedi, per quelle di noi che andranno in ospedale questo lunedi` o il prossimo. In cosa dobbiamo sperare, a parte le autopsie rapide che, sicuramente, sono di grande aiuto per la scienza ma non lo sono affatto per le 113 di noi che muoiono ogni giorno [negli Stati Uniti, ndr]?".

Un applauso scrosciante saluta la domanda di Jennie a cui gli illustri clinici, imbarazzati, rispondono con vaghi riferimenti alla possibilita` di arruolamento in non meglio precisati studi nei quali pero` le donne come Jennie, in trattamento per le metastasi da molti anni, non vengono accettate.
Cosa fara` allora questo straordinario fuscello d'acciaio? Continuera` a porre domande, conquistandosi da sola il diritto a farlo, con la speranza che in un futuro non troppo lontano alle donne nella nostra situazione - si, nostra, perche` siamo tutte metastatiche - non vengano offerte solo autopsie rapide ma soluzioni concrete. E la vita che oggi ci viene negata. Grazie, Jennie. 

lunedì 12 ottobre 2015

13 ottobre. Un giorno solo per il cancro al seno metastatico

E` il 13 ottobre domani. La giornata del cancro al seno metastatico. Un giorno solo per l'unica forma di cancro al seno che uccide. Tutto il resto del mese e` dedicato alla pubblicita` sulla pelle delle donne degli sponsor delle varie campagne di 'sensibilizzazione'.

"Fare prevenzione" e` un'espressione entrara ormai nell'uso comune. Non esisteva nel 2010, quando mi sono ammalata. O forse sono io che non la ricordo perche` a 30 anni al cancro non ci si pensa e sarebbe un diritto non pensarci. Un diritto leso. Anche questo. Uno dei tanti, ormai.

Circa il 30% delle donne affette da cancro al seno sviluppa - anche oltre i canonici 5 anni - delle metastasi. Le sedi piu` comuni sono ossa, fegato, polmoni e cervello. Puo` capitare che la malattia esordisca come metastatica, come ricorda, in un bel post fresco fresco di pubblicazione, Alberta Ferrari (qui). Che ci si scopra ammalate al quarto stadio sin dall'inizio, insomma. Forse queste donne non hanno 'fatto prevenzione'? Forse una campagna di 'sensibilizzazione', con annessa pubblicita` di prodotti di consumo correlati con lo sviluppo della malattia, avrebbe potuto evitare loro il cancro al seno metastatico? La risposta e` no. Ci sono tumori biologicamente cosi` aggressivi che si diffondono alla velocita` della luce e senza che il nodulo nel seno sia particolarmente grande. Sono questi tumori che H. Gilbert Welch, medico, ricercatore e docente presso il Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice, paragona a degli uccelli (qui):

"Sono i cancri piu` aggressivi, quelli che si sono gia` diffusi quando diventano diagnosticabili."

Cosa passa per la mente di donne in questa situazione, quando sentono parlare di 'fare prevenzione'? Come si sentono? Cosa avrebbero voglia di dire se solo fosse data loro la possibilita` di far sentire la propria voce? Di qualsiasi cosa si tratti, dovrebbero dirlo molto in fretta. Il giorno dedicato a loro e alle altre donne metastatiche dal grande circo di ottobre rosa e` solo uno. Che non rovinino troppo la festa...

***Se questo post ti e` piaciuto, condividilo con almeno tre persone. Continuiamo a parlarne***



sabato 16 maggio 2015

Jojo Gingerhead





La prima volta che mi hai scritto, chiedendo maggiori informazioni sulla proiezione di Pink Ribbons Inc che stavo organizzando, mi hai detto di avere 31 anni e di esserti ammalata da qualche mese di cancro al seno. Ho subito pensato che la malattia ci aveva colpito alla stessa eta` e che, vivendo nella stessa citta`, avrei voluto incontrarti di persona e diventare tua amica.
Sei venuta a vedere il film a pochi giorni dall'intervento per l'asportazione del cancro. Indossavi una parrucca rossa. E non perche` va di moda, ma perche` rossa di capelli lo eri davvero. Per questo avevi chiamato il tuo blog The Malignant Ginger (qui)e avevi scelto come nome d'arte Jojo Gingerhead (qui). Abbiamo scambiato poche parole dopo la proiezione. Ero preoccupata che il racconto delle donne metastatiche presenti nel film potesse turbarti, ma mi hai assicurato di no. Ti ho vista poi sgattaiolare dalla sala con una sigaretta in mano e avrei voluto chiedertene una, ma stavo parlando e non potevo fermarmi.
Dovevi fare anche tu l'Herceptin e la terapia ormonale e la radio. E pensavo che sarebbe filato tutto liscio, come nel mio caso. E invece, no. A gennaio ho saputo della tua recidiva locale con metastasi al fegato. Un tumore tutto nuovo. Triplo negativo questa volta (qui). Era gia` li` quando hai scoperto il primo e non se n'erano accorti? Non lo so e non importava molto. La priorita` era allungarti la vita quanto piu` possibile. C'hanno provato, ma non e` servito a nulla. Il cancro si e` impossessato del tuo fegato fino a distruggerlo, resistendo a qualunque terapia.
E cosi` te ne sei andata, cara Jojo, un mese dopo aver compiuto 32 anni (qui). E io non so che pensare e cosa fare, se non fissare il vuoto impietrita e pensare a quella sigaretta che avrei voluto fumare con te, facendo quattro chiacchiere come due ragazze normali, all'uscita del cinema.

