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domenica 1 ottobre 2017

La vera storia del nastro rosa

Il nastro rosa compie 25 anni. Lo annunciano Estee Lauder, e in Italia, il suo partner scientifico, l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).

"La Campagna Breast Cancer dedicata alla lotta contro il tumore al seno è stata ideata nel 1992 da Evelyn H. Lauder insieme al suo simbolo distintivo, il Nastro Rosa. La campagna, fino allo scorso anno, si chiamava BCA (Breast Cancer Awareness), ma da quest’anno – proprio in occasione del 25° Anniversario, The Estée Lauder Companies ha dato vita ad un “re-naming”, chiamandola BC Campaign (Breast Cancer), togliendo quindi la parola Awareness = Consapevolezza, perché dopo 25 anni di impegno verso la sensibilizzazione ora è il momento di focalizzarci sul futuro, e investire tutte le energie per avere un mondo libero dal tumore al seno."

Cosi` si legge sul sito della campagna [qui]. Peccato che le cose siano andate diversamente e che da 25 anni Estee Lauder racconti bugie a scopo di lucro sulla pelle delle donne.


Cominciamo proprio dal nastro rosa, la cui ideazione viene attribuita a Evelyn H. Lauder, nuora di Estee Lauder, alla guida della casa di cosmetici negli anni '90. Un nastro non rosa ma color salmone esisteva gia` e a confezionarne a decine con le sue mani era una donna, Charlotte Haley, la cui nonna, sorella e figlia erano state colpite dal cancro al seno. Charlotte distribuiva i suoi nastri insieme a una cartolina che invitava a chiedere che il National Cancer Institute (NCI) investisse di piu` nella prevenzione della malattia cui all'epoca destinava solo l'8% del suo budget da quasi 2 miliardi di dollari. Un'iniziativa, quindi, di una donna comune che non chiedeva di donare soldi o acquistare prodotti ma di fare pressione sulla principale agenzia governativa statunitense per la ricerca sul cancro allo scopo di modificarne la distribuzione dei fondi.
La voce si sparge e arriva alle orecchie di Evelyn H. Lauder e Alexandra Penney, direttrice della rivista Self. Insieme contattano Charlotte. Le chiedono di usare il suo nastro per lanciare una campagna in favore delle donne contro il cancro al seno sotto l'egida del marchio Estee Lauder. Charlotte sente puzza di bruciato e rifiuta. Ma Lauder e Penney, a loro volta, hanno fiutato l'affare. Su consiglio dei loro avvocati, cambiano il colore del nastro che da salmone diventa rosa. Un colore rassicurante e festoso, tutto cio` che una diagnosi di cancro al seno non e`. Nell'ottobre del 1992 il nastro rosa viene associato alla vendita dei prodotti Estee Lauder.

La vera storia del nastro rosa e` ben nota. L'hanno raccontata studiose e attiviste, come l'indimenticabile Barbara Brenner, per 15 anni direttrice esecutiva di Breast Cancer Action (BCAction), e la stessa Charlotte Haley. Ed e` a loro che vogliamo lasciare la parola attraverso un estratto del documentario Pink Ribbons Inc. che trovate qui e che vi invitiamo a diffondere.
Le bugie sull'ideazione del nastro rosa sono emblematiche delle mistificazioni sul cancro al seno che chi come noi vive con la malattia e le donne tutte devono sorbirsi da ormai troppo tempo. 25 anni sono tanti. E` ora di dire basta. Non per raggiungere l'impossibile e menzognero traguardo proposto da Estee Lauder di un "mondo libero dal tumore al seno", ma per fare in modo che sempre meno donne si ammalino e che terapie sempre piu` efficaci e meno tossiche siano disponibili per tutti gli stadi della malattia, compreso il quarto.


mercoledì 28 ottobre 2015

Pinkwashing: cos'e` e perche` non ci piace

E` finita. Quasi. Ancora tre giorni e ottobre sara` finito. Del cancro al seno continueranno a ricordarsi solo le persone colpite dalla malattia e i loro cari. Per noi il cancro al seno e` una presenza costante, non certo una scusa per vendere prodotti.

Questo ottobre e` stato diverso dagli altri, pero`. La lettera alla LILT scritta insieme a Sandra Castiello, Alberta Ferrari, Daniela Fregosi, Emma Schiavon e Carla Zagatti (qui) ha ottenuto il supporto di oltre 500 persone, nonostante il tentativo di depoliticizzare la nostra protesta da parte della stessa LILT e della maggioranza dei media che hanno cercato di farla passare come un attacco alla cantante testimonial della campagna.
Dove non c'e` stata strumentalizzazione, c'e` stato un non meno colpevole silenzio. Stiamo ancora aspettando una risposta dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Che non abbia saputo della nostra lettera e` impossibile. Ne hanno parlato davvero tutti. A distanza di 28 giorni dalla pubblicazione, non un rigo, sia pure di circostanza, e` venuto dal ministero.

