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mercoledì 22 novembre 2017

Cancro al seno estrogeno-responsivo: il rischio di metastasi dura 20 anni

Ottobre e` finito. Strappata la pagina del calendario e riposti i nastri rosa nel cassetto, il cancro al seno e` sparito dalle vite di chi, per sua fortuna, non ha ancora avuto modo di averci a che fare e dai giornali. Non e` certo sparito dalla vita di Mimma Panaccione, la fondatrice della prima associazione italiana per malate di cancro al seno metastatico, ne` da quella sui cari. Mimma e` morta il 17 novembre a soli 42 anni. E non e` sparito nemmeno dalle vite delle tantissime altre persone colpite e su cui solo per un mese all'anno, ottobre, si accendono i riflettori del circo rosa che le loro esperienze non le illumina, ma le distorce.

Giornali ed esperti di alto lignaggio adesso tacciono. Nemmeno la pubblicazione sul New England Medical Journal di uno studio che ha fatto il giro del mondo [qui] e` riuscita a ridargli il dono della parola. Forse il tema non e` di loro particolare gradimento o forse e` solo che a novembre siamo tutti presi dal Natale che si avvicina e i regali da comprare. Fatto sta che lo studio, uscito il 9 novembre, mostra come il rischio di metastasi dei carcinomi del seno estrogeno-responsivi si protragga per i 15 anni successivi ai 5 anni di terapia con tamoxifene o inibitore dell'aromatasi. Un rischio correlato con la dimensione del nodulo e il numero di linfonodi coinvolti, sottolinenao gli autori, ma che persino per i tumori piccoli e in assenza di coinvolgimento linfonoidale ammonta al 10% nel corso di 20 anni. E` necessario prolungare la terapia ormonale, continuano, ma occorre anche tenere conto degli effetti collaterali che non sono pochi e irrilevanti. Qual e` la soluzione allora? Chiaramente non ne esiste una che valga per tutte e, da parte nostra, non si puo` fare a meno di notare come di fronte a un problema cosi` grave il rimedio proposto sia continuare a imbottirci di farmaci con elevata tossicita`. Sono questi allora i grandi progressi nel trattamento del cancro al seno di cui si chiacchiera tanto ogni sacrosanto ottobre?

Mentre negli Stati Uniti i media infilavano un titolone dopo l'altro sul tema e sui social media si accendevano le discussioni tra addetti ai lavori e pazienti, in Italia si parlava d'altro. Solo Quotidiano Sanita` [qui], non certo un giornale mainstream, ha pubblicato ieri un articolo cercando, tuttavia, di indorare la pillola attraverso parlando genericamente di 'recidiva' ed esortando a puntare anche sul follow up "per cogliere eventuali recidive sul nascere". Un elemento che non compare nello studio.

Ci piacerebbe aprire un dibattito sulle nostre esperienze con la terapia ormonale e sulla malattia metastatica, possibilmente qui sul blog e non su Facebook. Se altri spazi per approfondire ed interrogarci ci vengono negati, approfittiamo di quelli che abbiamo creato noi stesse.

giovedì 26 febbraio 2015

#DontIgnoreStageIV





"Di cancro al seno si muore". L'ho scritta anch'io tante volte questa frase e, senza volerlo, ho prestato il fianco alla cattiva informazione. Di cancro al seno NON si muore. Il seno non e` infatti un organo vitale, tant'e` vero che, se necessario, lo si puo` asportare. Finche` il cancro e` confinato nel seno chi ne e` affetto non corre immediato pericolo di vita.  Quando la malattia si estende ad altri organi - per il cancro al seno, sono solitamente ossa, fegato, polmoni e cervello - la sopravvivenza media e` di 18-24 mesi. E` dunque il cancro al seno metastatico che uccide. Perche` allora soltanto una parte infinitesimale dei fondi raccolti attraverso le campagne che chi segue questo blog ben conosce vengono destinati alla ricerca sull'unica forma di cancro al seno che provoca la morte, mentre la stragrande maggioranza viene destinato alla diagnosi precoce? (qui) Se lo chiedono soprattutto le donne che col cancro al seno metastatico ci convivono. Alcune di loro negli Stati Uniti hanno organizzato una protesta sui social media per il prossimo 2 marzo (qui). Utilizzando gli hashtag #MetsMonday #BCKills e #DontIgnoreStageIV, le attiviste mirano a rendere finalmente visibile il cancro al seno metastatico la cui realta` e` soffocata dalle mistificazioni a reti unificate del circo rosa. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno. 

venerdì 5 settembre 2014

Italianissime vittorie...di Pirro

Vittoria, vittoria! La patria ci ha salvate! E` su tutti i giornali: ricercatori italiani, di pura razza ma che dico italiana, italianissima, scoprono il meccanismo delle metastasi del cancro al seno. L'articolo del Corriere della Sera, in particolare, (qui) non lascia spazio a dubbi:

"I meccanismi che rendono le cellule tumorali «invincibili» e «migranti» nell’organismo dopo essere state quasi distrutte dalle cure (guai a non riuscirci al primo colpo) sono oggetto di numerosi studi in laboratori di tutto il mondo. Ma recentemente sono sempre i ricercatori italiani a firmare lavori determinanti. È una via che segue la logica del passo dopo passo, con scoperte che presto (sommandosi) porteranno alla vittoria. Chemio-prevenzione o cibo-prevenzione, diagnosi sempre più precoce, cure super intelligenti e, infine, blocco dei meccanismi alla base delle metastasi. Il finale, oggi non più fantascientifico, è la vittoria sul cancro"

Di cosa si trattera`? E come avranno fatto i ricercatori dell'Istituto Nazionale Tumori a fare una scoperta tanto sorprendente in un paese in cui ormai si parla di ricerca solo in termini di tagli, dove le universita` e i centri di ricerca non hanno nemmeno piu` la carta per stampare articoli pubblicati da altri?
Si tratta, continua a illuminarci il Corriere, dell'osteopontina, una proteina presente nel nostro corpo, che proteggerebbe "le cellule tumorali che stanno formando le metastasi dall’attacco delle cellule di difesa". In sostanza, conclude l'articolo, "Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Cancer Research svela un importante tassello del puzzle metastasi e, di conseguenza, apre la strada alla ricerca di vie più efficaci per rendere vulnerabile il cancro proprio quando sembra diventato invulnerabile".

In realta`, basta andarsi a spulciare anche solo l'abstract dell'articolo sulla rivista scientifica (qui) per scoprire che lo studio e` stato condotto sulle metastasi polmonari, non su tutti i tipi di metastasi, che nel caso del cancro al seno colpiscono solitamente anche le ossa (che sono il primo sito di metastizzazione nel 75% dei casi qui), il fegato, il cervello e, piu` raramente, persino le ovaie. Il ruolo che l'osteopontina sembrerebbe svolgere nelle metastasi polmonari non puo` essere automaticamente attribuito anche a quelle in altri organi.
Gli studi sui meccanismi di diffusione dei tumori sono certamente tra i piu` importanti. Di solito non e` il tumore nella sua sede originaria ad uccidere. Alla tomba portano le metastasi. Esiste, tuttavia, un grosso gap tra la cautela con cui i ricercatori continuano a lavorare - in Italia in condizioni ormai disperate grazie ad anni politiche miopi di investimenti zero e decurtazione dei gia` risicati fondi - e il trionfalismo dei giornali. Ogni giorno siamo bombardati da articoli che annunciano la scoperta di cure portentose, capaci di liberarci dal cancro per sempre. Come se la parola 'cancro' avesse rilevanza scientifica. I tumori maligni sono tanti e diversissimi, come ha spiegato recentemente sul quotidiano inglese The Guardian l'oncologa Ranjana Srivastava (qui) la quale ha avuto il coraggio di porre una questione difficilissima ma esiziale. Sono stati spesi milioni e milioni di tutte le valute negli ultimi decenni nella "guerra contro il cancro", ossia nella ricerca di una "cura". Ma siamo sicuri che sia possibile vincerla? Non sarebbe piu` efficace investire di piu` nella prevenzione di una malattia che, una volta instauratasi, e` difficile eradicare e comporta costi elevatissimi, non solo in termini economici, ma anche psicologici e sociali? Srivastava si riferisce nel suo articolo alla riduzione dei fattori di rischio su base individuale come il fumo e l'obesita`. Da parte mia, credo che occorra concentrarsi sull'esposizione involontaria ai cancerogeni che tutti noi oggi subiamo. Per contrastarla non occorrono soldi, non c'e` bisogno di partecipare alle corse per la cura con i nastrini rosa sul petto o di comprare rossetti al piombo ad ottobre: basta organizzarsi e agire politicamente, protestare, far sentire la propria voce, riappropriarsi dei propri diritti, della propria salute, della propria vita e della speranza di donarne una migliore a chi verra` dopo di noi.

domenica 18 maggio 2014

Mail Bombing: Andiamo avanti

E` tardi. Fuori ci sono circa tredici gradi. Siamo a maggio. Per il posto in cui mi trovo e` una buona temperatura. Non sufficientemente alta, pero`, per giustificare il caldo che ho. Sono un bagno di sudore. Mi sento come in un forno. E` l'ora delle vampate. Quelle causate dal tamoxifene alla stragrande maggioranza delle donne che lo assumono. La sera sono un appuntamento fisso. Dopo cena e fino nel letto. Mi sembra di stare su una graticola. Mi giro e mi rigiro in cerca di fresco che non riesco a trovare. Mi addormento tardi. La mattina dopo sono uno straccio.
Tutto torna come prima. Certo, come no. Intanto io e tantissime altre in terapia ci siamo ancora e gli effetti li sentiamo. Sono effetti pesanti (stanchezza, difficolta` di concentrazione, problemi di memoria, gonfiore, dolori articolari, problemi alla vista, possibilita` di cancro dell'endometrio ecc.) che limitano la nostra capacita` lavorativa. Come pure sono pesanti gli effetti a lungo termine della chemioterapia. All'INPS, pero`, non gliene frega niente. Stiamo tutte benissimo.
La settimana scorsa abbiamo lanciato il mail bombing per sbugiardare la preseidenza del consiglio che, in occasione della giornata del malato oncologico, millanta successi in campo legislativo sul fronte cancro-lavoro che hanno ben poco impatto sulla realta` di chi la malattia la vive tutti i giorni.
Abbiamo inviato il nostro comunicato stampa a circa duecento giornalisti. Non ha risposto nessuno. Un'unica eccezione: Popoff (qui) che ci ha mostrato solidarieta` rilanciando la nostra inziativa. D'altra parte, gli altri giornalisti erano probabilmente occupati a scrivere della Race for the Cure che si e` svolta a Roma e delle wrestler, arrivate per l'occasione dagli Stati Uniti che vi hanno partecipato (qui). Sostegno e` arrivato invece da due blog femministi: I consigli di zia Jo (qui) e Anacronismi (qui) che ringraziamo insieme a Popoff.
La questione di come persone che vivono con i postumi di una malattia come il cancro - non solo al seno, e` bene sottolinearlo sempre - o che sono ancora in terapia, come la nostra M. C.(qui), portatori di mutazioni genetiche come Gabrielle Doneda (qui) o addirittura con forme di malattia avanzata (qui) e a cui non viene riconosciuto alcun diritto non interessa ai giornalisti mainstream. Ne prendiamo atto e a maggior ragione andiamo avanti. Continuiamo col mail bombing. Scrivete a centromessaggi@governo.it Oggetto: INPS grande sfinge. Il testo della mail e` qui sotto. Fate copia incolla e firmate. Grazie.

Testo della mail

Sono un'impiegata precaria. A 44 anni ho scoperto il mio triplo negativo al seno. Con mammografia di routine, nel giro di un mese tra dicembre e gennaio avrò speso quasi 800 euro tra screening senologico risonanza ago aspirato scintigrafia e tac torace. Tutto per sapere, prima dell'inizio dell'anno nuovo, che era un carcinoma infiltrante piccolino, “il nodulino” come lo chiamò la senologa. Operata a gennaio, quadrantectomia  sinistra, linfonodi puliti, esame istologico definitivo rivela che trattasi di un piccolo (1.5cm) triplo negativo G3 per cui non basterà fare solo radioterapia ma bisogna fare anche le chemio. Ho iniziato a febbraio: 4 cicli di rossa e 3 cicli di gialla. Finirò presumibilmente a luglio e contestualmente farò 19 sedute di radioterapia.

Presento la domanda di invalidità civile e handicap a fine febbraio. A fine marzo, prima visita lampo (giusto il tempo di acquisire e verbalizzare le notizie dai vari referti) in commissione medica Inps distrettuale. Dopo un paio di settimane ricevo un verbale provvisorio INPS nel quale mi comunicano che mi è stato attribuito il 100% e art. 3 comma 3 della legge 104. E immediatamente dopo qualche giorno, a mezzo raccomandata ricevo una convocazione per metà aprile per visita medica per definizione pratica  presso il Centro Territoriale INPS a Brindisi. Con la seconda commissione la visita è stata oggettivamente accurata. Hanno visto e controllato tutta la documentazione, i referti. Le dottoresse della commissione molto gelide e impassibili mi hanno fatto domande relative alla chemio e alla radio, mi hanno chiesto se lavoro: "E si, quando mi sento bene vado in ufficio", ho risposto. Hanno verificato la limitazione della spalla e del braccio, il buono stato della ferita e l'assenza di linfedema. Ieri ho saputo che mi hanno attribuito il 60% di invalidità e la non gravità handicap.

La domanda  (una tra tante) è: perche questa differenza tra una commissione ed un'altra? Avere un linfonodo pulito significa che dopo la chemio sarò "guarita" per una commissione si ed un'altra no? Ma io la chemio intanto devo farla per 6 mesi perchè è un carcinoma di quelli stronzi che si può ripresentare. Perchè questa considerazione non è evidente ad entrambe? INPS, grande sfinge paracula... (le linee guida a cui fanno riferimento attualmente sono quelle del  DM 5/2/92 . cod 9323 neoplasie a prognosi favorevole con grave compromissione funzionale  70% di invalidità fisso, ma nel mio caso non si capisce perche è 60%). 

Non ho metastasi in giro (?), non ho gonfiore al braccio anche se non riesco ad alzarlo ed utilizzarlo per bene, la cicatrice è asciutta e pulita (spesi 200 euro tra cerotti e creme), ho perso peli, capelli, un quarto di tetta, il ciclo, la voglia di fare l'amore, ho la nausea 2 settimane su tre, non so più se una cosa è dolce o salata, spesso mi guardo allo specchio e non mi riconosco più per come ero, mutata anche io. Mi rivedo in tante, tantissime incazzate furiose ma impotenti.Certo presenterò istanza di autotutela, procederò con l'ATP. Non sò se servirà fare ricorso visti i tempi delle amministrazioni pubbliche. Mi chiedo se servirà ‘sto sbattimento. Continuerò ad essere una tra tante anonime arrabbiate. E anche, per assurdo, paraculata, presa in giro perchè nonostante io stia vivendo questa esperienza, forse per l'INPS sto ancora troppo bene e non sono abbastanza malata.

lunedì 21 aprile 2014

Rileggendo Anna staccato Lisa

Sono venuta a sapere della storia di Anna Lisa Russo, la giovane blogger conosciuta come Anna staccato Lisa, uccisa dal cancro al seno a 33 anni, quando la sua vita era ormai agli sgoccioli. Stavo ancora facendo gli anticorpi monoclonali, in preda a una forte depressione causata dallo stress post-traumatico di diagnosi e terapie, e il modo in cui i media si occupavano di lei mi infastidiva. Mi sembrava seguissero quelli che erano inevitabilmente i suoi ultimi giorni con curiosita` morbosa, presi dalla smania di fare ascolti col pretesto di regalare la notorieta` a una persona che altrimenti avrebbe lasciato questo mondo nell'anonimato, almeno per il grande pubblico.

Nel corso dei tre anni trascorsi dalla sua morte, ho riletto piu` volte il suo blog e ho comprato il libro, pubblicato da Mondadori con la prefazione di Mario Calabresi, direttore de La Stampa. Il titolo, Toglietemi tutto ma non il sorriso sintetizza il messaggio di positivita` rispetto alla malattia che Anna Lisa avrebbe voluto lanciare.

Vi invito a visitare il blog (qui), tornato online da qualche tempo, e a scorrerne i post. Scoprirete che il sentire di Anna Lisa rispetto al cancro e ai cambiamenti che aveva portato nella sua vita erano molto piu` complessi. Colpiscono in particolare le riflessioni sulla sua situazione lavorativa. 

Anna Lisa era una lavoratrice dipendente precaria. Aveva continuato a lavorare anche dopo aver scoperto la malattia e durante la chemioterapia. Nonostante questo, pero`, come lei stessa racconta in un post intitolato "Precariato" (qui), a giugno 2009 si era ritrovata disoccupata. "Mi sento precaria abbbbbestia!!!" - scrive, chiaramente irritata - "E gia` mi sentivo precaria sul lato salute, poi avevo cominciato a sentirmi precaria sul lato sentimentale, ora mi ci voleva il precariato lavorativo!!!"

Anna Lisa non disperava di poter trovare una nuova occupazione, finche` non ci si sono messe di mezzo le metastasi del cancro al seno che nemmeno i numerosi cicli di chemio a cui si era sottoposta erano riusciti a fermare. A gennaio 2011, la giovane, tra bronchiti, dolori alle ossa e malesseri varii, si rimette a cercare lavoro, perche`, spiega, "è un anno e mezzo che non lavoro, lo Stato non mi aiuta, io e mia madre campiamo con la sua pensione e le spese sono tante, l'affitto e le bollette ci sono tutti i mesi e, anche se NON MI MANCA NULLA, uno stipendio in più farebbe comodo. E poi, intendiamoci, a 32 anni bisogna lavorare!". Ad Anna Lisa, nonostante le metastasi, non era stato riconosciuto nemmeno l'accompagnamento insieme alla pensione di invalidita`. L'INPS la riteneva quindi autosufficiente. Ne` aveva diritto ad altre forme di supporto a causa della atipicita` dei suoi contratti di lavoro: "So che tutto questo sembra impossibile, allucinante, ma è così. Ho chiesto, mi sono informata, ma non c'è niente da fare: 250 euro sono la cifra che mi spetta per vivere" (qui)

Nel maggio 2011, una signora, Anna Maria Bonavoglia, segnala al direttore de La Stampa, il blog di Anna Lisa (qui):

"Anna Lisa è un faro di vita: ha dignità, energia, ironia. E smuove i cuori nell’intimo.
Anna Lisa non ha un lavoro, vive con la madre e ha una micro pensione di invalidità.
Anna Lisa vorrebbe lavorare, non ha mai chiesto la carità e non l’accetterebbe mai. Anna Lisa è nel suo letto di malata, e scrive e racconta e narra e incanta la gente.
Ed ha bisogno di un lavoro dignitoso che le permetta di vivere.
La Stampa è fatta di parole e di gente. E Anna Lisa sa usare le parole per dare anima alla gente"

Calabresi risponde che il blog di Anna Lisa sarebbe stato adottato dal suo giornale come simbolo "dell'impegno e del coraggio" con cui sarebbe possibile affrontare il cancro. Il problema posto dalla lettera della signora Bonavoglia era, tuttavia, ben diverso. La signora chiedeva un lavoro per Anna Lisa. Un lavoro da potersi fare anche a letto, viste le sue precarie condizioni di salute. Un lavoro che consentisse ad Anna Lisa di aggiungere qualche soldo a quelli della madre con cui era rimasta, da sola, dopo che suo fratello Alessandro era morto per un incidente sul lavoro.

Questo aspetto cosi` importante della storia della cara Anna staccato Lisa si e` perso nella spettacolarizzazione che, a mio avviso, e` stata fatta della sua vicenda. Anna Lisa non sorrideva soltanto. Era arrabbiata per la sua situazione lavorativa, complicata ulteriormente dal cancro, e per il supporto economico negatole persino in fase di malattia avanzata. E come lei, oggi, si sentono molte persone nella sua stessa situazione. Onorarne la memoria significa anche chiedere diritti e dignita` per chi e` costretto, suo malgrado, a vivere con una malattia cronica e invalidante come il cancro.


giovedì 27 marzo 2014

Una lettera dagli Stati Uniti

E` arrivata una lettera dagli Stati Uniti ieri. Me l'ha scritta la famiglia di Sandy Kugelman (qui), morta a dicembre di cancro al seno dopo 13 anni di malattia di cui 10 con metastasi.
Sandy aveva partecipato al film documentario Pink Ribbons Inc. in cui aveva spiegato che avere il cancro al seno metastatico vuol dire che la guarigione e` impossibile. Lei non sapeva nemmeno cosa fosse quando e` arrivato. Pensava che avendo fatto tutte le "cose giuste" quando le avevano diagnosticato il primario, terapie, stile di vita sano ecc., avesse "sconfitto" la malattia e invece no. La malattia e` tornata, si e` diffusa e, a distanza di dieci anni, l'ha uccisa. A 51 anni.
Tra una chemio e l'altra, Sandy aveva dedicato gli anni di malattia alla difesa dei diritti e al supporto delle donne con cancro al seno metastatico. Persino da morta, non ha voluto fiori. Ha chiesto a chi le voleva bene di effettuare donazioni a Metavivor (qui), piccola organizzazione che raccoglie fondi interamente destinati alla ricerca sul cancro al seno metastatico.
Finche` il cancro e` nel seno non uccide. Sono le metastasi in organi distanti come ossa, fegato, polmoni, cervello a mettere fine alla vita di ancora troppe donne. In circa il 30% dei casi, il cancro al seno metastizza . Il 90% delle pazienti con metastasi ne muore. La sopravvivenza media e` di circa 2 anni e mezzo. Il cancro al seno metastatico insomma e` un'emergenza. Eppure, solo il 2% dei fondi per la ricerca viene destinato al cancro al seno metastatico.
Non avevo mai incontrato Sandy di persona. L'ho conosciuta tramite il film a cui ha preso parte e ci siamo scambiate un messaggio via Facebook. La sua morte, la morte di questa donna formidabile che amava postare su Facebook le foto delle sue galline e che doveva avere un cuore grande cosi`, mi ha colpita tanto. E allora, anche se non ho un soldo e sono senza lavoro, ho fatto una donazione a Metavivor in sua memoria. E` stato il modo di dirle 'ti voglio bene' e, quando ieri mi e` arrivata la lettera della sua famiglia per ringraziarmi della donazione, ho sentito intorno a me una catena d'affetto lunga, lunghissima, che attraversa l'oceano e arriva fino negli Stati Uniti. La` dove Sandy riposa, nel posto che lei stessa aveva scelto, sotto un albero, perche` chi l'andasse a trovare potesse ripararsi dalla luce del sole e fermarsi un po` di piu` con lei.

domenica 8 dicembre 2013

Sandy Kugelman






Morire a 51 anni di cancro al seno, dopo 13 anni di malattia. Lasciare 3 figli, ancora adolescenti.
Se n'e` andata Sandy Kugelman, una delle componenti del gruppo di supporto per donne con cancro al seno metastatico del documentario Pink Ribbons Inc. Sandy era quella con la collana di perle, seduta sul divano, le braccia aggrappate alle ginocchia e un sorriso bello come il sole.

"Ho scoperto di avere il cancro al seno nel 2001, ero stadio 2" - racconta Sandy nel film - "Ho fatto tutto cio` che bisognava fare e pensavo di averlo 'sconfitto', come si dice di solito. E poi, nel 2004, e` arrivata la nuova diagnosi. Ero stadio 4, che vuol dire che la malattia si e` diffusa ad altre parti, fuori dal seno, che sei in metastasi. L'unica cosa che sapevo sullo stadio 4 e` che e` lo stadio dopo il quale si muore. Non c'e` uno stadio 5. [...] Il messaggio [dominante] e` che se ci provi davvero, se ti impegni, se rimani forte, puoi sconfiggere il cancro. Il problema con questo tipo di messaggio e` che la gente muore e allora si pensa 'Ah, ma forse non si e` impegnata abbastanza'. E` un messaggio sbagliato. E` sbagliatissimo. E mi rendo conto che e` difficile da accettare questa situazione, nella quale ci vuole speranza ed energia per affrontare terapie molto difficili e, allo stesso tempo, essere consapevoli che le terapie possono non funzionare. Non bisogna negarlo. E non e` un fallimento, non lo e` affatto. [...] Le persone che partecipano alle corse per la cura lo fanno in buona fede, ma per noi il mese di ottobre e` molto frustantre, perche` e` come se stessero usando la nostra malattia per fare profitti e questo non va bene"

Sandy amava le collane di perle e le galline. Aveva tantissimi amici, reali e virtuali, con cui comunicava attraverso il suo profilo Facebook. In una nota condivisa a fine settembre e ripresa qualche giorno dopo da un giornale di Austin (qui), la cittadina texana dove viveva, Sandy scriveva:

"Cari tutti,

ho notato che molta gente usa l'espressione "viaggio con il cancro" ultimamente e vorrei dire che il cancro non e` PER NIENTE un viaggio. I viaggi sono volontari e connotano qualcosa di positivo. Cesti di delizie a casa della nonna? Un'avventura in posti lontani? Il cancro non e` questo. Mi dispiace di rovinarvi l'estro, ma questo non e` vero per me e sono sempre stata onesta con voi. Il cancro al quarto stadio non e` un viaggio. Forse altri tipi di cancro lo sono, non lo so. Solo, non chiamatelo viaggio quando qualcuno ci sta dentro. Non e` una situazione allegra ed e` carica di tutta la tristezza e il dolore che si possa provare. Altro che viaggio.

Oggi ho fatto la TAC a torace, addome e pelvi. Siamo preoccupati per la mia digestione, per la febbre costante e per quella che sembra essere ascite. Abbiamo scoperto che c'e` stata una progressione significativa della malattia in tutta la zona. I polmoni stanno peggio, il fegato sta peggio e ci sono masse tumorali in tutta la cavita` peritoneale.

Quindi abbiamo delle risposte. La mia febbre costante e` causata dal cancro. I problemi di digestione sono dovuti al poco spazio, quindi il mio organismo deve sforzarsi molto per mangiare un pochino.

Il piano: continuare col Doxil. In passato e` stato molto efficace e speriamo che faccia il miracolo anche questa volta. Tra sei settimane rifaremo i controlli e se la malattia e` andata ancora avanti passeremo a una combinazione diversa di farmaci (Carboplatino e Taxolo per chi e` pratico).

Questi gli aggiornamenti di oggi. Stranamente mi sono sentita un po` meglio in questi ultimi due giorni. Vai a capire. Mi ricordo quando il nostro cane Hector stava morendo e saltellava in giro felice e mia madre disse: "Guardalo! E` contento perche` nessuno gli ha detto che ha il cancro!"
AHHHHAHAHA! QUANTO E` VERO!!!

Continuate con le vostre preghiere, karma, pensieri, woo woo, jew jew, amore, ecc. per favore.

Vi voglio tanto bene.
Sandy"

mercoledì 22 maggio 2013

La nostra guerra buonista al cancro al seno - seconda parte




Eccovi la seconda e ultima parte degli stralci piu` importanti dell'articolo di Peggy Orenstein, uscito sul New York Times Magazine lo scorso 25 aprile. La prima parte la trovate qui. Il casino successo con Angelina Jolie rende il saggio della Orenstein ancora piu` interessante. Ne riparleremo.


"L’estate scorsa, nove mesi dopo la mammografia di routine, mentre stavo per mettermi a letto chiacchierando con mio marito, le mie dita hanno sfiorato qualcosa di piccolo e duro sotto la cicatrice sul seno sinistro. In un attimo, ho attraversato di nuovo la membrana sottile che separa i sani dai malati. Quest’ultimo tumore era piccolo e circoscritto come il primo. Difficilmente si era diffuso. Naturalemente, pero`, andava rimosso. Dato che la quadrantectomia dev’essere seguita da radioterapia e non si puo` irradiare la stessa parte due volte, l’unica opzione era la mastectomia. Mi e` stato prescritto anche il tamoxifene, per ridurre le probabilita` di metstasi dal 20 al 12%. Dovrei sopravvivere, ma nessuno puo` garantirlo. Non mi sara` possibile sapere se sono guarita finche` non moriro` di qualcos’altro, possibilmente tra molti anni, mentre dormo stringendo la mano di mio marito, dopo una bella cena con i nipotini.

L’istinto questa volta mi diceva di togliere anche l’altro seno. Non volevo che potesse succedere di nuovo. Il mio oncologo non era d’accordo, pero`. Il tamoxifene avrebbe ridotto il rischio di recidiva rendendolo pari a quello di una donna sana. Una donna sana si farebbe tagliare il seno? Potevo optare per la chirurgia preventiva, aggiunse, ma si trattava di una questione psicologica non medica.
Ho fatto le mie valutazioni man mano che la data dell’intervento si avvicinava. Il rischio medio, d’altra parte, non e` zero. Potevo conviverci? Una parte di me desiderava eliminare qualsiasi rischio. Ho una figlia di nove anni. Farei qualsiasi cosa – ho bisogno di fare qualsiasi cosa – pur di non morire. Eppure se il problema e` la morte, la minaccia piu` grossa non viene dall’altro seno ma dalla possibilita` che, nonostante i trattamenti e la prognosi favorevole, il cancro che gia` ho vada in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe potuto far nulla contro cio`, ne` avrebbe potuto azzerare del tutto la probabilita` di una nuova malattia, perche` una parte del tessuto rimane sempre. Potevo vivere cosi`? Una parte di me voleva liberarsi di qualsiasi minaccia. Ho una figlia di nove anni e farei qualsiasi cosa – ho bisogno di fare qualsiasi cosa – pur di evitare di morire. Tuttavia, se il problema era la morte, il pericolo piu` grosso non era l’altro seno ma che, nonostante le terapie e la prognosi favorevole, il cancro fosse gia` andato in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe potuto evitarlo, ne` avrebbe potuto eliminare del tutto la possibilita` di un nuovo tumore, perche` parte del tessuto rimane sempre.

Cosa significa “qualsiasi cosa”, comunque? Ci sono giorni in cui non metto la protezione solare, non faccio attivita` fisica come dovrei, non ho smesso di mangiare il Gouda stagionato nonostante i risultati delle mie ultime analisi per il colesterolo, non assumo abbastanza calcio e, si, casa mia e` a sei isolati da una faglia. Vivere con una certa percentuale di avere il cancro al seno e` davvero cosi` diverso? Decisi di seguire il consiglio del mio medico, di fare solo cio` che era necessario.
Pensavo che il mio dilemma fosse poco comune e che derivasse dal fatto di essere stata troppe volte dal lato sbagliato delle statistiche. Sembra tuttavia che centinaia di donne ora considerino la doppia mastectomia a seguito di carcinomi poco aggressivi. Secondo Todd Tuttle, capo della divisione di chirurgia oncologica e primo autore di uno studio sulla mastectomia profilattica pubblicato su The Journal of Clinical Oncology, si e` verificato un aumento del 188% tra il 1998e il 2005 tra le donne a cui e` stato diagnosticato un carcinoma in situ in un seno – un fattore di rischio per il cancro – che hanno deciso di farseli asportare entrambi. Tra le donne con carcinoma duttale allo stadio iniziale (come il mio), l’aumento e` stato del 150%. Molte di queste donne non hanno una predisposizione genetica al cancro. Tuttle avanzava l’ipotesi che stessero decidendo sulla base non di quanto consigliato loro dai medici ma su una percezione esagerata del rischio di avere il cancro all’altro seno. Le donne intervistate per un altro studio credevano che il rischio fosse del 30% nell’arco di dieci anni, mentre era solo del 5.

Non e` stato molto tempo fa che le donne si sono battute per conservare il seno dopo il cancro, facendo pressioni sui chirurghi perche` sostituissero le mastectomie radicali con l’egualmente efficace nodulectomia accompagnata da radioterapia. Perche` le cose sono cambiate? Ci penavo mentre curiosavo tra le “Storie di Speranza” sul sito dell’American Cancer Society. Mi sono imbattuta in una bella donna con una T-shirt rosa addosso, sorridente mentre stringe in mano un cupcake glassato decorato con una candelina rosa. Parlando in prima persona, diceva che aveva cominciato i controlli verso i 35 anni perche` affetta da mastopatia fibrocistica. A 41 anni, le era stato diagnosticato un carcinoma in situ trattato con nodulectomia e radioterapia. “Mi sento fortunata ad averlo preso in tempo”, diceva, pur aggiungendo di essere uscita emotivamente devastata da quell’esperienza. Ha continuato i controlli e si e` sottoposta a interventi multipli per rimuovere cisti benigne. Quando ha saputo di avere il cancro al seno di nuovo, era al suo quinto intervento Ha deciso di rimuovere il seno completamente, una decisione che considerava logica e di preventiva.

Mi sono ritrovata a pensare a una spiegazione alternativa per il caso di questa donna. La mastopatia fibrocistica non lascia presagire il cancro, sebbene distinguere tra un nodulo benigno e uno maligno possa essere difficile, facendo aumentare potenzialmente il numero di biopsie inutili. Avendo iniziato i controlli a 30 anni questa donna e` stata esposta a un eccesso di radiazioni, una delle poche cause note del cancro al seno. Il suo carcinoma in situ, condizione diagnosticabile quasi esclusivamente attraverso la mammografia, difficilmente avrebbe messo a rischio la sua vita, eppure l’ha trasformata in una sopravvissuta al cancro al seno, con tanto di operazione e settimane di radioterapia. Alla seconda diagnosi, era cosi` sconvolta che si e` fatta amputare entrambi i seni per ristabilire il controllo della situazione. Questa donna va salutata come una sopravvissuta o additata come un ammonimento? La consapevolezza le ha conferito potere decisionale o ne ha fatto una vittima? La paura del cancro e` legittima: il modo in cui gestiamo quella paura, mi sono resa conto – come rispondiamo ad essa, che emozioni proviamo – puo` essere manipolato, impacchettato, commercializzato e venduto, talvolta proprio da chi sostiene di stare dalla nostra parte. Da chi puo` influenzare qualsiasi cosa, dalla nostra percezione dello screening, alla nostra valutazione del rischio personale alla scelta dei trattamenti. “Si puo` attribuire l’aumento delle mastectomie a una migliore conoscenza della genetica o al miglioramento delle tecniche di ricostruzione” dice Tuttle, “cose che ci sono anche in Europa dove pero` non c’e` questa mania della mastectomia. C’e` cosi` tanta consapevolezza negli Stati Uniti che l’ho ribattezzata sovra-consapevolezza sul cancro al seno. E` dovunque. I camion della spazzatura sono rosa. Le donne sono terrorizzate”

“Circa 40.000 donne e 400 uomini muoiono ogni anno di cancro al seno” dice Lynn Erdman, vice presidente della sezione di salute pubblica di Komen. “Finche` questi numeri non spariranno, non ci sara` abbastanza rosa”.

Ero seduta nella sala conferenze del quartier generale di Susan G. Komen, vicino al centro commerciale Galleria a Dallas. Komen non e` la piu` grande associazione benefica per il cancro, titolo che spetta all’American Cancer Society, ma e` comunque la piu` grande organizzazione a occuparsi di cancro al seno. E sebbene l’anno scorso l’immagina di Komen sia stata appannata dal tentativo di tagliare i finanziamenti per lo screening a Planned Parenthood, il suo nome rimane virtualmente sinonimo di lotta al cancro al seno. Con le sue dozzine di corse per “cura” e circa 200 sponsor, e` l’associazione che forse piu` di tutte e` riuscita a fare di una malattia un marchio. Il suo marketing martellante ha reso il nastro rosa uno dei logo dei nostri tempi. Il nastro simboleggia sia la paura della malattia che la speranza di poterla sconfiggere. E` un simbolo di coraggio per chi e` malato e un’espressione di solidarieta` da parte di coloro a cui la questione sta a cuore. E` una promessa di progresso continuo verso una cura attraverso donazioni, corse, volontariato. Fa comunita`. Offre alle compagnie un modo apparentemente infallibile to mostrare buona volonta` verso le donne, anche sebbene, attraverso una pratica definita dai critici “pinkwashing”, i loro prodotti siano legati alla malattia o ad altre minacce alla salute pubblica. Far indossare alle squadre di calcio scarpe colorate di rosa, ad esempio, puo` controbilanciare la pressione che la Lega Calcio Americana deve gestire per le accuse di stupro e violenza domestica rivolte ad alcuni giocatori. Le donazioni della Chevron agli affiliati di Komen in California aiuta a nascondere quello che il locale Dipartimento di Relazioni Industriali ha definito “consapevole violazioni” della sicurezza che hanno portato al grosso incendio di una raffineria in un quartiere della Bay Area l’anno scorso.

Piu` di qualsiasi altra cosa, tuttavia, il nastro ci ricorda che tutte noi siamo a rischio e che la migliore protezione e` lo screening annuale. Nonostante il marchio di fabbrica di Komen sia “per la cura”, solo il 16% dei 472 milioni di dollari raccolti nel 2011, l’ultimo anno per cui sono disponibili i bilanci, e` stato devoluto alla ricerca. 75 milioni di dollari sono abbastanza per credere che dare credito alla rivendicazione che Komen ha avuto un ruolo in tutte le principali scoperte sul cancro al seno negli ultimi 29 anni. Questa cifra, tuttavia, e` niente in confronto ai 231 milioni che la fondazione spende per educazione e screening.

Sebbene adesso Komen renda conto del dibattito sullo screening sul suo sito web, la fondazione e` stata piu` volte accusata di esagerare i benefici della mammografia e sminuirne i rischi. Steve Woloshin, un collega di Welch al Darmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice e co-autore di un articolo pubblicato nella sezione Not so Stories sul British Medical Journal, ha puntato il dito contro una recente cartellone pubblicitario di Komen dove si legge “Le probabilita` di sopravvivenza a cinque anni al cancro al seno con la diagnosi precoce sono del 98%. E senza? Scendono al 23%”. Woloshin definisce quest’affermazione volutamente ingannevole. Le cifre sono corrette ma la sopravvivenza a cinque anni e` un parametro fuorviante distorto dallo stesso screening. La mammografia individua molti tumori che non necessitano di alcun trattamento e che sono, per definizione, guaribili. Nel frattempo, alcune donne colpite dalla malattia in maniera letale sembrano vivere piu` a lungo perche` il tumore e` stato diagnosticato prima, ma in realta`, ad allungarsi e` solo la consapevolezza di essere malate. “Immaginiamo un gruppo di 100 donne che riceve una diagnosi di cancro al seno perche` ha sentito un nodulo al seno a 67 e a 70 sono tutte morte. In questo caso la sopravvivenza a 5 anni e` dello 0%. Ora immaginiamo che lo stesso gruppo di donne venissero sottoposte a controlli e ricevessero la diagnosi a 64 anni, con 3 anni di anticipo, ma che i trattamenti non funzionassero e morissero comunque a 70 anni. La sopravvivenza a 5 anni in questo secondo caso e` del 100%, anche se nessuna di loro e` vissuta un secondo di piu` delle altre.

Quando a gennaio ho chiesto a Chandini Portteus, vicepresidente della sezione di ricerca, valutazione e programmi scientifici di Komen, perche` la fondazione continuasse a usare quelle statistiche, la sua risposta e` stata molto evasiva: “Komen non aveva intenzione di fornire dati fuorvianti. Sappiamo che la mammografia non e` perfetta, ma sappiamo anche che e` cio` che abbiamo a disposizione e che e` importante per diagnosticare il cancro al seno” (I dati sono stati successivamente rimossi dal sito).

Nel suo libro Pink Ribbons Inc., la sociologa Gayle Sulik, fondatrice del Breat Cancer Consortium, ha riconosciuto a Komen il merito di aver reso la malattia conosciuta, incoraggiando le donne a parlarne e trasformandole da “vittime” in “sopravvissute”. Komen, dice Sulik, ha distribuito piu` di un milioni di dollari alla ricerca e progetti di supporto. Allo stesso tempo, la funzione della cultura del nastro rosa – e di Komen in particolare – e` diventata piu` l’auto-perpetuazione della malattia piuttosto che il suo eradicamento: mantenere alta la visibilita` della malattia e continuare a raccogliere fondi. “Bisogna guardare gli obiettivi di ogni programma” – dice la Sulik – “Se l’obiettivo e` eradicare il cancro al seno, quanto siamo vicini? Non siamo vicini affatto. Se l’obiettivo e` la consapevolezza, che cosa ci fa essere consapevoli? Che il cancro al seno esiste? Che e` importante? Il concetto di “consapevolezza” e` stato esteso al punto da diventare un mero sinonimo di “visibilita`”. Ed e` qui che il movimento contro il cancro al seno ha sbagliato. E` qui che ha perso l’occasione di andare avanti”.

Prima del nastro rosa la consapevolezza fine a se stessa non era l’obiettivo predefinito delle campagne riguardanti la salute. Oggi e` difficile trovare una malattia senza un logo, un ornamento da indossare, una lista di prodotti abbinati tra loro. Le malattie cardiache hanno il loro vestito rosso, il cancro al testicolo il suo braccialetto giallo. Durante “Movember”, una parola composta da “moustache” [baffi] e “November” [novembre], gli uomini sono incitati a farsi crescere la barba perche` si sparga la voce e la consapevolezza sul cancro alla prostata (un’altra malattia per la quale la diagnosi precoce ha portato al sovratrattamento) e sul cancro ai testicoli. “Queste campagne sono accomunate dalla stessa superficialita` per quanto riguarda la responsivita` richiesta al pubblico”, dice Samantha King, professore associato di chinesiologia e salute all’Universita` dell’Ontario e autrice di Pink Ribbons Inc.. Sono completamente slegate da qualsiasi critica alle politiche sanitarie e alla ricerca biomedica. Rinforzano un modello monotematico e competitivo di raccolta dei fondi. E dissimulano le malattie: veniamo resi “consapevoli” di una malattia e allo stesso tempo completamente separati dalla realta` difficile e spesso devastante di chi ne e` affetto”.

[...]

Invece di assicurare che “le mammografie salvano vite”, le associazioni potrebbero utilizzare slogan piu` realistici per le loro campagne. Secondo il ricercatore Gilbert Welch, “La mammografia ha sia benefici che costi – per questo e` una decisione personale”. Era questo il messaggio della task force, messa da parte per questioni politiche nel 2009: l’evidenza scientifica indica che ha senso fare la mammografia ogni anno tra i 50 e i 74 anni d’eta`. Chi non rientra in questo gruppo e vuole fare la mammografia, deve essere informata del rovescio della medaglia.

Le donne sono oggi tutte consapevoli del cancro al seno. Qual e` il prossimo passo allora? Per eradicare la malattia (o almeno ridurne l’incidenza e la devastazione) c’e` probabilmente bisogno non tanto di raccogliere fondi quanto di distriburgli meglio. Quando ho chiesto a scienziati e sostenitori, come spendere diversamente almeno parte dei fondi raccolti con le campagne di consapevolezza, le loro risposte sono state ampie e variegate. Molti hanno sottolineato quanto magri siano i fondi destinati al lavoro sulla prevenzione. A febbraio, per esempio, un comitato di sostenitori, scienziati e funzionari di governo ha chiesto di aumentare la quantita` di risorse destinate a studiare le cause ambientali del cancro al seno. Hanno dato al termine un significato molto ampio in modo da includere comportamenti come il consumo di alcool, esposizione a sostanze nocive, radiazioni, disparita` socio-economiche.

Altri scienziati guardano con entusiasmo alla possibilita` di combattere o prevenire la malattia modificando il “microambiente” del seno – il tessuto che circonda il tumore che puo` stimolarne o bloccarne la crescita. Susan Love ha fatto il paragone con il modo in cui vivere in un quartiere bene o malfamato possa influenzare il destino di un bambino potenzialmente delinquente. “Potrebbe essere”, mi ha detto, “che cambiando il “quartiere”, quello che sta intorno, che sia il sistema immunitario o il tessuto, possiamo controllare o uccidere le cellule cancerose. Fare la terapia sostitutiva durante la menopausa potrebbe essere stato l’equivalente biologico del permettere agli spacciatori di colonizzare gli angoli delle strade. D’altra parte, un vaccino, l’obiettivo attuale di alcuni scienziati e sostenitori, potrebbe essere come impiegare piu` poliziotti di quartiere.
Quasi tutti concordano nel sostenere che c’e` ancora molto lavoro da fare da entrambe le parti dello spettro diagnostico: distinguere quali lesioni in situ si trasformeranno in carcinomi infiltranti cosi` come comprendere il meccanismo delle metastasi. Secondo l’anaisi della rivista Fortune, solo il 5% dei finanziamente del National Cancer Institute a partire dal 1972 sono andati a ricerche sulle metastasi. Dei 2 miliardi e 200 milioni di dollari raccolti negli ultimi sei anni, Komen ha destinato solo 79 milioni a questo tipo di ricerche – parecchio denaro, non c’e` dubbio, ma un mero 3.6% di quanto raccolto in quel periodo.

“Molta gente pensa che il lavoro sulle metastasi sia uno spreco di tempo”, dice Danny Welch, capo del dipartimento di biologia del Cancer Center dell’Universita` del Kansas, “perche` bisogna prima di tutto prevenire il cancro. Il problema e` che non sappiamo ancora cosa lo causa. Preferirei anch’io prevenirlo del tutto, ma detto in soldoni, un atteggiamento del genere equivale a buttare sotto un treno un mucchio di persone”.

108 donne americane muoiono di cancro al seno ogni giorno. Alcune possono vivere anche un decennio o piu` con le metastasi, ma la sopravvivenza media e` 26 mesi. Un pomeriggio ho parlato con Ann Silberman, autrice del blog “Breast Cancer? But Doctor...I Hate Pink”. Silberman ha cominciato a scrivere nel 2009, all’eta` di 51 anni, dopo aver trovato un nodulo nel seno che e` risultato poi essere cancro al secondo stadio, che le dava – cosi` le venne detto – il 70% di probabilita` di sopravvivenza. All’epoca era segretaria in una scuola a Sacramento, felicemente sposata e madre di due ragazzi, di 12 e 22 anni. Nei due anni successivi, e` stata operata, ha fatto sei cicli di chemioterapia, e` stata trattata con un terzetto di farmaci incluso l’Herceptin e pensava di aver risolto.

Quattro mesi dopo, un mal di schiena e un rigonfiamento addominale la spinsero ad andare dal medico. Il cancro si era diffuso al fegato. Perche` le terapie non hanno funzionato? Nessuno lo sa. “A questo punto sai che morirai e che sara` nei prossimi cinque anni”, mi ha detto. Il suo obiettivo e` vedere suo figlio piu` piccolo finire le superiori a giugno.

Non e` facile rapportarsi a qualcuno con le metastasi, soprattutto se si e` avuto il cancro. Quello che e` successo alla Silberman e` la mia piu` grande paura; la notte dopo la nostra chiacchierata, sono stata perseguitata dall’incubo che il cancro tornasse. Probabilmente per questo motivo, le pazienti metastatiche sono assenti dalle campagne del nastro rosa e raramente vengono invitate a parlare durante eventi di raccolta fondi o alle corse. Lo scorso ottobre, per la prima volta, una donna con cancro al quarto stadio figurava nella pubblicita` di Komen, ma le sue parole enfatizzavano cautamente il lato positivo: “Sebbene oggi, il tumore sia arrivato a ossa, fegato e polmoni, Bridget continua ancora a sperare” (Bridget e` morta all’inizio di questo mese).

“Tutto quelle parole sulla consapevolezza non ci riguardano”, dice Silberman. “Riguardano la sopravvivenza, noi non sopravviveremo. Staremo male. Perderemo parte del nostro fegato. Verremo attaccate all’ossigeno. Moriremo. Non e` bello e non da speranza. La gente vuole credere nella “cura” e vuole credere che la cura sia la diagnosi precoce. Ma sai cosa? Non e` vero”.
Il progresso scientifico e` irregolare, imprevedibile. “Brancoliamo tutti nel buio”, dice Peter B. Bach, direttore del Centro per le Politiche Sanitarie del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. “Quello che posso dire e` che qualcosa dara` i suoi frutti”. Ci sono alcune terapie, come il tamoxifene o l’Herceptin, mirate a specifiche caratteristiche del tumore, e nuovi test in grado di fare una stima delle probabilita` di ricaduta nei tumori estrogeno-dipendenti, consentendo alle donne con un rischio basso di evitare la chemioterapia. “Non e` curare il cancro”, dice Bach “ma sono passi in avanti. E si, sono lenti”.

L’idea che possa esserci un’unica soluzione per il cancro al seno – screening, diagnosi precoce, una cura universale – e` allettante. Tutti noi – chi ha paura della malattia, chi ci convive, i nostri amici, le nostre famiglie, le compagnie che si avvolgono nel rosa – vorremmo che fosse vero. Indossare un bracciale, un nastro, partecipare a una corsa, comprare un frullatore rosa esprime le nostre speranze e ci fa sentire buoni, persino virtuosi, ma fare la differenza e` molto piu` complicato di cosi`.

Sono passati 40 anni da quando l’ex first lady Betty Ford ha parlato pubblicamente del suo cancro al seno, infrangendo lo stigma sulla malattia. Sono passati 30 anni dalla fondazione di Komen. 20 anni dall’introduzione del nastro rosa. Eppure tutta questa consapevolezza, ha finito col rendere le donne meno consapevoli della realta` dei fatti, ha oscurato i limiti dello screening, confuso rischio con malattia, compromesso le decisioni sulla nostra salute, celebrato “sopravvissute” che non avrebbero mai necessitato di alcun trattamento. Tutto questo a spese di coloro le cui vite sono piu` a rischio."



sabato 27 aprile 2013

Metastasi



                                                   Foto di Angelo Merendino

                                            http://mywifesfightwithbreastcancer.com/


Tra i posti che amo di piu` al mondo ci sono le biblioteche e le librerie. Quando ho bisogno di rilassarmi, se non ho una biblioteca a portata di mano, vado in libreria. E` stata una delle prime cose che ho fatto quando sono tornata in Italia, dopo la diagnosi. Sono entrata in una libreria, l'unica, della mia citta`. Ho cominciato a scorrere velocemente i titoli dei volumi in esposizione. Uno mi e` letteralmente rimbalzato in faccia: "Metastasi". Un libro che, ho scoperto dopo, non ha niente a che fare col cancro, ma capace, in quel frangente, di farmela dare a gambe.
Non volevo neanche sentirla quella parola allora. E anche adesso non mi piace. Non piace a nessuno, soprattutto a chi col cancro ci vive. Eppure, il mio atteggiamento e` cambiato. Se penso che potrei scoprire di avere una metastasi provo ancora il senso di horror vacui che provavo prima. Adesso, pero`, ho delle risorse in piu`. Le foto splendide di Jennifer e Angelo Merendino, ad esempio. Il racconto fotografico della malattia, ma anche dell'amore per la vita di questa donna come me, che pochi mesi prima di morire, tra una chemio e l'altra, decide di fare il bagno nell'oceano. O le donne conosciute virtualmente attraverso twitter, radunate sotto l'hashtag bcsm. Alcune di loro hanno metastasi e raccontano della loro malattia, ma anche della loro vita quotidiana. Piu` interagisco con loro e meno le metastasi mi fanno paura. Forse semplicemente perche` so che, se dovessero arrivare, cerchero` di fare come fanno loro. E potro` contare sulla loro solidarieta` e vicinanza. Forse e` questa la chiave: pensare solo a portare a casa la propria pelle e chiudersi in un recinto di paura che tiene lontani da chi vive esperienze che si spera di evitare non serve a nulla e finisce con alimentarla la paura. L'abbraccio fraterno, la vicinanza degli spiriti e dei cuori, la solidarieta` ci fanno sentire meno soli e ci danno coraggio. Persino di fronte alla morte.

martedì 15 gennaio 2013

In attesa di giudizio

Mancano due ore alla partenza per New York. Le valigie sono pronte, ma l'aereoporto e` lontano. Siamo al mare, in Puglia, e dobbiamo raggiungere Napoli. L'autostrada e` intasata dal traffico. Mio padre e` nervoso. "Non arriveremo mai in tempo". All'improvviso, la mente scatta: ho dimenticato il tamoxifene. Non posso non prenderlo. L'autostrada sparisce. Sono nello studio della mia oncologa adesso. Mi passa dei cerotti. "No, non sono cerotti. Sono pillole", biascico in preda al panico. E` solo un attimo. L'autostrada ritorna. Questa volta, pero`, non sono in macchina. Sono di faccia al traffico. Jose mi tiene per mano. Le macchine ci vengono addosso. Dobbiamo scansarle, una, due, tre, dieci. Qualcuna prima o poi ci prendera`.

E` un sogno. E` solo un sogno. E` il sogno agitato e confuso di una cancrata in attesa di giudizio. A fine mese ci sono i controlli. Mi fanno il tagliando completo: risonanza, 2 ecografie, mammografia, scintigrafia ossea, marcatori. La vita e` di nuovo sospesa. Faccio, ancora una volta, un passo indietro in attesa del verdetto. E` un'attesa senza ossigeno. I pensieri girano come viti spanate. L'orrore ritorna. La realta` si rifa` incubo. Non c'e` modo di scansarsi, solo prepararsi all'eventualita` di essere travolti.

mercoledì 7 novembre 2012

La vita a tempo



Ho ricevuto una bellissima mail da un lettore del blog, Gianluca. Con il suo permesso, voglio condividerla. Gianluca si fa tante domande. Perche` sua suocera, dopo 10 anni libera da malattia, si e` ritrovata con delle metastasi alle ossa? E perche` se i medici le avevano dato solo 6 mesi di vita, oggi, dopo tanti anni, sta ancora bella fresca e tosta e si appresta a compiere 71 anni? E perche` una sua cara amica, ammalatasi tanti anni dopo sua suocera, deve oggi sottoporsi alle stesse vecchie terapie? Cosa sappiamo del cancro? Forse nulla, dice Gianluca. E io con lui. Le "cure" da sole non bastano. Insieme chiediamo che non si debba piu` sperare in una vita a tempo