lunedì 13 aprile 2015

Siamo tutte metastatiche



Sappiamo tutti cos'e` un sit-in. E` una manifestazione pacifica in cui della gente si siede a terra in segno di protesta. Il die-in e` meno conosciuto, almeno dalle nostre parti. Si tratta di una manifestazione pacifica in cui i partecipanti si sdraiano a terra come se fossero morti.
Un die-in e` stato quasi improvvisato qualche giorno fa a Philadelphia durante la conferenza annuale dell'organizzazione statunitense Living Beyond Breast Cancer (qui). 108 donne si sono sdraiate a terra, dandosi la mano mentre una di loro ha leggeva questo testo:

"Carissime, siamo qui riunite per dire addio ai 108 Americani che moriranno di cancro al seno metastatico OGGI, e OGNI giorno, perche` non c'e` cura per la nostra malattia. Sono nostre amic*, madri, figlie, sorelle, e meritano di piu`. Meritano una cura e che la loro memoria sia onorata CHIEDENDOLA, non un giorno, ma ORA. E ora osserviamo un minuto di silenzio per i 108 tra uomini e donne che non sono piu` con noi" (qui)

Molte di quelle donne, tornate a casa, hanno riempito il web dei loro racconti di quel momento cosi` emozionante e significativo. Chi, come me e come molt* tra chi legge questo blog, e` attualmente in fase di remissione della malattia non puo` voltarsi dall'altra parte. Oggi siamo NED, domani non si sa. Uniamoci a queste donne che chiedono adesso, con urgenza, senza ulteriori indugi piu` ricerca sul cancro al seno metastatico. Perche` ogni giorno questo stadio della malattia uccide. E ogni giorno che passa e` una vita persa e un abisso di dolore. 

domenica 15 marzo 2015

La verita`: di cancro al seno si puo` morire

Sono passati poco piu` di sette giorni dalla morte per cancro al seno metastatico di Lisa Bonchek Adams (qui). Col cuore ancora spezzato - e temo lo sara` per molto tempo - ci tengo a fare una precisazione.
Come sapete, questo blog e` legato a una pagina Facebook dove, oltre ai post, vengono condivise notizie, riflessioni e immagini riguardanti non solo il cancro al seno ma anche la salute piu` in generale, l'ambiente e, talvolta, il femminismo (qui). Il post sulla morte di Lisa, come era gia` accaduto in passato per temi simili, ha ricevuto dei commenti piuttosto fuori luogo. Scrivere "questo post mi fa paura" a commento della notizia della morte di una giovane donna di 46 anni non denota particolare empatia ne` senso di solidarieta`. A prescindere da cio`, tuttavia, mi preme sottolineare come a nessuna di noi Amazzoni Furiose faccia piacere riportare la notizia della morte di una sorella di malattia e ribadire, in Italia peraltro nel vuoto piu` totale, che di cancro al seno si puo` morire. Il cancro al seno (e anche altre forme di cancro) ce l'abbiamo anche noi e ci piacerebbe davvero poter dire che si tratta di una malattia "guaribile". Cosi` facendo, pero`, diremmo una bugia. Il massimo a cui puo` infatti aspirare chi ne e` affetto e` lo stato di No Evidence of Disease (NED) e, se non volete credere a noi, andate a controllare sulle lettere che i vostri medici rilasciano ogni volta che andate a fare un controllo. Stato della malattia: NED. E` questo che leggerete. Inoltre, in circa il 30% dei casi il cancro al seno si ripresenta in forma metastatica, con diffusione, cioe`, ad altri organi ed e` in questi casi che porta alla morte. In quanto tempo? Non e` possibile saperlo. Ci sono donne che ci convivono anche per dieci anni, altre che muoiono in pochi mesi, altre ancora, come la carissima Lisa, che riescono a guadagnare tre anni sottoponendosi a terapie sfiancanti.
La verita` dunque non piace nemmeno a noi, ma e` cosi` che stanno le cose. E se davvero vogliamo cominciare a cambiarle, non soltanto sperando di essere fortunate e riuscire a sfangarla in qualche modo, ma affrontando la questione a livello collettivo per chi c'e` e per chi verra`, occorre ripartire proprio da quella constatazione, spaventosa quanto ineludibile: di cancro al seno si puo` morire.

