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domenica 1 ottobre 2017

La vera storia del nastro rosa

Il nastro rosa compie 25 anni. Lo annunciano Estee Lauder, e in Italia, il suo partner scientifico, l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).

"La Campagna Breast Cancer dedicata alla lotta contro il tumore al seno è stata ideata nel 1992 da Evelyn H. Lauder insieme al suo simbolo distintivo, il Nastro Rosa. La campagna, fino allo scorso anno, si chiamava BCA (Breast Cancer Awareness), ma da quest’anno – proprio in occasione del 25° Anniversario, The Estée Lauder Companies ha dato vita ad un “re-naming”, chiamandola BC Campaign (Breast Cancer), togliendo quindi la parola Awareness = Consapevolezza, perché dopo 25 anni di impegno verso la sensibilizzazione ora è il momento di focalizzarci sul futuro, e investire tutte le energie per avere un mondo libero dal tumore al seno."

Cosi` si legge sul sito della campagna [qui]. Peccato che le cose siano andate diversamente e che da 25 anni Estee Lauder racconti bugie a scopo di lucro sulla pelle delle donne.


Cominciamo proprio dal nastro rosa, la cui ideazione viene attribuita a Evelyn H. Lauder, nuora di Estee Lauder, alla guida della casa di cosmetici negli anni '90. Un nastro non rosa ma color salmone esisteva gia` e a confezionarne a decine con le sue mani era una donna, Charlotte Haley, la cui nonna, sorella e figlia erano state colpite dal cancro al seno. Charlotte distribuiva i suoi nastri insieme a una cartolina che invitava a chiedere che il National Cancer Institute (NCI) investisse di piu` nella prevenzione della malattia cui all'epoca destinava solo l'8% del suo budget da quasi 2 miliardi di dollari. Un'iniziativa, quindi, di una donna comune che non chiedeva di donare soldi o acquistare prodotti ma di fare pressione sulla principale agenzia governativa statunitense per la ricerca sul cancro allo scopo di modificarne la distribuzione dei fondi.
La voce si sparge e arriva alle orecchie di Evelyn H. Lauder e Alexandra Penney, direttrice della rivista Self. Insieme contattano Charlotte. Le chiedono di usare il suo nastro per lanciare una campagna in favore delle donne contro il cancro al seno sotto l'egida del marchio Estee Lauder. Charlotte sente puzza di bruciato e rifiuta. Ma Lauder e Penney, a loro volta, hanno fiutato l'affare. Su consiglio dei loro avvocati, cambiano il colore del nastro che da salmone diventa rosa. Un colore rassicurante e festoso, tutto cio` che una diagnosi di cancro al seno non e`. Nell'ottobre del 1992 il nastro rosa viene associato alla vendita dei prodotti Estee Lauder.

La vera storia del nastro rosa e` ben nota. L'hanno raccontata studiose e attiviste, come l'indimenticabile Barbara Brenner, per 15 anni direttrice esecutiva di Breast Cancer Action (BCAction), e la stessa Charlotte Haley. Ed e` a loro che vogliamo lasciare la parola attraverso un estratto del documentario Pink Ribbons Inc. che trovate qui e che vi invitiamo a diffondere.
Le bugie sull'ideazione del nastro rosa sono emblematiche delle mistificazioni sul cancro al seno che chi come noi vive con la malattia e le donne tutte devono sorbirsi da ormai troppo tempo. 25 anni sono tanti. E` ora di dire basta. Non per raggiungere l'impossibile e menzognero traguardo proposto da Estee Lauder di un "mondo libero dal tumore al seno", ma per fare in modo che sempre meno donne si ammalino e che terapie sempre piu` efficaci e meno tossiche siano disponibili per tutti gli stadi della malattia, compreso il quarto.


lunedì 5 ottobre 2015

Anna, unisciti a noi

Ci siamo rivolte alla LILT e al Ministero, ma nell’occhio del ciclone è finita la testimonial della campagna nastro rosa 2015. È a lei, dunque, che vogliamo rivolgerci in questo caso, nell’attesa che i reali destinatari della nostra lettera si degnino di risponderci:

"Gentile Anna Tatangelo, ci dispiace che si sia sentita offesa dalla nostra lettera e vorremmo farle sapere che noi davvero apprezziamo la sua generosità nel prestarsi gratuitamente a una campagna di sensibilizzazione. Il suo è un esempio fra i molti di donne che si prestano in buona fede a operazioni che le strumentalizzano per i loro fini. Nel suo caso è evidente che è stata scelta, oltre che per la bellezza, perché è considerata un simbolo per molte giovani che vivono in quelle aree della Campania dove il dolore provocato da tante morti e sofferenze ha fatto emergere una diffusa consapevolezza dei fattori di rischio ambientale del cancro: l'avvelenamento delle terre, delle acque, dell'aria. Per chi vive nella "Terra dei Fuochi" non c'è "stile di vita sano" che tenga, e sottolinearlo in una campagna di sedicente sensibilizzazione è un modo per porre ancora una volta in secondo piano le vere cause dell’aumento dell’incidenza di diverse forme di cancro e di quello che si configura come un vero e proprio biocidio. Ci sembra, dunque, che lei sia stata strumentalizzata due volte, e noi le chiediamo di lasciare la campagna LILT e di unirsi a noi nella denuncia. Saremo felici di averla dalla nostra parte".
Cordialmente,
Sandra Castiello- docente di latino e greco al liceo classico, Pagina Facebook Col seno di poi ma col senno di sempre

Grazia De Michele - precaria, Blogger di Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari- chirurga senologa, Blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi - consulente e formatrice freelance, Blogger di Afrodite K

Emma Schiavon- insegnante e storica

Carla Zagatti- psicologa e psicoterapeuta

giovedì 1 ottobre 2015

Lega Tumori e Lorenzin, ritirate quella campagna

Lettera aperta alla Lega Italiana per la Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale e al Ministro della Sanita` Beatrice Lorenzin. Per adesioni, inviate una mail con il vostro nome, cognome e, se lo desiderate, professione a pinkwashing2015@gmail.com

1/10/2015

Spettabile Lega Italiana per Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale,

Gentile Ministro della Salute Beatrice Lorenzin,

le sottoscritte desiderano esprimere profondo sconcerto di fronte alla campagna Nastro Rosa 2015, la cui testimonial è una nota cantante ritratta a torso nudo, con le braccia a coprirne in parte i seni. Una posa che rappresenta un salto di qualità, di segno negativo, rispetto alle edizioni precedenti della campagna. Negli anni passati, infatti, a rappresentarla erano state scelte donne, sempre appartenenti al mondo dello spettacolo o dello sport e non colpite dalla malattia, che, tuttavia, erano state ritratte vestite e in atteggiamenti più consoni al tema. Per l’anno in corso, invece, la campagna punta ad offrire un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia, utilizzando in maniera pretestuosa l’invito a “fare prevenzione”, espressione ambigua con la quale ci si riferisce comunemente all’adesione ai programmi di screening per la diagnosi precoce del cancro al seno attraverso mammografia. Anche a livello nazionale dunque la LILT ha scelto di avvalersi di un uso strumentale del corpo femminile, come è già accaduto negli anni scorsi per campagne di gusto per lo meno dubbio, quali quelle promosse ad esempio dalla sezione di Torino che, nell’ottobre del 2014, ha patrocinato l’iniziativa Posso toccarti le tette? .

Desideriamo ricordare che solo nel 2012 sono morte di cancro al seno 12.004 donne (dati Istat) e  nel 2014 si sono registrate 48.200 diagnosi tra la popolazione femminile del nostro paese (dati Aiom-Airtum). La patologia colpisce, inoltre, sebbene in misura minore rispetto alle donne, anche gli uomini. I programmi di screening si rivolgono alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni alle quali si raccomanda di effettuare una mammografia ogni 2 anni. La morte per cancro al seno sopravviene a seguito della diffusione dal seno ad altri distretti corporei (ossa, fegato, cervello e polmoni nella maggioranza dei casi).

Cosa ha a che fare l’immagine di una donna chiaramente al di sotto della fascia d’età per la quale sono designati i programmi di screening con la “prevenzione”? Perchè concentrare l’attenzione del pubblico sul suo décolleté florido (a cui fanno da contorno gli addominali scolpiti) se il rischio di morte si presenta solo nel caso in cui la patologia interessi altri organi?

Una risposta la offrono i marchi di noti prodotti di consumo in calce al manifesto che pubblicizza la campagna. Tra questi, quello della nota casa automobilistica Peugeot. Studi scientifici recenti  dimostrano l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne impiegate nella produzione di materie plastiche per il settore automobilistico. Evidenze che hanno portato, nel 2014, l’American Public Health Association a chiedere alle massime autorità sanitarie degli Stati Uniti di porre in essere politiche di prevenzione atte a ridurre drastricamente l’esposizione sui luoghi di lavoro a sostanze associate al cancro al seno.

La partnership tra LILT e Peugeot si configura chiaramente come un caso di pinkwashing, termine con cui si indica la pratica di pubblicizzare e/o vendere prodotti che aumentano il rischio di ammalarsi di cancro al seno, attraverso ingredienti e/o processi di lavorazione, collegandoli a campagne di sensibilizzazione o a raccolte fondi per la ricerca. Una strategia di marketing tristemente diffusa e che risulta estremamente efficace proprio perchè il cancro al seno offre la possibilità di esporre il seno femminile per finalità benefiche, attirando così l’attenzione del pubblico di ambo i sessi.

Chiediamo pertanto il ritiro della campagna Nastro Rosa 2015 che consideriamo lesiva della dignità e della salute delle donne.

Distinti saluti,

Sandra Castiello, docente di latino e greco, pagina Facebook Col seno di poi, ma col senno di sempre

Grazia De Michele, precaria, blogger de Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari, chirurga senologa, blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi, consulente e formatrice free lance, blogger di Afrodite K

Emma Schiavon, insegnante e storica

Carla Zagatti, psicologa e psicoterapeuta

Per adesioni scrivete a pinkwashing2015@gmail.com; per visualizzare le adesioni cliccate qui

sabato 19 ottobre 2013

Io mi metto un nastrino rosa


- Tu cosa fai contro il cancro al seno?
- Non voto partiti che tagliano la sanita`. E tu?
- Io mi metto un nastrino rosa

martedì 1 ottobre 2013

Pink Quiz - Risposte

Mi dispiace. Nessuna di voi ha risposto correttamente a tutte le domande. Siete cadute tutte sulla prima. Vediamo le risposte corrette:

1. Falso! Il nastro rosa e` stato creato da una donna, Charlotte Haley, le cui madre, sorella e nonna avevano avuto il cancro al seno. Agli inizi degli anni '90, Charlotte aveva confezionato dei nastrini rosa pesca che distribuiva gratuitamente. Il set contenente 5 nastri rosa conteneva una cartolina con su scritto "Il bilancio annuale del National Cancer Institute e` di 1,8 milioni di dollari, solo il 5% e` destinato alla prevenzione. Indossiamo questo nastro perche` i nostri legislatori e l'America si sveglino". La direttrice della rivista Self, venuta a sapere della campagna di Charlotte, la avvicino` chiedendole di utilizzare il nastro per l'edizione speciale del suo giornale riguardante la prevenzione del cancro al seno. Charlotte rifiuto` dicendo che non voleva che il suo nastrino finisse nelle mani delle corporations. A questo punto, Self cambio` la sfumatura del colore del nastro appropriandosene e, nell'autunno del 1992, Estee Lauder distribui` circa un milione di nastri rosa alle casse delle profumerie, senza fare alcun riferimento alla prevenzione o a una migliore allocazione dei fondi.

2. Falso! Chiunque puo` mettere un nastro rosa su un prodotto. Infatti anche le compagnie che vendono prodotti contenenti sostanze cancerogene si servono del nastro rosa per aumentarne le vendite.

3. Vero! Astra Zeneca e` lo sponsor principale del mese per la prevenzione del cancro al seno negli Stati Uniti, paese da cui la campagna e` partita. E` per questo motivo che ad ottobre si parla tanto di mammografia e cura del cancro al seno ma MAI delle sue cause, soprattutto di quelle ambientali.

4. Nessuno! Tutti i prodotti menzionati sono stati associati al nastro rosa. Volete vederla la pistola di Susan G. Komen for the Cure (poi ovviamente hanno smentito)? Eccola. Sta in borsetta!


sabato 28 settembre 2013

Pink Quiz

Oggi giochiamo. Vediamo quanto siete consapevoli dell'importanza della prevenzione del cancro al seno e delle campagne di sensibilizzazione. Rispondete alle domande qui sotto (che le Amazzoni ha copiato paro paro dall'associazione Breast Cancer Action - se andate a vedere le risposte per fare le fighe vi verra` perlomeno un mal di pancia con annesso cagotto). Prossimamente verranno pubblicate le soluzioni e chi avra` risposto bene a piu` domande, ricevera` una sorpresa.



1. Vero o Falso: Il nastro rosa e` stato creato dalla casa di cosmetici Estee Lauder per sensibilizzare le donne sull'importanza della prevenzione del cancro al seno.

2. Vero o Falso: Comprare un prodotto con il nastro rosa garantisce che il denaro verra` devoluto alla causa del cancro al seno.

3. Vero o Falso: Il mese della prevenzione del cancro al seno (ottobre) e` stato istituito dalla casa farmaceutica Astra Zeneca, produttrice del farmaco tamoxifene, utilizzato per trattare la malattia.

4. Quali dei seguenti prodotti non e` MAI stato associato al nastro rosa?  
   
   Armi

   Pollo e patatine fritte

   Spazzoloni per lavare a terra

   Detersivi

   Rossetti

         

giovedì 26 settembre 2013

La donna e` shopping




Due nomi stanno girando in rete a piu` non posso: Laura Boldrini e Guido Barilla. Devo confessare che dal mio eremo albionico non posso che raccogliere notizie frammentate. Non ho ascoltato direttamente le dichiarazioni della Boldrini, ne` quelle di Barilla. Mi pare di aver capito comunque che la prima abbia espresso la sua contrarieta` alla sovrarappresentazione delle donne angeli del focolare e amorevoli servitrice di zuppe nelle pubblicita` e che Barilla abbia risposto che lui negli spot della sua pasta le famiglie omosessuali non ce le metterebbe mai. La vicenda mi ha suggerito qualche riflessione su genere, famiglia e consumi basate su ricerche condotte da quei parassiti che rispondono al nome di scienziati sociali. Anzi, in questo caso, si tratta di scienziatE sociali, quindi peggio.
A partire grosso modo dagli anni '50, qualcuno dice anche da prima, la famiglia diventa l'unita` base del consumo di massa. Quale famiglia? Non la famiglia comunemente chiamata "patriarcale", con padre, madre, quindici figli, nonni, bisnonni, zii e trisavoli, ma la famiglia nucleare con papa`, mamma e un paio di pargoli. In questo modello di famiglia, il papa` non va a zappare o a lavorare in miniera. Tutte le mattine indossa giacca e cravatta e se ne va in ufficio. La mamma sta casa, non a "fare i servizi", come diceva mia nonna (in dialetto) e dice ancora mia madre che alle sue origini contadine ci tiene, ma a "rassettare", a "fare le faccende domestiche". E non indossa certo grembiuloni lerci del sudore della fatica fatta a scopare (ops spazzare), lavare a terra, cucinare, lavare i panni (ops fare il bucato), lavare il cesso (ops il bagno), mettere i punti (ops rammendare) ai calzini del maritino ecc. e non ha certo la pancia appesa per le 15 gravidanze. E` vestita di tutto punto - vestitino con gonna a ruota negli anni '50, pantaloni alla pescatora e camicia negli anni '60 - ha la vita stretta e i seni appuntiti, i capelli messi bene in piega. Stende il bucato felice, prepara pasti appetitosi. Sempre sorridente, e` lei, la donna/mamma, il target a cui le pubblicita` si rivolgono. E non a caso. E` lei che va a fare la spesa, e` lei che sceglie i prodotti da comprare. E` lei, in quanto donna, a sentire la sua posizione nella societa` sempre in bilico e questo la rende in cerca di un'identita`, che la pubblicita` (e la rima e` inevitabile) prontamente le fornisce. Questo non significa che le donne abbiano sempre e solo obbedito al comandamento che le vuole tutte casa e shopping. Anzi. In molti casi, dei prodotti di consumo e dei modelli imposti loro dal marketing, le donne si sono "appropriate" e ne hanno tratto vantaggio. Un caso classico e` quello della lavatrice (qui un libro interessante sul tema).
Come stanno le cose oggi? Non sembra siano cambiate molto. Le donne continuano a essere il target principale del marketing, che, nel frattempo, si e` arricchito di nuove strategie. Un esempio a caso, il marketing sociale. Quello che pubblicizza prodotti legandoli a una "giusta causa". Se consideriamo quanto detto fino ad ora e aggiungiamo quest'ultimo elemento non e` difficile capire perche` proprio "la causa" del cancro al seno sia una trovata pubblicitaria geniale. Prendi una malattia per il cui sviluppo il principale fattore di rischio e` essere donna, e associala a prodotti come spazzoloni (Vileda), cosmetici (Estee Lauder, Avon ecc.), detersivi (Perlana) ecc., colorali tutti di rosa - colore simbolo di femminilita` per volonta` di Evelyne Lauder, la mente da cui tutto e` partito - e il gioco e` fatto. Le donne comprano piu` di prima perche` pensano di stare contribuendo con i loro acquisti a un'impresa filantropica, che in realta` non lo e` affatto perche` le percentuali devolute sono infinitesimali e non aumentano in base all'aumento delle vendite del prodotto, perche` non sono le consumatrici stesse a decidere dove devono finire i loro soldi, ma sono le aziende a scegliere stabilendo partnership con chi pare a loro, perche` spesso vengono sponsorizzati prodotti che contengono sostanze correlate col cancro stesso. Che fare allora? La situazione e` talmente paradossale che, almeno per il momento, non si puo` fare altro che spezzare questa catena folle. Non cadere nell'inganno del nastro rosa, non acquistare prodotti "per la causa" ma chiedere di essere chiamate in causa, facendo domande sullo stato della ricerca sul cancro e su dove sta andando, esprimendo dubbi, perplessita`, paure e incazzamenti. Facendo capire che il giocattolo si e` rotto e che, questa volta, se e come si deve aggiustare lo decidiamo noi.


mercoledì 22 maggio 2013

La nostra guerra buonista al cancro al seno - seconda parte




Eccovi la seconda e ultima parte degli stralci piu` importanti dell'articolo di Peggy Orenstein, uscito sul New York Times Magazine lo scorso 25 aprile. La prima parte la trovate qui. Il casino successo con Angelina Jolie rende il saggio della Orenstein ancora piu` interessante. Ne riparleremo.


"L’estate scorsa, nove mesi dopo la mammografia di routine, mentre stavo per mettermi a letto chiacchierando con mio marito, le mie dita hanno sfiorato qualcosa di piccolo e duro sotto la cicatrice sul seno sinistro. In un attimo, ho attraversato di nuovo la membrana sottile che separa i sani dai malati. Quest’ultimo tumore era piccolo e circoscritto come il primo. Difficilmente si era diffuso. Naturalemente, pero`, andava rimosso. Dato che la quadrantectomia dev’essere seguita da radioterapia e non si puo` irradiare la stessa parte due volte, l’unica opzione era la mastectomia. Mi e` stato prescritto anche il tamoxifene, per ridurre le probabilita` di metstasi dal 20 al 12%. Dovrei sopravvivere, ma nessuno puo` garantirlo. Non mi sara` possibile sapere se sono guarita finche` non moriro` di qualcos’altro, possibilmente tra molti anni, mentre dormo stringendo la mano di mio marito, dopo una bella cena con i nipotini.

L’istinto questa volta mi diceva di togliere anche l’altro seno. Non volevo che potesse succedere di nuovo. Il mio oncologo non era d’accordo, pero`. Il tamoxifene avrebbe ridotto il rischio di recidiva rendendolo pari a quello di una donna sana. Una donna sana si farebbe tagliare il seno? Potevo optare per la chirurgia preventiva, aggiunse, ma si trattava di una questione psicologica non medica.
Ho fatto le mie valutazioni man mano che la data dell’intervento si avvicinava. Il rischio medio, d’altra parte, non e` zero. Potevo conviverci? Una parte di me desiderava eliminare qualsiasi rischio. Ho una figlia di nove anni. Farei qualsiasi cosa – ho bisogno di fare qualsiasi cosa – pur di non morire. Eppure se il problema e` la morte, la minaccia piu` grossa non viene dall’altro seno ma dalla possibilita` che, nonostante i trattamenti e la prognosi favorevole, il cancro che gia` ho vada in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe potuto far nulla contro cio`, ne` avrebbe potuto azzerare del tutto la probabilita` di una nuova malattia, perche` una parte del tessuto rimane sempre. Potevo vivere cosi`? Una parte di me voleva liberarsi di qualsiasi minaccia. Ho una figlia di nove anni e farei qualsiasi cosa – ho bisogno di fare qualsiasi cosa – pur di evitare di morire. Tuttavia, se il problema era la morte, il pericolo piu` grosso non era l’altro seno ma che, nonostante le terapie e la prognosi favorevole, il cancro fosse gia` andato in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe potuto evitarlo, ne` avrebbe potuto eliminare del tutto la possibilita` di un nuovo tumore, perche` parte del tessuto rimane sempre.

Cosa significa “qualsiasi cosa”, comunque? Ci sono giorni in cui non metto la protezione solare, non faccio attivita` fisica come dovrei, non ho smesso di mangiare il Gouda stagionato nonostante i risultati delle mie ultime analisi per il colesterolo, non assumo abbastanza calcio e, si, casa mia e` a sei isolati da una faglia. Vivere con una certa percentuale di avere il cancro al seno e` davvero cosi` diverso? Decisi di seguire il consiglio del mio medico, di fare solo cio` che era necessario.
Pensavo che il mio dilemma fosse poco comune e che derivasse dal fatto di essere stata troppe volte dal lato sbagliato delle statistiche. Sembra tuttavia che centinaia di donne ora considerino la doppia mastectomia a seguito di carcinomi poco aggressivi. Secondo Todd Tuttle, capo della divisione di chirurgia oncologica e primo autore di uno studio sulla mastectomia profilattica pubblicato su The Journal of Clinical Oncology, si e` verificato un aumento del 188% tra il 1998e il 2005 tra le donne a cui e` stato diagnosticato un carcinoma in situ in un seno – un fattore di rischio per il cancro – che hanno deciso di farseli asportare entrambi. Tra le donne con carcinoma duttale allo stadio iniziale (come il mio), l’aumento e` stato del 150%. Molte di queste donne non hanno una predisposizione genetica al cancro. Tuttle avanzava l’ipotesi che stessero decidendo sulla base non di quanto consigliato loro dai medici ma su una percezione esagerata del rischio di avere il cancro all’altro seno. Le donne intervistate per un altro studio credevano che il rischio fosse del 30% nell’arco di dieci anni, mentre era solo del 5.

Non e` stato molto tempo fa che le donne si sono battute per conservare il seno dopo il cancro, facendo pressioni sui chirurghi perche` sostituissero le mastectomie radicali con l’egualmente efficace nodulectomia accompagnata da radioterapia. Perche` le cose sono cambiate? Ci penavo mentre curiosavo tra le “Storie di Speranza” sul sito dell’American Cancer Society. Mi sono imbattuta in una bella donna con una T-shirt rosa addosso, sorridente mentre stringe in mano un cupcake glassato decorato con una candelina rosa. Parlando in prima persona, diceva che aveva cominciato i controlli verso i 35 anni perche` affetta da mastopatia fibrocistica. A 41 anni, le era stato diagnosticato un carcinoma in situ trattato con nodulectomia e radioterapia. “Mi sento fortunata ad averlo preso in tempo”, diceva, pur aggiungendo di essere uscita emotivamente devastata da quell’esperienza. Ha continuato i controlli e si e` sottoposta a interventi multipli per rimuovere cisti benigne. Quando ha saputo di avere il cancro al seno di nuovo, era al suo quinto intervento Ha deciso di rimuovere il seno completamente, una decisione che considerava logica e di preventiva.

Mi sono ritrovata a pensare a una spiegazione alternativa per il caso di questa donna. La mastopatia fibrocistica non lascia presagire il cancro, sebbene distinguere tra un nodulo benigno e uno maligno possa essere difficile, facendo aumentare potenzialmente il numero di biopsie inutili. Avendo iniziato i controlli a 30 anni questa donna e` stata esposta a un eccesso di radiazioni, una delle poche cause note del cancro al seno. Il suo carcinoma in situ, condizione diagnosticabile quasi esclusivamente attraverso la mammografia, difficilmente avrebbe messo a rischio la sua vita, eppure l’ha trasformata in una sopravvissuta al cancro al seno, con tanto di operazione e settimane di radioterapia. Alla seconda diagnosi, era cosi` sconvolta che si e` fatta amputare entrambi i seni per ristabilire il controllo della situazione. Questa donna va salutata come una sopravvissuta o additata come un ammonimento? La consapevolezza le ha conferito potere decisionale o ne ha fatto una vittima? La paura del cancro e` legittima: il modo in cui gestiamo quella paura, mi sono resa conto – come rispondiamo ad essa, che emozioni proviamo – puo` essere manipolato, impacchettato, commercializzato e venduto, talvolta proprio da chi sostiene di stare dalla nostra parte. Da chi puo` influenzare qualsiasi cosa, dalla nostra percezione dello screening, alla nostra valutazione del rischio personale alla scelta dei trattamenti. “Si puo` attribuire l’aumento delle mastectomie a una migliore conoscenza della genetica o al miglioramento delle tecniche di ricostruzione” dice Tuttle, “cose che ci sono anche in Europa dove pero` non c’e` questa mania della mastectomia. C’e` cosi` tanta consapevolezza negli Stati Uniti che l’ho ribattezzata sovra-consapevolezza sul cancro al seno. E` dovunque. I camion della spazzatura sono rosa. Le donne sono terrorizzate”

“Circa 40.000 donne e 400 uomini muoiono ogni anno di cancro al seno” dice Lynn Erdman, vice presidente della sezione di salute pubblica di Komen. “Finche` questi numeri non spariranno, non ci sara` abbastanza rosa”.

Ero seduta nella sala conferenze del quartier generale di Susan G. Komen, vicino al centro commerciale Galleria a Dallas. Komen non e` la piu` grande associazione benefica per il cancro, titolo che spetta all’American Cancer Society, ma e` comunque la piu` grande organizzazione a occuparsi di cancro al seno. E sebbene l’anno scorso l’immagina di Komen sia stata appannata dal tentativo di tagliare i finanziamenti per lo screening a Planned Parenthood, il suo nome rimane virtualmente sinonimo di lotta al cancro al seno. Con le sue dozzine di corse per “cura” e circa 200 sponsor, e` l’associazione che forse piu` di tutte e` riuscita a fare di una malattia un marchio. Il suo marketing martellante ha reso il nastro rosa uno dei logo dei nostri tempi. Il nastro simboleggia sia la paura della malattia che la speranza di poterla sconfiggere. E` un simbolo di coraggio per chi e` malato e un’espressione di solidarieta` da parte di coloro a cui la questione sta a cuore. E` una promessa di progresso continuo verso una cura attraverso donazioni, corse, volontariato. Fa comunita`. Offre alle compagnie un modo apparentemente infallibile to mostrare buona volonta` verso le donne, anche sebbene, attraverso una pratica definita dai critici “pinkwashing”, i loro prodotti siano legati alla malattia o ad altre minacce alla salute pubblica. Far indossare alle squadre di calcio scarpe colorate di rosa, ad esempio, puo` controbilanciare la pressione che la Lega Calcio Americana deve gestire per le accuse di stupro e violenza domestica rivolte ad alcuni giocatori. Le donazioni della Chevron agli affiliati di Komen in California aiuta a nascondere quello che il locale Dipartimento di Relazioni Industriali ha definito “consapevole violazioni” della sicurezza che hanno portato al grosso incendio di una raffineria in un quartiere della Bay Area l’anno scorso.

Piu` di qualsiasi altra cosa, tuttavia, il nastro ci ricorda che tutte noi siamo a rischio e che la migliore protezione e` lo screening annuale. Nonostante il marchio di fabbrica di Komen sia “per la cura”, solo il 16% dei 472 milioni di dollari raccolti nel 2011, l’ultimo anno per cui sono disponibili i bilanci, e` stato devoluto alla ricerca. 75 milioni di dollari sono abbastanza per credere che dare credito alla rivendicazione che Komen ha avuto un ruolo in tutte le principali scoperte sul cancro al seno negli ultimi 29 anni. Questa cifra, tuttavia, e` niente in confronto ai 231 milioni che la fondazione spende per educazione e screening.

Sebbene adesso Komen renda conto del dibattito sullo screening sul suo sito web, la fondazione e` stata piu` volte accusata di esagerare i benefici della mammografia e sminuirne i rischi. Steve Woloshin, un collega di Welch al Darmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice e co-autore di un articolo pubblicato nella sezione Not so Stories sul British Medical Journal, ha puntato il dito contro una recente cartellone pubblicitario di Komen dove si legge “Le probabilita` di sopravvivenza a cinque anni al cancro al seno con la diagnosi precoce sono del 98%. E senza? Scendono al 23%”. Woloshin definisce quest’affermazione volutamente ingannevole. Le cifre sono corrette ma la sopravvivenza a cinque anni e` un parametro fuorviante distorto dallo stesso screening. La mammografia individua molti tumori che non necessitano di alcun trattamento e che sono, per definizione, guaribili. Nel frattempo, alcune donne colpite dalla malattia in maniera letale sembrano vivere piu` a lungo perche` il tumore e` stato diagnosticato prima, ma in realta`, ad allungarsi e` solo la consapevolezza di essere malate. “Immaginiamo un gruppo di 100 donne che riceve una diagnosi di cancro al seno perche` ha sentito un nodulo al seno a 67 e a 70 sono tutte morte. In questo caso la sopravvivenza a 5 anni e` dello 0%. Ora immaginiamo che lo stesso gruppo di donne venissero sottoposte a controlli e ricevessero la diagnosi a 64 anni, con 3 anni di anticipo, ma che i trattamenti non funzionassero e morissero comunque a 70 anni. La sopravvivenza a 5 anni in questo secondo caso e` del 100%, anche se nessuna di loro e` vissuta un secondo di piu` delle altre.

Quando a gennaio ho chiesto a Chandini Portteus, vicepresidente della sezione di ricerca, valutazione e programmi scientifici di Komen, perche` la fondazione continuasse a usare quelle statistiche, la sua risposta e` stata molto evasiva: “Komen non aveva intenzione di fornire dati fuorvianti. Sappiamo che la mammografia non e` perfetta, ma sappiamo anche che e` cio` che abbiamo a disposizione e che e` importante per diagnosticare il cancro al seno” (I dati sono stati successivamente rimossi dal sito).

Nel suo libro Pink Ribbons Inc., la sociologa Gayle Sulik, fondatrice del Breat Cancer Consortium, ha riconosciuto a Komen il merito di aver reso la malattia conosciuta, incoraggiando le donne a parlarne e trasformandole da “vittime” in “sopravvissute”. Komen, dice Sulik, ha distribuito piu` di un milioni di dollari alla ricerca e progetti di supporto. Allo stesso tempo, la funzione della cultura del nastro rosa – e di Komen in particolare – e` diventata piu` l’auto-perpetuazione della malattia piuttosto che il suo eradicamento: mantenere alta la visibilita` della malattia e continuare a raccogliere fondi. “Bisogna guardare gli obiettivi di ogni programma” – dice la Sulik – “Se l’obiettivo e` eradicare il cancro al seno, quanto siamo vicini? Non siamo vicini affatto. Se l’obiettivo e` la consapevolezza, che cosa ci fa essere consapevoli? Che il cancro al seno esiste? Che e` importante? Il concetto di “consapevolezza” e` stato esteso al punto da diventare un mero sinonimo di “visibilita`”. Ed e` qui che il movimento contro il cancro al seno ha sbagliato. E` qui che ha perso l’occasione di andare avanti”.

Prima del nastro rosa la consapevolezza fine a se stessa non era l’obiettivo predefinito delle campagne riguardanti la salute. Oggi e` difficile trovare una malattia senza un logo, un ornamento da indossare, una lista di prodotti abbinati tra loro. Le malattie cardiache hanno il loro vestito rosso, il cancro al testicolo il suo braccialetto giallo. Durante “Movember”, una parola composta da “moustache” [baffi] e “November” [novembre], gli uomini sono incitati a farsi crescere la barba perche` si sparga la voce e la consapevolezza sul cancro alla prostata (un’altra malattia per la quale la diagnosi precoce ha portato al sovratrattamento) e sul cancro ai testicoli. “Queste campagne sono accomunate dalla stessa superficialita` per quanto riguarda la responsivita` richiesta al pubblico”, dice Samantha King, professore associato di chinesiologia e salute all’Universita` dell’Ontario e autrice di Pink Ribbons Inc.. Sono completamente slegate da qualsiasi critica alle politiche sanitarie e alla ricerca biomedica. Rinforzano un modello monotematico e competitivo di raccolta dei fondi. E dissimulano le malattie: veniamo resi “consapevoli” di una malattia e allo stesso tempo completamente separati dalla realta` difficile e spesso devastante di chi ne e` affetto”.

[...]

Invece di assicurare che “le mammografie salvano vite”, le associazioni potrebbero utilizzare slogan piu` realistici per le loro campagne. Secondo il ricercatore Gilbert Welch, “La mammografia ha sia benefici che costi – per questo e` una decisione personale”. Era questo il messaggio della task force, messa da parte per questioni politiche nel 2009: l’evidenza scientifica indica che ha senso fare la mammografia ogni anno tra i 50 e i 74 anni d’eta`. Chi non rientra in questo gruppo e vuole fare la mammografia, deve essere informata del rovescio della medaglia.

Le donne sono oggi tutte consapevoli del cancro al seno. Qual e` il prossimo passo allora? Per eradicare la malattia (o almeno ridurne l’incidenza e la devastazione) c’e` probabilmente bisogno non tanto di raccogliere fondi quanto di distriburgli meglio. Quando ho chiesto a scienziati e sostenitori, come spendere diversamente almeno parte dei fondi raccolti con le campagne di consapevolezza, le loro risposte sono state ampie e variegate. Molti hanno sottolineato quanto magri siano i fondi destinati al lavoro sulla prevenzione. A febbraio, per esempio, un comitato di sostenitori, scienziati e funzionari di governo ha chiesto di aumentare la quantita` di risorse destinate a studiare le cause ambientali del cancro al seno. Hanno dato al termine un significato molto ampio in modo da includere comportamenti come il consumo di alcool, esposizione a sostanze nocive, radiazioni, disparita` socio-economiche.

Altri scienziati guardano con entusiasmo alla possibilita` di combattere o prevenire la malattia modificando il “microambiente” del seno – il tessuto che circonda il tumore che puo` stimolarne o bloccarne la crescita. Susan Love ha fatto il paragone con il modo in cui vivere in un quartiere bene o malfamato possa influenzare il destino di un bambino potenzialmente delinquente. “Potrebbe essere”, mi ha detto, “che cambiando il “quartiere”, quello che sta intorno, che sia il sistema immunitario o il tessuto, possiamo controllare o uccidere le cellule cancerose. Fare la terapia sostitutiva durante la menopausa potrebbe essere stato l’equivalente biologico del permettere agli spacciatori di colonizzare gli angoli delle strade. D’altra parte, un vaccino, l’obiettivo attuale di alcuni scienziati e sostenitori, potrebbe essere come impiegare piu` poliziotti di quartiere.
Quasi tutti concordano nel sostenere che c’e` ancora molto lavoro da fare da entrambe le parti dello spettro diagnostico: distinguere quali lesioni in situ si trasformeranno in carcinomi infiltranti cosi` come comprendere il meccanismo delle metastasi. Secondo l’anaisi della rivista Fortune, solo il 5% dei finanziamente del National Cancer Institute a partire dal 1972 sono andati a ricerche sulle metastasi. Dei 2 miliardi e 200 milioni di dollari raccolti negli ultimi sei anni, Komen ha destinato solo 79 milioni a questo tipo di ricerche – parecchio denaro, non c’e` dubbio, ma un mero 3.6% di quanto raccolto in quel periodo.

“Molta gente pensa che il lavoro sulle metastasi sia uno spreco di tempo”, dice Danny Welch, capo del dipartimento di biologia del Cancer Center dell’Universita` del Kansas, “perche` bisogna prima di tutto prevenire il cancro. Il problema e` che non sappiamo ancora cosa lo causa. Preferirei anch’io prevenirlo del tutto, ma detto in soldoni, un atteggiamento del genere equivale a buttare sotto un treno un mucchio di persone”.

108 donne americane muoiono di cancro al seno ogni giorno. Alcune possono vivere anche un decennio o piu` con le metastasi, ma la sopravvivenza media e` 26 mesi. Un pomeriggio ho parlato con Ann Silberman, autrice del blog “Breast Cancer? But Doctor...I Hate Pink”. Silberman ha cominciato a scrivere nel 2009, all’eta` di 51 anni, dopo aver trovato un nodulo nel seno che e` risultato poi essere cancro al secondo stadio, che le dava – cosi` le venne detto – il 70% di probabilita` di sopravvivenza. All’epoca era segretaria in una scuola a Sacramento, felicemente sposata e madre di due ragazzi, di 12 e 22 anni. Nei due anni successivi, e` stata operata, ha fatto sei cicli di chemioterapia, e` stata trattata con un terzetto di farmaci incluso l’Herceptin e pensava di aver risolto.

Quattro mesi dopo, un mal di schiena e un rigonfiamento addominale la spinsero ad andare dal medico. Il cancro si era diffuso al fegato. Perche` le terapie non hanno funzionato? Nessuno lo sa. “A questo punto sai che morirai e che sara` nei prossimi cinque anni”, mi ha detto. Il suo obiettivo e` vedere suo figlio piu` piccolo finire le superiori a giugno.

Non e` facile rapportarsi a qualcuno con le metastasi, soprattutto se si e` avuto il cancro. Quello che e` successo alla Silberman e` la mia piu` grande paura; la notte dopo la nostra chiacchierata, sono stata perseguitata dall’incubo che il cancro tornasse. Probabilmente per questo motivo, le pazienti metastatiche sono assenti dalle campagne del nastro rosa e raramente vengono invitate a parlare durante eventi di raccolta fondi o alle corse. Lo scorso ottobre, per la prima volta, una donna con cancro al quarto stadio figurava nella pubblicita` di Komen, ma le sue parole enfatizzavano cautamente il lato positivo: “Sebbene oggi, il tumore sia arrivato a ossa, fegato e polmoni, Bridget continua ancora a sperare” (Bridget e` morta all’inizio di questo mese).

“Tutto quelle parole sulla consapevolezza non ci riguardano”, dice Silberman. “Riguardano la sopravvivenza, noi non sopravviveremo. Staremo male. Perderemo parte del nostro fegato. Verremo attaccate all’ossigeno. Moriremo. Non e` bello e non da speranza. La gente vuole credere nella “cura” e vuole credere che la cura sia la diagnosi precoce. Ma sai cosa? Non e` vero”.
Il progresso scientifico e` irregolare, imprevedibile. “Brancoliamo tutti nel buio”, dice Peter B. Bach, direttore del Centro per le Politiche Sanitarie del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. “Quello che posso dire e` che qualcosa dara` i suoi frutti”. Ci sono alcune terapie, come il tamoxifene o l’Herceptin, mirate a specifiche caratteristiche del tumore, e nuovi test in grado di fare una stima delle probabilita` di ricaduta nei tumori estrogeno-dipendenti, consentendo alle donne con un rischio basso di evitare la chemioterapia. “Non e` curare il cancro”, dice Bach “ma sono passi in avanti. E si, sono lenti”.

L’idea che possa esserci un’unica soluzione per il cancro al seno – screening, diagnosi precoce, una cura universale – e` allettante. Tutti noi – chi ha paura della malattia, chi ci convive, i nostri amici, le nostre famiglie, le compagnie che si avvolgono nel rosa – vorremmo che fosse vero. Indossare un bracciale, un nastro, partecipare a una corsa, comprare un frullatore rosa esprime le nostre speranze e ci fa sentire buoni, persino virtuosi, ma fare la differenza e` molto piu` complicato di cosi`.

Sono passati 40 anni da quando l’ex first lady Betty Ford ha parlato pubblicamente del suo cancro al seno, infrangendo lo stigma sulla malattia. Sono passati 30 anni dalla fondazione di Komen. 20 anni dall’introduzione del nastro rosa. Eppure tutta questa consapevolezza, ha finito col rendere le donne meno consapevoli della realta` dei fatti, ha oscurato i limiti dello screening, confuso rischio con malattia, compromesso le decisioni sulla nostra salute, celebrato “sopravvissute” che non avrebbero mai necessitato di alcun trattamento. Tutto questo a spese di coloro le cui vite sono piu` a rischio."



lunedì 24 settembre 2012

27 settembre - Non siamo nastri rosa



E` inutile che ve lo stia a raccontare di nuovo. La conoscete tutti la storia del comunicato stampa della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) per il lancio dell'edizione 2012 della campagna Nastro Rosa.
Come ho scritto in un post per Femminismo a Sud, siamo arrivati al punto che vogliono farci credere che o ci facciamo belle coi prodotti Estee Lauder o ci verra` il cancro. Prevenzione significa bellezza, recita il comunicato.

Andiamo al sodo. E` ora di dire basta. E per farlo non basta leggere e commentare i post, cliccare mi piace sulla pagina Facebook dell'Amazzone Furiosa e guardarsi 10 volte il trailer di Pink Ribbons Inc. Bisogna agire, in maniera concreta. Giovedi` 27 settembre a Roma, alle 11, la LILT terra` una conferenza stampa per la presentazione della campagna Nastro Rosa presso la Sala del Tempio di Adriano in Piazza di Pietra. Dobbiamo esserci. Dobbiamo fare casino. Dobbiamo far capire agli organizzatori che noi non ci stiamo, che e` finito il tempo della donne burattino da mandare in profumeria a fare incetta di prodotti costosissimi e contenenti sostanze cancerogene con la scusa di devolvere una minima, infima parte del ricavato alla ricerca. E quale ricerca non e` dato sapere.
Basta fare profitti sulla nostra pelle. Siamo esseri umani, non siamo nastri rosa. La LILT ci deve quantomeno una spiegazione

lunedì 10 settembre 2012

Pink Ribbons Inc. - il trailer in italiano

Ho gia` parlato piu` volte di questo documentario che bisognerebbe assolutamente portare in Italia. Non aggiungo altro. Non ce n'e` bisogno. Guardate il trailer, con i sottotitoli in italiano. Quanta voglia avete di vederlo per intero?




domenica 9 settembre 2012

Oltre il rosa - La storia di Laura



Ho conosciuto la cara, carissima Giovanna Marsico via twitter. Giovanna lavora con cancercontribution, una piattaforma che unisce vari attori (medici, pazienti, politici, associazioni, cittadini) interessati in vario modo e a vario titolo alla questione cancro e il cui obiettivo e` favorire lo scambio di idee e il confronto per migliorare il sistema sanitario.
Ieri, Giovanna mi ha inviato un bellissimo post tratto dal blog di una donna che vive in California, Laura Wells, e` che ha un cancro al seno in metastasi. E` insomma al quarto stadio, l'ultimo, quello che si conclude - salvo miracoli - con la morte. Le donne in queste condizioni sono tante e, a seconda della risposta ai trattamenti palliativi, della propria resistenza fisica, delle caratteristiche biologiche della malattia, possono avere davanti a loro ancora diversi anni. Solo che non lo sanno. Vivono ogni giorno con la consapevolezza che potrebbe essere l'ultimo o poco piu`. Queste donne alle Race for the Cure o alle varie parate in rosa non esistono. Preferisco comunque cedere la parola a Laura. Il suo post e` molto toccante. Ho pensato di tradurlo per voi.

"Oltre il rosa.

Quando mi e` stato diagnosticato il cancro al seno e` stato difficile accettare il nastro rosa e tutto cio` che rappresenta. Non ero contenta di entrare nel club e diventare sostenitrice di una causa solo perche` potevo trarne beneficio mi metteva a disagio. Mi sembrava egoista e ipocrita.

Ho cominciato davvero a identificarmi con il rosa quando il cancro e` tornato, questa volta all'ultimo stadio, perche` avrei avuto il cancro al seno per sempre e avrei dovuto essere in trattamento per tutta la vita. Finalmente mi sono votata alla causa del rosa.

Ironia della sorte, con il cancro al seno metastatico tutto cio` che il rosa rappresenta non andava bene per me. Ero oltre la "prevenzione", oltre la "cura", oltre la "sopravvivenza", oltre il "rosa".

Ho scoperto che molte donne si sentivano escluse, ogni ottobre, durante il mese della prevenzione sul cancro al seno, perche` le nostre storie non vengono raccontate. Nessuno sentira` mai parlare delle donne al quarto stadio [cancro diffuso in altre parti del corpo lontane dal seno, ad esempio ossa, cervello, fegato. ndr] morte nel corso dell'anno, tranne forse di qualche personaggio famoso o come statistiche.

Ma le donne comuni con cancro al seno in metastasi non saranno da nessuna parte. Non ci saranno articoli su di loro sui giornali. Non ci saranno programmi televisivi che raccontino al mondo la vita delle eterne pazienti che si alzano ogni mattina per sottoporsi a continui controlli e terapie. Non sentiremo parlare della paura che un semplice mal di schiena possa essere sintomo di una mestasi alle ossa, che fa a pezzi una donna nel senso letterale del termine, o del timore che un mal di testa sia causato da una metastasi al cervello invece che dallo stress. Non ci saranno testimonianze, alle innumerevoli manifestazioni sulla prevenzione, riguardanti chiacchierate con i propri figli che cominciano con un "Ci sarai ancora quando...?"

Ci saranno solo le storie delle "sopravvissute", donne che "l'hanno preso in tempo" e sono "guarite". Ascolteremo le storie di donne famose che hanno combattuto il cancro ai primi stadii e sono SOPRAVVISSUTE. E parlando alle manifestazioni aiuteranno a promuovere consapevolezza, prevenzione e sopravvivenza.

Capisco il bisogno di allegria e di ascoltare storie di sopravvissute. So come e` importante, come e` necessario sentirle soprattutto nel caso in cui c'e` speranza di guarire.

Ma io sono oltre questo concetto di speranza. La mia speranza e` che i controlli vadano bene, che i nuovi farmaci facciano effetto. La mia speranza e` di essere ancora viva quando mia figlia si sposera` e quando nasceranno i miei nipoti. Spero di poter rinviare quanto piu` possibile il momento in cui dovro` dire addio a un marito addolorato per la morte di sua moglie.

Il mio cancro al seno non e` piu` solo rosa. Adesso include il grigio, il colore del niente - della terra di nessuno in cui vivo, non piu` sopravvissuta ma ancora combattente, senza mai arrendermi. E nero, il colore della morte, perche` un giorno sicuramente la mia battaglia finira`.

Il problema col "rosa" e` che, nonostante tutta la consapevolezza che produce, nessuno e` consapevole dell'esistenza del cancro al seno al quarto stadio, il cancro che uccide. E nessuna e` preparata a entrare a far parte di questo club, che e` oltre il rosa, perche`nessuno ne parlera`, per un altro anno ancora".

Seguite il blog di Laura a questo indirizzo http://www.mystage4life.blogspot.co.uk/

lunedì 3 settembre 2012

Vanity Fair discolpati




Ottobre si avvicina. Ottobre, quello che dovrebbe essere il mese della "prevenzione" (ma quale?) sul cancro al seno e diventa invece sistematicamente ogni anno la fiera del rosa.
Estee Lauder, che la fiera del rosa l'ha ideata per prima, si sta gia` dando da fare a suonare la gran cassa della pubblicita`. Ovviamente non si tratta di pubblicita` in senso tradizionale. Per le modelle superfighe, coi seni turgidi e il braccialetto rosa sul braccio, c'e` tempo. Bisogna prima insinuarsi nella mente delle consumatrici ignare in maniera piu` soft. Niente di meglio allora che qualche bell'articolo celebrativo sulla grande filantropa ed eroina della causa del cancro al seno che - cosi` fanno credere - e` stata Evelyn Lauder.
La nota rivista "femminile" Vanity Fair, ha pubblicato nel suo ultimo numero, un articolo celebrativo sulla Lauder, con tanto di foto e agiografia. Di articoli del genere ne sono stati scritti e pubblicati tantissimi, ma questo di Vanity Fair intende celebrare il ventennale della "creazione" del nastro rosa - il pink ribbon - da parte di Evelyn Lauder. Niente di piu` falso!
"La storia di Evelyn Lauder" - comincia cosi` l'articolo di Irene Soave- "e` dedicata a chi pensa che il rosa sia un colore frivolo. [...] A chi crede che per una donna con il cancro al seno vestiti e make up siano solo ricordi. [...] La sua creatura, il nastro rosa simbolo della lotta contro il cancro al seno - una campagna nata nel 1992 e che da allora ha distribuito 115 milioni di pink ribbons in tutto il mondo - compira` vent'anni ad ottobre.".
La "sua creatura"? Siamo alle solite. Siamo alla solita, vecchia menzogna di Evelyn Lauder, paladina delle donne col cancro al seno, che inventa il nastro rosa. Menzognera perche`, come risaputo negli Stati Uniti, e ribadito piu` di recente su questo blog e dalla giornalista Susanna Curci sul settimanale Gli Altri in un articolo significativamente intitolato "Se il cancro al seno diventa un business. Si scrive Estee Lauder, si legge pinkwashing", Evelyn Lauder il nastro rosa lo ha rubato a una donna, Charlotte Haley, che, in quanto madre, figlia e sorella di donne col cancro al seno, aveva cominciato a fabbricare piccoli nastrini color pesca che poi distribuiva GRATIS. Evelyn Lauder e Alexandra Penney, allora direttrice della rivista statunistense Self, cercarono di convincere con le buone la Haley a cedere loro i diritti sul nastrino da lei inventato e confezionato. Di fronte al rifiuto di quest'ultima, la quale aveva espressamente dichiarato di non voler avere niente a che fare con Estee Lauder e Self , in quanto "troppo commerciali", passarono alle cattive. Dietro consiglio di un legale, decisero infatti di cambiare il colore del nastro, che da color pesca divento` rosa. E il business ebbe inizio. Estee Lauder, anche questo e` noto, devolve solo il 20% dei ricavati delle vendite alla ricerca sul cancro al seno, peraltro senza specificare dove e a chi esattamente vadano a finire i soldi. Non c'e` proprio niente di filantropico. Estee Lauder usa il cancro al seno e il dramma delle donne colpite dalla malattia per fare profitti.
Ma non finisce qui. Il pink ribbon e` stato un grande successo di marketing. Altre aziende produttrici di cosmetici (peraltro spesso contenti sostanze fortemente sospettate di essere cancerogene) e mercanzia varia hanno imitato Estee Lauder. Per farsi pubblicita` non hanno esitato ad offrire una rappresentazione del cancro al seno come qualcosa di "femminile", glamour, alla moda. L'hanno "normalizzato". E` importante ribadire che il cancro al seno e` una malattia mortale. Molte sono le donne che muoiono anche a distanza di molti anni. Sempre di piu` si ammalano e sono sempre piu` giovani. In Italia, siamo a una donna ogni otto e il 30% ha meno di 44 anni. L'esistenza di chi ha sviluppato la malattia e` contrassegnata di paura, trattamenti invasivi e debilitanti e un dolore sordo che periodicamente ritorna.
Farsi pubblicita` col cancro al seno fa schifo. E non e` nemmeno bello fare da vassalli a chi orchestra operazioni di questo tipo. Da Vanity Fair mi aspetto quanto meno una rettifica.

mercoledì 29 agosto 2012

Manifesto sul cancro al seno - Scriviamolo insieme - Questionario




L’Amazzone c’ha la testa dura, l’avrete capito. Nel post precedente era stata lanciata la proposta di scrivere collettivamente un manifesto sul cancro al seno in vista del mese della prevenzione a ottobre.
Ottobre, si diceva, e` il mese del rosa e del business sulla malattia. E` il mese in cui tutte noi siamo invitate ad andare a fare la mammografia. Tutti, medici, ricercatori, giornali parlano del cancro al seno ad ottobre. Tutti meno noi, le donne. Quelle che in percentuale sempre piu` elevata si ammalano di cancro al seno.
L’idea del Manifesto e` nata per caso su Twitter. Si parlava di cosa fare per riappropriarci di ottobre e della malattia. Il Manifesto, dunque, dobbiamo scriverlo tutte insieme. Chi il cancro al seno l’ha avuto e chi no.
Ho preparato un questionario. Sono 9 domande. Potete rispondere anche a una sola, ma per favore fatelo. Potete postare le vostre risposte direttamente qui sul blog (anche in anonimato) o inviarle all’indirizzo occupythecure@gmail.com.
Le vostre risposte serviranno a scrivere il Manifesto. Pronte? Via!

P.S. Grazie a Patty, Serena e alla Rete delle Reti Femminili per il supporto e la bellissima immagine

1.     Hai avuto il cancro al seno o conosci qualcuna che l’abbia avuto?

2.     Il rosa e` da molti anni il colore associato con il cancro al seno. Ti riconosci in questo colore?

3.     Una donna ogni otto oggi in Italia si ammala di cancro al seno. Circa un terzo ha meno di 44 anni. Cosa ne pensi?

4.     Ti sembra che i media si occupino abbastanza del cancro al seno? Ti piace il modo in cui se ne occupano?

5.     Cosa pensi degli attuali programmi di screening (mammografia a partire dai 50 anni anni)?

6.     Cosa pensi dei trattamenti piu` comuni (chirurgia, chemioterapia, ormonoterapia, radioterapia, anticorpi monoclonali)?

7.     Pensi che ai trattamenti cosiddetti tradizionali se ne possano associare anche altri? E se si, quali?

8.     Ti interesserebbe conoscere le cause della malattia?

9.     E` possibile, secondo te, fare in modo che nessuna donna si ammali piu` di cancro al seno?

mercoledì 22 agosto 2012

Chiamata alle armi


A chi non ama il linguaggio guerresco, soprattutto se riferito al cancro, il titolo di questo post non piacera`. Per la verita`, nemmeno a me piacciono espressioni come “sta lottando contro il cancro” o, peggio ancora, “ha perso la sua battaglia contro il cancro”. Sono i media spesso ad esprimersi in questi termini. Se a farlo sono le malate, pero`, secondo me e` diverso. Ci si puo` riappriopiare del linguaggio e utilizzarlo a proprio vantaggio. Alcune donne col cancro al seno traggono coraggio dalle metafore guerresche riferite alla loro malattia e hanno quindi, a prescindere dai gusti, tutta la mia solidarietà.
Finito il preambolo, andiamo al sodo. Come accennato nei post precedenti, ottobre e` il mese della ‘prevenzione’ del cancro al seno. E` il mese del rosa, delle sopravvissute e del business. La proposta del nastro nero resta sempre valida, cosi` come quella di reinventarci Cancer Riot. Sarebbe opportuno pero` anche preparare un piccolo manifesto. Niente di complicato, una lista delle cose che riguardano il cancro al seno – nel senso piu` ampio possibile – che non ci piacciono e che vorremmo cambiare.
Pronte? Via!

giovedì 9 agosto 2012

Il nastro nero


Nero. Il colore del lutto. Il colore della morte.
E` agosto, siamo tutti sotto l'ombrellone, chiappe nell'acqua o nasi all'insu` ad ammirare le cime dei monti. In realta`, la maggioranza sta in citta` a schiattare di caldo perche` non ha i soldi per le vacanze ma non si puo` dire. Non sta bene. E allora facciamo finta che siamo tutti in vacanza, in tutt'altre faccende affancedati e che non ci vada proprio di pensare a rotture di scatole come il lavoro e i soldi che mancano o il cancro.
Agosto e` il mese delle vacanze. Ad ottobre, pero`, non manca molto. E ottobre, ormai da anni, e` il mese della prevenzione del tumore al seno. Si scrive 'prevenzione' si legge diagnosi precoce. Si scrive 'tumore', si legge cancro.
Il mondo si colora di rosa ad ottobre. I nastri rosa fioriscono ovunque. I giornali e la tv parlano del 'tumore' al seno, consigliano di fare la mammografia e ci rassicurano con storie edificanti di chi 'ce l'ha fatta'. Chi di cancro al seno c'e` morta, chi vive con le metastasi, chi sta facendo la chemio e non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto non esiste. E che dire delle cifre allarmanti sull'aumento della patologia, soprattutto tra le donne con meno di 44 anni? Silenzio! Che nessuno rovini la festa!
Lo so, siamo ad agosto, il caldo vi squaglia, c'avete un anno gia` abbastanza di merda sulle spalle e non sapete nemmeno se da qui ad ottobre non avrete dato di matto. Io pero` una proposta ve la faccio e vorrei che cominciassimo a contarci. Quindi, se la cosa vi interessa date un cenno. Sul blog, su Facebook, dove e come vi pare, ma fatelo. Quest'anno, ad ottobre, tingiamo i nastri rosa di nero. Mettiamoci agli angoli delle strade, nelle profumerie e nei supermercati a distribuirli. O magari appuntiamocene uno sul petto. Mettiamoli sulle foto dei nostri profili Facebook e Twitter. Spammiamoli sulle pagine di Estee Lauder e di chiunque faccia affari sulla malattia. Mostriamoli ai ricercatori e facciamo capire che vogliamo dire la nostra. Sovvertiamo il discorso dominante. Il cancro non e` edificante per nulla, non e` una battaglia da vincere. Non e` 'femminile' per niente.  E` dolore. E` morte. E` una sconfitta collettiva. Sempre.

Buone vacanze