Abbiamo imparato in questo mese che il gossip e` un'arma di distrazione di massa. Buttare tutto in caciara per occultare le motivazioni reali del dissenso all'ordine costituito, soprattutto se a dissentire sono donne. L'abbiamo scritto nella lettera e desideriamo ripeterlo ancora: il nostro problema, e non da quest'anno, e` il pinkwashing.

Il termine pinkwashing e` stato coniato da Breast Cancer Action  all’interno del progetto Think Before You Pink, lanciato nel 2002 (qui). Deriva dall’unione del sostantivo pink – rosa – e del verbo whitewash che significa letteralmente ‘imbiancare’ e in senso figurato ‘occultare’. Breast Cancer Action definisce ‘pinkwasher’ un’azienda o un’organizzazione che sostiene di avere a cuore il problema del cancro al seno e che cerca di dimostrarlo promuovendo prodotti contrassegnati con il nastro rosa ma che contengono sostanze correlate con un aumento del rischio di sviluppare la malattia. L’azienda di solito dimostra il suo sostegno alla “causa” in due modi: donando una percentuale minima del ricavato delle vendite dei prodotti contrassegnati con il nastro rosa alla “ricerca” riguardante la malattia - senza premurarsi di specificare quale - oppure anche soltanto sostenendo campagne di sensibilizzazione. Nel corso degli anni il fenomeno si e` esteso notevolmente. Gayle Sulik, sociologa medica e direttrice del Breast Cancer Consortium (qui) nonche` autrice di Pink Ribbon Blues. How Breast Cancer Culture Undermines Women's Health (qui), ha adottato una definizione piu` ampia includendo aziende e organizzazioni, anche no profit, che solo apparentemente sembrano svolgere un’azione benefica ma che in realta` non fanno che peggiorare le cose non solo vendendo prodotti contenenti sostanze tossiche ma anche, ad esempio, diffondendo informazioni fuorvianti o contribuendo a veicolare un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia. 

La LILT non e` certo la sola in Italia a fare pinkwashing. Come non ricordare Komen Italia e la sua campagna col detersivo Perlana (qui)? E che dire di Fondazione Veronesi e gli assorbenti Lines (qui)? Quest'anno, pero`, c'e` stata una new entry: AIRC, che quest'anno ha lanciato la sua bella campagna rosa, sponsorizzata da Estee Lauder (che fino all'anno scorso sponsorizzava LILT) e dagli assorbenti Nuvenia (qui). Non bastava certo la condanna dell'ex presidente per morti da amianto (qui). Anche AIRC aveva diritto a sporcarsi le mani col pinkwashing. 

***Se questo post ti e` piaciuto, condividilo con almeno tre persone. Continuiamo a parlarne***


martedì 1 ottobre 2013

Pink Quiz - Risposte

Mi dispiace. Nessuna di voi ha risposto correttamente a tutte le domande. Siete cadute tutte sulla prima. Vediamo le risposte corrette:

1. Falso! Il nastro rosa e` stato creato da una donna, Charlotte Haley, le cui madre, sorella e nonna avevano avuto il cancro al seno. Agli inizi degli anni '90, Charlotte aveva confezionato dei nastrini rosa pesca che distribuiva gratuitamente. Il set contenente 5 nastri rosa conteneva una cartolina con su scritto "Il bilancio annuale del National Cancer Institute e` di 1,8 milioni di dollari, solo il 5% e` destinato alla prevenzione. Indossiamo questo nastro perche` i nostri legislatori e l'America si sveglino". La direttrice della rivista Self, venuta a sapere della campagna di Charlotte, la avvicino` chiedendole di utilizzare il nastro per l'edizione speciale del suo giornale riguardante la prevenzione del cancro al seno. Charlotte rifiuto` dicendo che non voleva che il suo nastrino finisse nelle mani delle corporations. A questo punto, Self cambio` la sfumatura del colore del nastro appropriandosene e, nell'autunno del 1992, Estee Lauder distribui` circa un milione di nastri rosa alle casse delle profumerie, senza fare alcun riferimento alla prevenzione o a una migliore allocazione dei fondi.

2. Falso! Chiunque puo` mettere un nastro rosa su un prodotto. Infatti anche le compagnie che vendono prodotti contenenti sostanze cancerogene si servono del nastro rosa per aumentarne le vendite.

3. Vero! Astra Zeneca e` lo sponsor principale del mese per la prevenzione del cancro al seno negli Stati Uniti, paese da cui la campagna e` partita. E` per questo motivo che ad ottobre si parla tanto di mammografia e cura del cancro al seno ma MAI delle sue cause, soprattutto di quelle ambientali.

4. Nessuno! Tutti i prodotti menzionati sono stati associati al nastro rosa. Volete vederla la pistola di Susan G. Komen for the Cure (poi ovviamente hanno smentito)? Eccola. Sta in borsetta!


sabato 28 settembre 2013

Pink Quiz

Oggi giochiamo. Vediamo quanto siete consapevoli dell'importanza della prevenzione del cancro al seno e delle campagne di sensibilizzazione. Rispondete alle domande qui sotto (che le Amazzoni ha copiato paro paro dall'associazione Breast Cancer Action - se andate a vedere le risposte per fare le fighe vi verra` perlomeno un mal di pancia con annesso cagotto). Prossimamente verranno pubblicate le soluzioni e chi avra` risposto bene a piu` domande, ricevera` una sorpresa.



1. Vero o Falso: Il nastro rosa e` stato creato dalla casa di cosmetici Estee Lauder per sensibilizzare le donne sull'importanza della prevenzione del cancro al seno.

2. Vero o Falso: Comprare un prodotto con il nastro rosa garantisce che il denaro verra` devoluto alla causa del cancro al seno.

3. Vero o Falso: Il mese della prevenzione del cancro al seno (ottobre) e` stato istituito dalla casa farmaceutica Astra Zeneca, produttrice del farmaco tamoxifene, utilizzato per trattare la malattia.

4. Quali dei seguenti prodotti non e` MAI stato associato al nastro rosa?  
   
   Armi

   Pollo e patatine fritte

   Spazzoloni per lavare a terra

   Detersivi

   Rossetti

         

giovedì 26 settembre 2013

La donna e` shopping




Due nomi stanno girando in rete a piu` non posso: Laura Boldrini e Guido Barilla. Devo confessare che dal mio eremo albionico non posso che raccogliere notizie frammentate. Non ho ascoltato direttamente le dichiarazioni della Boldrini, ne` quelle di Barilla. Mi pare di aver capito comunque che la prima abbia espresso la sua contrarieta` alla sovrarappresentazione delle donne angeli del focolare e amorevoli servitrice di zuppe nelle pubblicita` e che Barilla abbia risposto che lui negli spot della sua pasta le famiglie omosessuali non ce le metterebbe mai. La vicenda mi ha suggerito qualche riflessione su genere, famiglia e consumi basate su ricerche condotte da quei parassiti che rispondono al nome di scienziati sociali. Anzi, in questo caso, si tratta di scienziatE sociali, quindi peggio.
A partire grosso modo dagli anni '50, qualcuno dice anche da prima, la famiglia diventa l'unita` base del consumo di massa. Quale famiglia? Non la famiglia comunemente chiamata "patriarcale", con padre, madre, quindici figli, nonni, bisnonni, zii e trisavoli, ma la famiglia nucleare con papa`, mamma e un paio di pargoli. In questo modello di famiglia, il papa` non va a zappare o a lavorare in miniera. Tutte le mattine indossa giacca e cravatta e se ne va in ufficio. La mamma sta casa, non a "fare i servizi", come diceva mia nonna (in dialetto) e dice ancora mia madre che alle sue origini contadine ci tiene, ma a "rassettare", a "fare le faccende domestiche". E non indossa certo grembiuloni lerci del sudore della fatica fatta a scopare (ops spazzare), lavare a terra, cucinare, lavare i panni (ops fare il bucato), lavare il cesso (ops il bagno), mettere i punti (ops rammendare) ai calzini del maritino ecc. e non ha certo la pancia appesa per le 15 gravidanze. E` vestita di tutto punto - vestitino con gonna a ruota negli anni '50, pantaloni alla pescatora e camicia negli anni '60 - ha la vita stretta e i seni appuntiti, i capelli messi bene in piega. Stende il bucato felice, prepara pasti appetitosi. Sempre sorridente, e` lei, la donna/mamma, il target a cui le pubblicita` si rivolgono. E non a caso. E` lei che va a fare la spesa, e` lei che sceglie i prodotti da comprare. E` lei, in quanto donna, a sentire la sua posizione nella societa` sempre in bilico e questo la rende in cerca di un'identita`, che la pubblicita` (e la rima e` inevitabile) prontamente le fornisce. Questo non significa che le donne abbiano sempre e solo obbedito al comandamento che le vuole tutte casa e shopping. Anzi. In molti casi, dei prodotti di consumo e dei modelli imposti loro dal marketing, le donne si sono "appropriate" e ne hanno tratto vantaggio. Un caso classico e` quello della lavatrice (qui un libro interessante sul tema).
Come stanno le cose oggi? Non sembra siano cambiate molto. Le donne continuano a essere il target principale del marketing, che, nel frattempo, si e` arricchito di nuove strategie. Un esempio a caso, il marketing sociale. Quello che pubblicizza prodotti legandoli a una "giusta causa". Se consideriamo quanto detto fino ad ora e aggiungiamo quest'ultimo elemento non e` difficile capire perche` proprio "la causa" del cancro al seno sia una trovata pubblicitaria geniale. Prendi una malattia per il cui sviluppo il principale fattore di rischio e` essere donna, e associala a prodotti come spazzoloni (Vileda), cosmetici (Estee Lauder, Avon ecc.), detersivi (Perlana) ecc., colorali tutti di rosa - colore simbolo di femminilita` per volonta` di Evelyne Lauder, la mente da cui tutto e` partito - e il gioco e` fatto. Le donne comprano piu` di prima perche` pensano di stare contribuendo con i loro acquisti a un'impresa filantropica, che in realta` non lo e` affatto perche` le percentuali devolute sono infinitesimali e non aumentano in base all'aumento delle vendite del prodotto, perche` non sono le consumatrici stesse a decidere dove devono finire i loro soldi, ma sono le aziende a scegliere stabilendo partnership con chi pare a loro, perche` spesso vengono sponsorizzati prodotti che contengono sostanze correlate col cancro stesso. Che fare allora? La situazione e` talmente paradossale che, almeno per il momento, non si puo` fare altro che spezzare questa catena folle. Non cadere nell'inganno del nastro rosa, non acquistare prodotti "per la causa" ma chiedere di essere chiamate in causa, facendo domande sullo stato della ricerca sul cancro e su dove sta andando, esprimendo dubbi, perplessita`, paure e incazzamenti. Facendo capire che il giocattolo si e` rotto e che, questa volta, se e come si deve aggiustare lo decidiamo noi.


venerdì 28 settembre 2012

Amazzoni Furiose: Elisabetta. Una (s)fortuna rosa*


Un 27 settembre di un caldo estivo a Roma. La LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) terrà una conferenza stampa per presentare la XX edizione internazionale della campagna Nastro Rosa in un luogo splendido, su cui si posano gli occhi e gli obiettivi di centinaia di turisti durante il giorno, e che di notte s'illumina come un faro nella movida romana: il Tempio di Adriano in Piazza di Pietra, all'interno della prestigiosa sala.
Ho letto prima il post di Grazia De Michele, poi il comunicato LILT a cui si riferiva. Luccicante e favoloso: si parla di shopping, creme miracolose, levigatezza e bellezza, proventi e generosità, buone intenzioni tempestate di Swarovski. C'è anche una delle tante miss dal passato incoronato: bellissima. Il tutto immerso in una rosa zuccheroso e femminile. Femminile da morire, letteralmente. 
Ah, perché si parla anche di cancro. Al seno, precisamente.
E di ricerca, di salute e di prevenzione. Cose serie... Però c'è qualcosa che non funziona, un incastro mal riuscito, l'odore di una gigantesca operazione di marketing vestita dei francescani abiti della beneficenza e dell'altruismo a percentuale minima.
Ma quando la fanno la conferenza? Sì, giovedì, di mattina, ma a che ora? Io lavoro, tu hai il mal di gola (eh... il maledetto cambio di stagione), lei deve accompagnare la sorella a fare la chemioterapia (si possono contare i capelli che le restano, e mi ha detto che per qualche minuto ha perso la vista a causa di quel veleno guaritore della chemio: lo sai cosa si prova? Non lo so), l'altro ha un colloquio di lavoro (ormai sostiene colloqui a tempo indeterminato, una conquista)... e insomma, prepariamo comunque i volantini. Stampiamo il post di Grazia con l'intenzione di fare informazione laddove si riuniranno i giornalisti per la conferenza LILT: i contenuti sono quelli di cui Grazia va parlando da qualche mese qui in Italia, sono quelli che in USA stanno affrontando da anni e che sono discussi in libri documentari. Perché ci volete rinchiudere in stereotipi sessisti? Perché ci dite che la prevenzione passa anche per la bellezza? Perché il rosa? Perché il cancro al seno deve essere fashion? Perché nei prodotti delle case cosmetiche che scegliete come sponsor sono presenti agenti potenzialmente cancerogeni? Perché ci spingete ad acquistare questi prodotti (costosissimi)? Perché l'ossessione dello shopping che deve essere per forza questione di donne? Perché una testimonial tanto bella quanto poco credibile rispetto al tema?
Tanto per dirne qualcuno.
Ho duecento volantini tra le mani, di cellulosa e di parole da diffondere: nessuno che li distribuisca. Devo andare a lavoro, ma forse ce la faccio per la pausa pranzo: la conferenza stampa, siamo riuscite a saperlo, si terrà alle undici. Brutto orario in una splendida giornata di sole, calda, anche troppo; ma mi dicono che si protrarrà per un paio d'ore questo incontro, forse all'una ce la faccio a volantinare, a parlare con qualche giornalista, fotografo, passante, o che so io. Sono fiduciosa.
Alle dodici e quarantacinque sono fuori dall'ufficio; sfreccio in mezzo a sciami di turisti e ai camerieri che cercano di convincerli a fermarsi per il pranzo: italian pasta and pizza, sea fruits, mushrooms, everything you want.
Il Tempio è lì, e chi lo smuove. Poca gente, pochissima, l'ottimismo si va spegnendo passo dopo passo. E' finita, over. Ma i giornalisti? Tutti via? Sì. A dirmelo è una giovane donna, ci sono diverse giovani donne, e qualche uomo. Perfetti, sorridenti, inappuntabili con il fiore all'occhiello, anzi, con il pink ribbon in bella mostra. Cose serie...
Chiedo alla giovane signora, di una cordialità unica, se non è rimasto qualche giornalista con cui parlare dell'evento LILT: no, qui siamo tutte di Estée Lauder, Clinique e LILT (pensiero estemporaneo: ma la LILT si è messa a produrre cosmetici oppure Lauder e Clinique invece di capire come contrastare rughe e cellulite si sono date alla prevenzione oncologica? No perché, questa sequenza di nomi, apparentemente assonante, stona non poco alle mie orecchie); vuole una cartella stampa? Uh peccato, sono terminate.
Una strana atmosfera; mi è sembrato di arrivare alla conclusione di un incontro Tupperware in grande stile, con i top manager che si scambiano pacche sulle spalle e le migliori venditrici della piazza a dispensare opuscoli con risultati e obiettivi futuri; e la bellona onnipresente. Di lei è rimasto l'enorme cartello che mi guarda con un sorriso che più radioso non potrebbe essere.
Io non sorrido, mi guardo attorno, non vedo nessuno e niente; ho tra le mani le parole di Grazia e le devo dire che qui rimarranno, per ora. 
Mangio qualcosa per dovere, e torno in ufficio. La sento, le racconto, qualche battuta per sdrammatizzare un buco nell'acqua che mi brucia; senti 'na cosa Gra' (mi butto sul romanesco, un tocco di giovialità), io lo so perché questa giornata è andata così male, diciamo pure che è stata sfigata. Stamane ho incrociato un politico, sai, quello che è in guerra contro i gay e le cui iniziali sono C.G.: mica poteva esser di buon auspicio!
Ma ne voglio scrivere di questa giornata Grazia, poi se vuoi pubblichi sul blog; un'amazzone furiosa in una sfortunata giornata rosa. Che ne dici?

Elisabetta P.

* sfortuna (o destino, o come lo volete chiamare) per noi, che ieri abbiamo provato a sollevare questioni cruciali in un luogo dove invece la fortuna (economica) è rosa

lunedì 24 settembre 2012

27 settembre - Non siamo nastri rosa



E` inutile che ve lo stia a raccontare di nuovo. La conoscete tutti la storia del comunicato stampa della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) per il lancio dell'edizione 2012 della campagna Nastro Rosa.
Come ho scritto in un post per Femminismo a Sud, siamo arrivati al punto che vogliono farci credere che o ci facciamo belle coi prodotti Estee Lauder o ci verra` il cancro. Prevenzione significa bellezza, recita il comunicato.

Andiamo al sodo. E` ora di dire basta. E per farlo non basta leggere e commentare i post, cliccare mi piace sulla pagina Facebook dell'Amazzone Furiosa e guardarsi 10 volte il trailer di Pink Ribbons Inc. Bisogna agire, in maniera concreta. Giovedi` 27 settembre a Roma, alle 11, la LILT terra` una conferenza stampa per la presentazione della campagna Nastro Rosa presso la Sala del Tempio di Adriano in Piazza di Pietra. Dobbiamo esserci. Dobbiamo fare casino. Dobbiamo far capire agli organizzatori che noi non ci stiamo, che e` finito il tempo della donne burattino da mandare in profumeria a fare incetta di prodotti costosissimi e contenenti sostanze cancerogene con la scusa di devolvere una minima, infima parte del ricavato alla ricerca. E quale ricerca non e` dato sapere.
Basta fare profitti sulla nostra pelle. Siamo esseri umani, non siamo nastri rosa. La LILT ci deve quantomeno una spiegazione

lunedì 10 settembre 2012

Pink Ribbons Inc. - il trailer in italiano

Ho gia` parlato piu` volte di questo documentario che bisognerebbe assolutamente portare in Italia. Non aggiungo altro. Non ce n'e` bisogno. Guardate il trailer, con i sottotitoli in italiano. Quanta voglia avete di vederlo per intero?




lunedì 3 settembre 2012

Vanity Fair discolpati




Ottobre si avvicina. Ottobre, quello che dovrebbe essere il mese della "prevenzione" (ma quale?) sul cancro al seno e diventa invece sistematicamente ogni anno la fiera del rosa.
Estee Lauder, che la fiera del rosa l'ha ideata per prima, si sta gia` dando da fare a suonare la gran cassa della pubblicita`. Ovviamente non si tratta di pubblicita` in senso tradizionale. Per le modelle superfighe, coi seni turgidi e il braccialetto rosa sul braccio, c'e` tempo. Bisogna prima insinuarsi nella mente delle consumatrici ignare in maniera piu` soft. Niente di meglio allora che qualche bell'articolo celebrativo sulla grande filantropa ed eroina della causa del cancro al seno che - cosi` fanno credere - e` stata Evelyn Lauder.
La nota rivista "femminile" Vanity Fair, ha pubblicato nel suo ultimo numero, un articolo celebrativo sulla Lauder, con tanto di foto e agiografia. Di articoli del genere ne sono stati scritti e pubblicati tantissimi, ma questo di Vanity Fair intende celebrare il ventennale della "creazione" del nastro rosa - il pink ribbon - da parte di Evelyn Lauder. Niente di piu` falso!
"La storia di Evelyn Lauder" - comincia cosi` l'articolo di Irene Soave- "e` dedicata a chi pensa che il rosa sia un colore frivolo. [...] A chi crede che per una donna con il cancro al seno vestiti e make up siano solo ricordi. [...] La sua creatura, il nastro rosa simbolo della lotta contro il cancro al seno - una campagna nata nel 1992 e che da allora ha distribuito 115 milioni di pink ribbons in tutto il mondo - compira` vent'anni ad ottobre.".
La "sua creatura"? Siamo alle solite. Siamo alla solita, vecchia menzogna di Evelyn Lauder, paladina delle donne col cancro al seno, che inventa il nastro rosa. Menzognera perche`, come risaputo negli Stati Uniti, e ribadito piu` di recente su questo blog e dalla giornalista Susanna Curci sul settimanale Gli Altri in un articolo significativamente intitolato "Se il cancro al seno diventa un business. Si scrive Estee Lauder, si legge pinkwashing", Evelyn Lauder il nastro rosa lo ha rubato a una donna, Charlotte Haley, che, in quanto madre, figlia e sorella di donne col cancro al seno, aveva cominciato a fabbricare piccoli nastrini color pesca che poi distribuiva GRATIS. Evelyn Lauder e Alexandra Penney, allora direttrice della rivista statunistense Self, cercarono di convincere con le buone la Haley a cedere loro i diritti sul nastrino da lei inventato e confezionato. Di fronte al rifiuto di quest'ultima, la quale aveva espressamente dichiarato di non voler avere niente a che fare con Estee Lauder e Self , in quanto "troppo commerciali", passarono alle cattive. Dietro consiglio di un legale, decisero infatti di cambiare il colore del nastro, che da color pesca divento` rosa. E il business ebbe inizio. Estee Lauder, anche questo e` noto, devolve solo il 20% dei ricavati delle vendite alla ricerca sul cancro al seno, peraltro senza specificare dove e a chi esattamente vadano a finire i soldi. Non c'e` proprio niente di filantropico. Estee Lauder usa il cancro al seno e il dramma delle donne colpite dalla malattia per fare profitti.
Ma non finisce qui. Il pink ribbon e` stato un grande successo di marketing. Altre aziende produttrici di cosmetici (peraltro spesso contenti sostanze fortemente sospettate di essere cancerogene) e mercanzia varia hanno imitato Estee Lauder. Per farsi pubblicita` non hanno esitato ad offrire una rappresentazione del cancro al seno come qualcosa di "femminile", glamour, alla moda. L'hanno "normalizzato". E` importante ribadire che il cancro al seno e` una malattia mortale. Molte sono le donne che muoiono anche a distanza di molti anni. Sempre di piu` si ammalano e sono sempre piu` giovani. In Italia, siamo a una donna ogni otto e il 30% ha meno di 44 anni. L'esistenza di chi ha sviluppato la malattia e` contrassegnata di paura, trattamenti invasivi e debilitanti e un dolore sordo che periodicamente ritorna.
Farsi pubblicita` col cancro al seno fa schifo. E non e` nemmeno bello fare da vassalli a chi orchestra operazioni di questo tipo. Da Vanity Fair mi aspetto quanto meno una rettifica.

giovedì 9 agosto 2012

Il nastro nero


Nero. Il colore del lutto. Il colore della morte.
E` agosto, siamo tutti sotto l'ombrellone, chiappe nell'acqua o nasi all'insu` ad ammirare le cime dei monti. In realta`, la maggioranza sta in citta` a schiattare di caldo perche` non ha i soldi per le vacanze ma non si puo` dire. Non sta bene. E allora facciamo finta che siamo tutti in vacanza, in tutt'altre faccende affancedati e che non ci vada proprio di pensare a rotture di scatole come il lavoro e i soldi che mancano o il cancro.
Agosto e` il mese delle vacanze. Ad ottobre, pero`, non manca molto. E ottobre, ormai da anni, e` il mese della prevenzione del tumore al seno. Si scrive 'prevenzione' si legge diagnosi precoce. Si scrive 'tumore', si legge cancro.
Il mondo si colora di rosa ad ottobre. I nastri rosa fioriscono ovunque. I giornali e la tv parlano del 'tumore' al seno, consigliano di fare la mammografia e ci rassicurano con storie edificanti di chi 'ce l'ha fatta'. Chi di cancro al seno c'e` morta, chi vive con le metastasi, chi sta facendo la chemio e non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto non esiste. E che dire delle cifre allarmanti sull'aumento della patologia, soprattutto tra le donne con meno di 44 anni? Silenzio! Che nessuno rovini la festa!
Lo so, siamo ad agosto, il caldo vi squaglia, c'avete un anno gia` abbastanza di merda sulle spalle e non sapete nemmeno se da qui ad ottobre non avrete dato di matto. Io pero` una proposta ve la faccio e vorrei che cominciassimo a contarci. Quindi, se la cosa vi interessa date un cenno. Sul blog, su Facebook, dove e come vi pare, ma fatelo. Quest'anno, ad ottobre, tingiamo i nastri rosa di nero. Mettiamoci agli angoli delle strade, nelle profumerie e nei supermercati a distribuirli. O magari appuntiamocene uno sul petto. Mettiamoli sulle foto dei nostri profili Facebook e Twitter. Spammiamoli sulle pagine di Estee Lauder e di chiunque faccia affari sulla malattia. Mostriamoli ai ricercatori e facciamo capire che vogliamo dire la nostra. Sovvertiamo il discorso dominante. Il cancro non e` edificante per nulla, non e` una battaglia da vincere. Non e` 'femminile' per niente.  E` dolore. E` morte. E` una sconfitta collettiva. Sempre.

Buone vacanze

domenica 3 giugno 2012

Evelyn Lauder nella mia stanza


Basta e` arrivato il momento di smetterla di piangersi addosso e raccontarvi tutta la verita` sul mio incontro ravvicinato col cancro al seno. Fino ad ora non l’ho fatto perche`, insomma, certe fortune una vorrebbe godersele anche un po` da sola in santa pace, senno` poi scatta l’invidia, la gente ti prende a occhio. Pero` oggi e` domenica, giorno del Signore, in Inghilterra la regina ci regala due giorni di vacanza per il suo sessantesimo anniversario di regno e allora mi sono detta che dovevo essere generosa anch’io.Guardate la foto qua sotto



Quella alla vostra destra, con la carnagione olivastra, no, non quella marroncina negra ma non troppo, quella accanto a destra, ecco quella sono io durante la chemio. Eh si. Avevo fatto da poco l’intervento, c’avevo il seno schiacciato e la cicatrice fresca, un po` di linfedema sotto l’ascella, i capelli radi, il colorito cereo, le occhiaie fino al mento e le labbra di un fantasma. Un giorno che, come al solito, stavo a letto a sentire il veleno che si spargeva nel mio corpo, tra brividi e conati di vomito, l’intestino impazzito, la bocca asciutta al sapore di metallo, all’improvviso ho sentito bussare alla finestra. Toc toc. “Dio Santo, mo` c’ho pure le allucinazioni”, mi sono detta. Toc toc. Toc toc. Ho chiamato il mio compagno di cammino: 

“Ma che e` sto rumore? Stanno bussando alla finestra?”. 
“Ma chi vuoi che bussi alla finestra al sesto piano? L’uomo ragno? Vuoi che facciamo l’iniezione per la nausea?”
“Non ho la nausea. Ho detto che sento bussare alla finestra” 
“Dai, prendi il gastroprotettore per l’ulcera”
“Vuoi lo xanax?”, si unisce con prontezza mia madre. 

A questo punto e` la crisi. Perche` non mi credono e vogliono imbottirmi di farmaci? Non ne ho gia` presi forse abbastanza? E poi, cazzo, sto male, peso 40 chili, c’ho quattro peli in testa e non mi sentirei a disagio a un party per soli zombie, ma io ho sentito bussare! Urlo, mi dimeno. 
“E` il cortisone”, mi spiega mio padre. 

L’ultimo acuto li fa scappare tutti. Finalmente. Mi sto per raggomitolare di nuovo sotto alle coperte. Sento che sta per arrivare una nuova ondata di brividi e la testa mi scoppia. All’improvviso, la finestra si spalanca da sola. Una luce fortissima mi investe. La stanza diventa tutta rosa. E lei, Evelyn Lauder, in diretta dall’oltretomba mi si para davanti con una bacchetta magica, rosa ovviamente. Sulle prime non la riconosco. E` lei a presentarsi:

“Sono Evelyn Lauder, la fondatrice di Estee Lauder”
“Ma chi? Quella dei trucchi?”
“Esatto, mia cara. Sai, anche io ho avuto un cancro al seno anni fa. Era un periodo difficile, c’era crisi e le donne non avevano soldi nemmeno per l’indurente per le unghie. Mi ero buttata cosi` a terra che non andavo piu` nemmeno dal parrucchiere. Poi, per fortuna, mi e` venuto il cancro”
“Ma come 'per fortuna'? Sei impazzita?”
“Impazzita? Ma no, bella mia, sei tu che sei una povera scema e non hai capito nulla. Te ne stai li` nel letto a lamentarti per la malattia, per la chemio, per la paura di schiattare. Guarda me invece! Io del cancro al seno ho fatto la mia fortuna”
“E come?”
“Semplice: ho rubato dei nastrini color pesca a una vecchia rincoglionita che li distribuiva all’entrata dei supermercati per attirare l’attenzione della gente sulla malattia, ho cambiato il colore, da pesca insignificante a rosa tanto femminile, ho appiccicato il nastrino sui miei prodotti e ho sparso la voce che avrei dato i ricavati alla ricerca. E la gente c’e` cascata. Chi non ha un’amica, una sorella, una parente col cancro al seno oggi?”
“E quanti soldi hai donato alla ricerca? Che buona che sei!”
“Ah ah ah buona io? Senti questa! Alla ricerca ho dato solo il 20% dei ricavi. Il resto me lo sono messo in saccoccia. C’abbiamo avuto un boom di vendite. Tutti a comprare la roba nostra”
“Ma questa e` una frode”
“Ah ah ah e vallo a dire in giro. A chi pensi che crederanno? A te, con quella faccia da topo con l’epatite o a me, la signora Estee Lauder?”
“Hai ragione. Ridotta cosi` non mi credera` nessuno”
“Oh Dio, adesso ricominci a frignare. Su, oggi mi trovi buona. To`, t’ho portato un bel cofanetto di prodotti, rosa pure lui. Rifatti un po` il trucco”
“Ma io non mi so truccare”
“E per questo t’e` venuto il cancro!”
“Ma scusa, non sono i parabeni che stanno pure nei cosmetici a farlo venire?”
“Se non la finisci ti faccio venire una metastasi”
“Oh Dio, no, Evelyn, ti prego. Mi trucco, faccio tutto quello che vuoi”
“No, di te non c’e` da fidarsi. Mo` chiamo un’amica mia, quella che mi fa da testimonial, un’attrice che il marito c’ha fatto un sacco di corna, Elisabeth Hurley. Ti trucca lei”

Elisabeth e` bellissima, altissima e truccatissima. C’ha due zinne gonfie e sode. Le mie sono moscie perche`, per via del cancro, mi hanno messa in menopausa farmacologica e quella destra e` solcata dai punti e le manca mezzo capezzolo.
“Eli, mi faresti pure le tette come le tue?”, le chiedo timidamente
“Ma certo, tesoro, siamo qui per questo”
“Ma perche` lo fate?”
“Perche` cosi` guadagnamo bei soldi. E comunque non lo facciamo con tutte. Se avessi le metastasi sarebbe diverso”
“In che senso?”
“Nel senso che le metastasi non fanno guadagnare, portano sfiga, fanno paura quindi per noi non esistono”
“Ma ci sono donne che ci convivono per anni…”
“E vabbe`, saranno fattacci loro. In America diciamo ‘business is business’”

Elisabeth continua a pennellare, mi rimette a posto le tette, mi rifa` il manicure. Sorride sempre. All’improvviso, mi sento bellissima anch'io e in forma come ogni donna vorrebbe essere. Pensare che e` stato tutto merito del cancro al seno