sabato 7 marzo 2015

Lisa Bonchek Adams




E` stato in una notte insonne di due anni fa che ho incontrato Lisa Bonchek Adams. L'ho incontrata su Twitter, attraverso il quale - insieme al suo blog (qui) - raccontava la sua esperienza con il cancro al seno metastatico.
Lisa aveva scoperto il cancro al seno nel 2006, subito dopo la nascita del suo terzo figlio. Un caso non diverso da molti altri e una prognosi favorevole. Secondo stadio, tumore ormonoresponsivo. Lisa aveva rimosso persino le ovaie, per abbassare ulteriormente le probabilita` di ripresa della malattia. Nel 2012, a sei anni di distanza, la mazzata. Da stadio 2 era diventata stadio 4. Il suo tumore era incurabile. Tutto cio` in cui poteva sperare era che la malattia le lasciasse quanto piu` tempo possibile da vivere. Tempo da trascorrere coi suoi figli - la grande di 16 e il piu piccolo di 9 anni - e con suo marito, tra i fiori che amava coltivare e fotografare. Lisa raccontava della sua vita tra le chemio per tenere a bada il cancro e i suoi piccoli da accompagnare a scuola. Ed e` stato leggendo i suoi tweet che ho imparato a pronunciare la parola metastasi e ad accettare che potrebbe succedere anche a me. E` stato grazie a Lisa che sono riuscita a guardare in faccia la paura piu` grande per chi vive col cancro e ho smesso di negare che si puo` passare dal secondo al quarto stadio, anche avendo fatto tutte le terapie e tutti i controlli. E che se ne puo` parlare. E che ci si puo` persino ritagliare qualche sprazzo di felicita`.
Lisa cominciava ogni giorno i suoi tweet con una sorta di mantra:

"Cerca un po` di bellezza nel mondo oggi. Condividila. Se non riesci a trovarla, creala. Certi giorni e` difficile. Persevera"

Con la stessa grazia, Lisa denunciava il silenzio sul cancro al seno metastatico e le menzogne date in pasto alle donne dagli alfieri del nastro rosa (qui)

"Vorrei avere l'energia della mia giovinezza,
Vorrei averne il corpo.
Vorrei averne il coraggio, la tenacia, lo scatto.

Vorrei poter parlare con quella ragazza,
gli occhi luminosi e piena di stupore.
Vorrei poterle dire cosa l'aspetta.

[...]

Il mio corpo e` diventato un personale esperimento scientifico.
A volte quando le cose vanno bene, chi mi guarda puo` non averne idea.
Ma vedi,
Sotto il bello c'e` il brutto,
la brutta realta` del cancro
e di quello che mi ha tolto.

Mentre alcune possono andare avanti,
voltare pagina,
dimenticare,
io non posso.
Il mio corpo non me lo permette.

Queste cose non le lega un nastro rosa.

Queste cose durano piu` di un mese.
Questo fa parte della consapevolezza.

Questo e` parte di quello che il cancro al seno puo` fare.
Questo e` parte di quello che ha fatto a me.

Questo e` parte di quello che puo` succedere.
Anche con la diagnosi preoce e le terapie.
Questo e` quello che puo` succedere anche anni dopo.
Questo e` il motivo per cui le persone non dovrebbero cantare prematuramente vittoria.

Questo e` il motivo per cui non si e` necessariamente al sicuro.
Questo e` quello che il cancro al seno puo` fare anche a te.

E` cosi` che cio` che alcune pensano di avere sconfitto o salutato per sempre puo` ancora uccidere.
E` cosi` che fara` a me."

Lisa e` morte questa notte, circondata dai suoi familiari



giovedì 26 febbraio 2015

#DontIgnoreStageIV





"Di cancro al seno si muore". L'ho scritta anch'io tante volte questa frase e, senza volerlo, ho prestato il fianco alla cattiva informazione. Di cancro al seno NON si muore. Il seno non e` infatti un organo vitale, tant'e` vero che, se necessario, lo si puo` asportare. Finche` il cancro e` confinato nel seno chi ne e` affetto non corre immediato pericolo di vita.  Quando la malattia si estende ad altri organi - per il cancro al seno, sono solitamente ossa, fegato, polmoni e cervello - la sopravvivenza media e` di 18-24 mesi. E` dunque il cancro al seno metastatico che uccide. Perche` allora soltanto una parte infinitesimale dei fondi raccolti attraverso le campagne che chi segue questo blog ben conosce vengono destinati alla ricerca sull'unica forma di cancro al seno che provoca la morte, mentre la stragrande maggioranza viene destinato alla diagnosi precoce? (qui) Se lo chiedono soprattutto le donne che col cancro al seno metastatico ci convivono. Alcune di loro negli Stati Uniti hanno organizzato una protesta sui social media per il prossimo 2 marzo (qui). Utilizzando gli hashtag #MetsMonday #BCKills e #DontIgnoreStageIV, le attiviste mirano a rendere finalmente visibile il cancro al seno metastatico la cui realta` e` soffocata dalle mistificazioni a reti unificate del circo rosa. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno.