Visualizzazione post con etichetta Laura Boldrini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Laura Boldrini. Mostra tutti i post

martedì 30 maggio 2017

Quando il cancro al seno si diffonde dopo 25 anni

Questa giornata finisce ancora peggio di com'era iniziata.
Era iniziata male perche` a nemmeno 12 ore dall'iniezione blocca-ovaie che faccio ogni 28 giorni da ormai 7 anni, gia` stavo come un vegetale, gli occhi a mezz'asta e il cervello in poltiglia.
"Sto cancro di merda non finisce mai", pensavo quando mi sono imbattuta in un servizio del TG1 secondo cui la presidente della Camera Laura Boldrini, nel corso di un incontro sulle breast unit tenutosi ieri a Montecitorio, avrebbe detto che dal cancro al seno "si guarisce". Due anni fa, avevamo regalato a Boldrini Pink Ribbon Blues, il libro di Gayle Sulik di cui abbiamo parlato piu` volte [qui]. Non deve avere avuto modo di leggerlo se ha fatto un'affermazione tanto avventata.
A seguire, mi e` toccato l'articolo di Repubblica che celebrava tali Nicoletta, Ivana e Raffaele che, stando al titolone ad effetto, avrebbero "vinto il tumore al seno" [qui]. Vinto come si vince un premio? Chissa`...
Mi sono presa una pausa da internet onde evitare di passare il resto della giornata ad inveire sulla disinformazione su tutto cio` che riguarda il cancro al seno a tutti i livelli. Mi ci sono riaffacciata pochi minuti fa per leggere da un'attivista americana che Olivia Newton John, l'attrice che in Italia conosciamo prevalentemente come protagonista di Grease, ha scoperto una metastasi del cancro al seno scoperto nel 1992. 25 anni dopo. 25.
Dal cancro si guarisce, il tumore al seno si vince. Andatelo a dire ad Olivia Newton John e al 30% delle donne che, a prescindere dalla stazione alla diagnosi, vedranno la loro malattia diffondersi e ne moriranno. In alternativa, potreste sempre considerare la possibilita` di chiudere il becco. 

lunedì 18 maggio 2015

Le Amazzoni Furiose regalano Pink Ribbon Blues a Laura Boldrini




Non potevamo credere ai nostri occhi quando, domenica, abbiamo visto comparire sulla pagina Facebook di Laura Boldrini le foto che ne attestavano la partecipazione alla Race for the Cure organizzata a Roma, come ogni anno, da Komen Italia. Ma come? La Boldrini che si e` sempre espressa contro un certo tipo di rappresentazioni delle donne nelle pubblicita` e nel discorso pubblico, che partecipa al mega-evento dei venditori di Mocio Vileda rosa e alla celebrazione mistificante e pacchiana delle "sopravvissute" al cancro al seno, mentre l'incidenza aumenta e il 30% delle donne che ricevono la diagnosi continua a morire?
No, ci siamo dette, non puo` essere. L'hanno fregata. Le devono aver dato delle informazioni sbagliate. Bisogna rimediare. E allora, nonostante non c'abbiamo un euro, perche` disoccupate, precarie e pure malaticce, abbiamo deciso di regalarle una copia, rigorosamente di seconda mano, di Pink Ribbon Blues. How Breast Cancer Culture Undermines Women's Health, best seller della sociologa statunitense Gayle Sulik pubblicato da Oxford University Press (qui e qui). Roba seria insomma e ovviamente non tradotta in italiano. Mai sia che si mettano in moto i cervelli.


Nel volume Sulik offre una disamina dettagliata della "cultura del nastro rosa", di cui Komen e` tra gli alfieri principali e che da anni ormai rappresenta una minaccia - si legge sin dal sottotitolo - per la salute delle donne. Salute sia fisica che psicologica. Quest'ultima infatti e` messa a repentaglio dalla costante oggettificazione del corpo femminile a scopo di marketing da parte delle aziende sponsor di eventi come la Race, che non si occupano certo di cancro al seno per scopi filantropici ma perche` la malattia offre loro la scusa di pubblicizzare i loro prodotti piazzandoci di fianco un bel paio di tette floride. Immagini, cara Boldrini, come possano sentirsi le donne che il seno non ce l'hanno piu` o ne hanno meta` e i cui corpi sono stati trasformati da chemio e ormonoterapia a vedere la malattia che le ha colpite utilizzata strumentalmente per vendere merci. E se non sono le tette a venir mostrate, allora si cerca di attirare le donne attraverso i richiami al ruolo assegnato loro di angeli del focolare, impegnate esclusivamente a tenerlo pulito, come nel caso della pubblicita` del Mocio. A proposito, lo sa che molte donne che hanno subito la dissezione ascellare si ritrovano con il linfedema proprio perche` fanno lavori domestici pesanti, come lavare a terra, in casa propria o d'altri?
Inoltre, e torniamo al libro di Gayle Sulik, la cultura del nastro rosa e` uno strumento potentissimo per veicolare informazioni relative ai successi della diagnosi precoce e dei programmi di screening mammografico ormai smentite dalla letteratura scientifica piu` aggiornata. Il risultato e` un eccesso di medicalizzazione, che non ha nessun effetto in termini di diminuzione della mortalita` per cancro al seno, e la colpevolizzazione di chi riceve la diagnosi di malattia metastatica, estesa cioe` ad altri distretti corporei, e viene indotta a credere che la responsabilita` sia sua. Per non parlare poi dell'aumento costante dell'incidenza e dell'abbassamento della fascia d'eta` a rischio rispetto a cui le mammografie nulla possono.
Ci auguriamo che ricevuto il libro, cara Boldrini, lo legga con attenzione e faccia magari ammenda, aiutando chi, come noi, non ha nessun interesse di tipo commerciale ma ha semplicemente a cuore la salute delle donne e la loro indipendenza.

giovedì 26 settembre 2013

La donna e` shopping




Due nomi stanno girando in rete a piu` non posso: Laura Boldrini e Guido Barilla. Devo confessare che dal mio eremo albionico non posso che raccogliere notizie frammentate. Non ho ascoltato direttamente le dichiarazioni della Boldrini, ne` quelle di Barilla. Mi pare di aver capito comunque che la prima abbia espresso la sua contrarieta` alla sovrarappresentazione delle donne angeli del focolare e amorevoli servitrice di zuppe nelle pubblicita` e che Barilla abbia risposto che lui negli spot della sua pasta le famiglie omosessuali non ce le metterebbe mai. La vicenda mi ha suggerito qualche riflessione su genere, famiglia e consumi basate su ricerche condotte da quei parassiti che rispondono al nome di scienziati sociali. Anzi, in questo caso, si tratta di scienziatE sociali, quindi peggio.
A partire grosso modo dagli anni '50, qualcuno dice anche da prima, la famiglia diventa l'unita` base del consumo di massa. Quale famiglia? Non la famiglia comunemente chiamata "patriarcale", con padre, madre, quindici figli, nonni, bisnonni, zii e trisavoli, ma la famiglia nucleare con papa`, mamma e un paio di pargoli. In questo modello di famiglia, il papa` non va a zappare o a lavorare in miniera. Tutte le mattine indossa giacca e cravatta e se ne va in ufficio. La mamma sta casa, non a "fare i servizi", come diceva mia nonna (in dialetto) e dice ancora mia madre che alle sue origini contadine ci tiene, ma a "rassettare", a "fare le faccende domestiche". E non indossa certo grembiuloni lerci del sudore della fatica fatta a scopare (ops spazzare), lavare a terra, cucinare, lavare i panni (ops fare il bucato), lavare il cesso (ops il bagno), mettere i punti (ops rammendare) ai calzini del maritino ecc. e non ha certo la pancia appesa per le 15 gravidanze. E` vestita di tutto punto - vestitino con gonna a ruota negli anni '50, pantaloni alla pescatora e camicia negli anni '60 - ha la vita stretta e i seni appuntiti, i capelli messi bene in piega. Stende il bucato felice, prepara pasti appetitosi. Sempre sorridente, e` lei, la donna/mamma, il target a cui le pubblicita` si rivolgono. E non a caso. E` lei che va a fare la spesa, e` lei che sceglie i prodotti da comprare. E` lei, in quanto donna, a sentire la sua posizione nella societa` sempre in bilico e questo la rende in cerca di un'identita`, che la pubblicita` (e la rima e` inevitabile) prontamente le fornisce. Questo non significa che le donne abbiano sempre e solo obbedito al comandamento che le vuole tutte casa e shopping. Anzi. In molti casi, dei prodotti di consumo e dei modelli imposti loro dal marketing, le donne si sono "appropriate" e ne hanno tratto vantaggio. Un caso classico e` quello della lavatrice (qui un libro interessante sul tema).
Come stanno le cose oggi? Non sembra siano cambiate molto. Le donne continuano a essere il target principale del marketing, che, nel frattempo, si e` arricchito di nuove strategie. Un esempio a caso, il marketing sociale. Quello che pubblicizza prodotti legandoli a una "giusta causa". Se consideriamo quanto detto fino ad ora e aggiungiamo quest'ultimo elemento non e` difficile capire perche` proprio "la causa" del cancro al seno sia una trovata pubblicitaria geniale. Prendi una malattia per il cui sviluppo il principale fattore di rischio e` essere donna, e associala a prodotti come spazzoloni (Vileda), cosmetici (Estee Lauder, Avon ecc.), detersivi (Perlana) ecc., colorali tutti di rosa - colore simbolo di femminilita` per volonta` di Evelyne Lauder, la mente da cui tutto e` partito - e il gioco e` fatto. Le donne comprano piu` di prima perche` pensano di stare contribuendo con i loro acquisti a un'impresa filantropica, che in realta` non lo e` affatto perche` le percentuali devolute sono infinitesimali e non aumentano in base all'aumento delle vendite del prodotto, perche` non sono le consumatrici stesse a decidere dove devono finire i loro soldi, ma sono le aziende a scegliere stabilendo partnership con chi pare a loro, perche` spesso vengono sponsorizzati prodotti che contengono sostanze correlate col cancro stesso. Che fare allora? La situazione e` talmente paradossale che, almeno per il momento, non si puo` fare altro che spezzare questa catena folle. Non cadere nell'inganno del nastro rosa, non acquistare prodotti "per la causa" ma chiedere di essere chiamate in causa, facendo domande sullo stato della ricerca sul cancro e su dove sta andando, esprimendo dubbi, perplessita`, paure e incazzamenti. Facendo capire che il giocattolo si e` rotto e che, questa volta, se e come si deve aggiustare lo decidiamo noi.