lunedì 14 ottobre 2019

Vania Sordoni, matematica e attivista contro una malattia che fa dodicimila vittime ogni anno

Questa mattina sono stati celebrati i funerali della nostra cara Vania Sordoni. Vania e` morta di cancro al seno a soli 57 anni. Vania e` stata un'infaticabile attivista per le donne con cancro al seno metastatico, il che vuole dire per tutte noi visto che il cancro al seno, a prescindere dallo stadio alla diagnosi, da luogo a metastasi in circa il 30% dei casi e non e` possibile sapere se si sara` dal lato buono o cattivo della statistica. 
L'anno scorso Vania era stata tra le organizzatrici del flash mob-die in che si e` tenuto a Milano il 13 ottobre in occasione di quella che negli Stati Uniti e` la giornata del cancro al seno metastatico. Qualche giorno prima Andrea Capocci, fisico, insegnante e giornalista l'aveva intervistata. Per una serie di circostanze, l'intervista non era stata pubblicata. Saputo della morte di Vania, Andrea ce ne ha inviato il testo che pubblichiamo qui sotto. 
Ad Andrea un sentito grazie. A Vania tutto il nostro amore.


“Oltre il nastro rosa”, un flashmob contro il cancro
Intervista a Vania Sordoni, matematica e attivista contro una malattia che fa dodicimila vittime ogni anno.
di Andrea Capocci

Ottobre è il “mese della prevenzione contro il cancro al seno”. Queste ricorrenze appaiono spesso rituali e su un tema come il cancro al seno in tante e in tanti pensano di sapere già abbastanza. In fondo, tra i quaranta e i settant’anni di età la maggior parte delle donne si sottopone a esami preventivi gratuiti e un giorno sì e l’altro pure arrivano news su farmaci innovativi e guarigioni in crescita. Ma i dati dicono anche altro, e nell’ottimismo di cui siamo avidi tendiamo a ignorare le notizie che non ci piacciono. Per sensibilizzare su un tema piuttosto scomodo, sabato 13 alle 12 a Milano, in piazza Gae Aulenti, si svolgerà un flashmob sotto lo slogan “Oltre il nastro rosa”. I dettagli dell’appuntamento sono su Facebook. Per spiegare le ragioni della mobilitazione, abbiamo parlato direttamente con Vania Sordoni, matematica dell’università di Bologna, malata di cancro al seno metastatico e una delle organizzatrici del flashmob.

Come nasce la mobilitazione?

Nasce su Internet, da un gruppo Facebook a cui partecipano oltre duecento donne malate di cancro al seno metastatico per scambiare informazioni e aiuto psicologico. Ci siamo rese conto che la nostra è una realtà un po’ nascosta, che non si vuole vedere volentieri.

Nel 2010 Berlusconi annunciò che il suo governo avrebbe sconfitto il cancro in tre anni. In effetti, a ritmo quotidiano ci sono notizie ottimistiche sulla lotta al cancro: nuovi farmaci, nuove terapie. La realtà?

Le statistiche parlano di un tasso di sopravvivenza dell’87% dopo cinque anni e dell’80% a dieci, e farebbero pensare che guarire sia facile. In realtà, i farmaci hanno spinto in avanti il periodo in cui il tumore diventa metastatico, per cui molte donne risultano guarite dopo cinque o dieci anni ma non lo sono affatto. Inoltre, le percentuali sono alzate dai molti tumori “in situ” (cioè localizzati) rilevati con lo screening mammografico, che non metastatizzano. Nel complesso, per cancro al seno metastatico muoiono circa dodicimila donne l’anno.

C’è un legame tra l’eccesso di ottimismo e la ricerca di cure “alternative” ma illusorie?

La mortalità per il tumore al seno non è diminuita molto dal 2000 a oggi. Nel frattempo c’è stata una diffusione delle cosiddette medicine “alternative”. Spesso sono promosse da veri e propri ciarlatani, che convincono molte donne di essere in grado di aumentare l’efficacia delle terapie a cui si sottopongono. Noi invitiamo tutte a confrontarsi con la letteratura scientifica, ma è difficile impedire che molte pazienti si affidino a questi personaggi. Il metodo “Di Bella” non è affatto scomparso, anzi.

Allo screening mammografico si sottopongono i tre quarti delle donne italiane, con punte vicine al 100% al nord. Con quali risultati?

Grazie allo screening si individuano molti tumori in più. Si prevede che tra il 2017 e il 2018 i nuovi casi aumentino da 50500 a 52800. Aumentano le diagnosi al nord rispetto al sud. Si attribuisce il dato a una presunta migliore qualità della vita, ma temo che dipenda solo dalla bassa percentuale di donne che si sottopone allo screening al sud (meno del 60%, n.d.r.). Tuttavia, ci si ammala prima e dopo l’età dello screening, tra un esame e l’altro, e in molti casi i tumori possono metastatizzare anche prima di ingrandirsi e diventare visibili. Per questo lo screening non abbassa di molto la mortalità. Bisognerebbe fare prevenzione, invece c’è solo la diagnosi precoce. Sulla prevenzione c’è poca ricerca se non sul piano genetico, e si sa ancora troppo poco delle cause dei tumori.

Cosa chiedete al sistema sanitario?

Per una donna ammalata di cancro al seno metastatico, il percorso terapeutico è spersonalizzante. Non abbiamo a che fare un medico, ma con team di sei o sette persone, di cui magari tre sono specializzandi inesperti. Capiamo le ragioni organizzative, e quando si tratta di gestire la routine non è un problema. Ma chi ha un cancro metastatico vive molti momenti di stress: i risultati degli esami sono spesso complicati, e ci sono frequenti decisioni importanti da prendere. In quel caso, vorremmo avere a che fare con un medico di riferimento che conosce il caso e lo segue, non con il dottore di turno. Perciò, molte si rivolgono alla sanità privata, con un costo economico molto elevato.

È una malattia che colpisce le donne. Questo influisce sulla sua percezione sociale?

Se ne sottovalutano alcune conseguenze. Ad esempio, moltissime donne devono lasciare il lavoro, perché le terapie non sono compatibili, e ne subiscono le conseguenze sul piano umano ed economico. Ma dato che si tratta di lavoro femminile, questi effetti sono sottovalutati, mentre richiederebbero maggiore attenzione.

Siete pazienti, ma avete chiesto che al flashmob non si mostrino magliette o simboli delle associazioni dei pazienti. È una critica al mondo delle associazioni.

No, anche se forse alle associazioni rimproveriamo l’eccessiva enfasi sui benefici della diagnosi precoce. Però sottolineiamo un problema: una donna malata di cancro metastatico è un problema anche nelle associazioni di pazienti che, anche comprensibilmente, cercano di convincere che dal cancro si guarisce. Per una donna guarita da un cancro al seno e che fonda un’associazione per aiutarne altre, una donna metastatica è un incubo, ancor più che per una donna sana. Perché ricordiamo che la malattia può tornare, anche dopo anni. Perciò veniamo spesso messe ai margini. Noi vorremmo che nessuna donna abbassasse la guardia, e che servizi e assistenza tenessero conto anche di chi si trova nella nostra situazione.

Per esempio?

C’è la questione dei trial clinici, le sperimentazioni sui nuovi farmaci. Entrare in un trial per noi è una fonte di speranza importante. Però lo sviluppo di un farmaco dura anni e entrare in queste sperimentazioni è difficile. O si è seguiti da una struttura che partecipa a una sperimentazione, o difficilmente un medico propone alla paziente un trial che si svolge lontano, perché la gestione diventa troppo onerosa. Così molte di noi vagano da una struttura all’altra, sperando di trovare quella giusta al momento giusto, quello in cui si avvia una sperimentazione. Sarebbe fondamentale avere un servizio di raccolta e diffusione delle informazioni sui trial accessibile a tutte. C’è un disegno di legge al Senato presentato da Francesca Puglisi nella scorsa legislatura e ora ripreso da Paola Boldrini, e uno analogo presentato alla Camera da Luca Rizzo Nervo, sempre del PD. Vedremo cosa ne farà il Parlamento.

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