"Era il 1985, avevo 18 anni, il pieno della spensieratezza, studio e divertimento, quali pensieri può avere un ragazzo di 18 anni? Conobbi una ragazza, fui molto felice, ora è mia moglie e l'amo come fosse il primo giorno. Con tanta felicità conobbi anche il significato della sofferenza, si, perchè non sempre tutto è felicità, lei aveva un problema, sua mamma, a 42 anni le diagnosticarono un tumore al seno, la operarono e fece le chemioterapie, io la conobbi qualche mese dopo il termine delle terapia, ma da subito partecipai al significato di avere un malato di tumore in famiglia. Tutto cambia, incominci a vedere le cose da prospettive diverse, apprezzi cose che non apprezzavi prima, ti cambia la vita, ma poi tutto torna alla normalità, il tempo passa, il dolore passa, si torna alla vita. Un piccolo particolare, vita a tempo, la medicina calcola il tempo che hai da vivere, per mia suocera 10 anni. Che vuoi che sia, 10 anni sono tanti, ci metteranno tanto a passare, in tutto questo tempo ha sposato due figli, ha avuto tre nipoti, si perde il conto degl'anni. All'undicesimo anno ecco qui, inesorabile la recitività, la scintigrafia ossea di routine individua due addensamenti, uno alla spina dorsale e l'altro sullo sterno, "che vuole signora è normale, fa parte della sua malattia", ma come, i medici avevano detto "sono passati 10 anni, sei guarita" ed ora? Il medico diagnostica un tumore alle ossa, "non c'è niente da fare 6 mesi di vita e faremo il possibile per non farla soffrire". No, non può finire così, era guarita ed ora è la fine? non è possibile. Corriamo in cerca di un centro che dia speranze e troviamo chi ci dice che si può curare, ma con una prospettiva di vita di due anni, di nuovo chemioterapia e di nuovo vita a tempo, di nuovo il tempo passa, passa il dolore, era il 1996, sono passati 16 anni, ora ha 70 anni, sarà stata fortuna, la medicina, un miracolo, la voglia di vita, non so, non capisco. Qualche mese fà una mia carissima amica a 43 anni subisce la stessa sorte e rivivo tutto il dolore e resto nella speranza che vada tutto bene, ma io ci sto male, m'informo sui progressi della medicina, ovviamente su internet e scopro che da oltre 25 anni nulla è cambiato, stesse diagnosi, stesse cure, vita a tempo. La mia carissima amica è una donna formidabile e ha una voglia di vita incredibile, è convinta e determinata e sconfiggerà la malattia. Le ricerche vanno avanti solo nel garantire una cura, invasiva e dannosa, e dare solo garanzia di vita a tempo e, permettetemi, sono convinto che non ancora ci capiscano niente di come viene o come si previene un tumore, e ci fanno pensare che tutto deve andare così, ma io non posso sopportare più che si debba sperare in una vita a tempo"

domenica 9 settembre 2012

Oltre il rosa - La storia di Laura



Ho conosciuto la cara, carissima Giovanna Marsico via twitter. Giovanna lavora con cancercontribution, una piattaforma che unisce vari attori (medici, pazienti, politici, associazioni, cittadini) interessati in vario modo e a vario titolo alla questione cancro e il cui obiettivo e` favorire lo scambio di idee e il confronto per migliorare il sistema sanitario.
Ieri, Giovanna mi ha inviato un bellissimo post tratto dal blog di una donna che vive in California, Laura Wells, e` che ha un cancro al seno in metastasi. E` insomma al quarto stadio, l'ultimo, quello che si conclude - salvo miracoli - con la morte. Le donne in queste condizioni sono tante e, a seconda della risposta ai trattamenti palliativi, della propria resistenza fisica, delle caratteristiche biologiche della malattia, possono avere davanti a loro ancora diversi anni. Solo che non lo sanno. Vivono ogni giorno con la consapevolezza che potrebbe essere l'ultimo o poco piu`. Queste donne alle Race for the Cure o alle varie parate in rosa non esistono. Preferisco comunque cedere la parola a Laura. Il suo post e` molto toccante. Ho pensato di tradurlo per voi.

"Oltre il rosa.

Quando mi e` stato diagnosticato il cancro al seno e` stato difficile accettare il nastro rosa e tutto cio` che rappresenta. Non ero contenta di entrare nel club e diventare sostenitrice di una causa solo perche` potevo trarne beneficio mi metteva a disagio. Mi sembrava egoista e ipocrita.

Ho cominciato davvero a identificarmi con il rosa quando il cancro e` tornato, questa volta all'ultimo stadio, perche` avrei avuto il cancro al seno per sempre e avrei dovuto essere in trattamento per tutta la vita. Finalmente mi sono votata alla causa del rosa.

Ironia della sorte, con il cancro al seno metastatico tutto cio` che il rosa rappresenta non andava bene per me. Ero oltre la "prevenzione", oltre la "cura", oltre la "sopravvivenza", oltre il "rosa".

Ho scoperto che molte donne si sentivano escluse, ogni ottobre, durante il mese della prevenzione sul cancro al seno, perche` le nostre storie non vengono raccontate. Nessuno sentira` mai parlare delle donne al quarto stadio [cancro diffuso in altre parti del corpo lontane dal seno, ad esempio ossa, cervello, fegato. ndr] morte nel corso dell'anno, tranne forse di qualche personaggio famoso o come statistiche.

Ma le donne comuni con cancro al seno in metastasi non saranno da nessuna parte. Non ci saranno articoli su di loro sui giornali. Non ci saranno programmi televisivi che raccontino al mondo la vita delle eterne pazienti che si alzano ogni mattina per sottoporsi a continui controlli e terapie. Non sentiremo parlare della paura che un semplice mal di schiena possa essere sintomo di una mestasi alle ossa, che fa a pezzi una donna nel senso letterale del termine, o del timore che un mal di testa sia causato da una metastasi al cervello invece che dallo stress. Non ci saranno testimonianze, alle innumerevoli manifestazioni sulla prevenzione, riguardanti chiacchierate con i propri figli che cominciano con un "Ci sarai ancora quando...?"

Ci saranno solo le storie delle "sopravvissute", donne che "l'hanno preso in tempo" e sono "guarite". Ascolteremo le storie di donne famose che hanno combattuto il cancro ai primi stadii e sono SOPRAVVISSUTE. E parlando alle manifestazioni aiuteranno a promuovere consapevolezza, prevenzione e sopravvivenza.

Capisco il bisogno di allegria e di ascoltare storie di sopravvissute. So come e` importante, come e` necessario sentirle soprattutto nel caso in cui c'e` speranza di guarire.

Ma io sono oltre questo concetto di speranza. La mia speranza e` che i controlli vadano bene, che i nuovi farmaci facciano effetto. La mia speranza e` di essere ancora viva quando mia figlia si sposera` e quando nasceranno i miei nipoti. Spero di poter rinviare quanto piu` possibile il momento in cui dovro` dire addio a un marito addolorato per la morte di sua moglie.

Il mio cancro al seno non e` piu` solo rosa. Adesso include il grigio, il colore del niente - della terra di nessuno in cui vivo, non piu` sopravvissuta ma ancora combattente, senza mai arrendermi. E nero, il colore della morte, perche` un giorno sicuramente la mia battaglia finira`.

Il problema col "rosa" e` che, nonostante tutta la consapevolezza che produce, nessuno e` consapevole dell'esistenza del cancro al seno al quarto stadio, il cancro che uccide. E nessuna e` preparata a entrare a far parte di questo club, che e` oltre il rosa, perche`nessuno ne parlera`, per un altro anno ancora".

Seguite il blog di Laura a questo indirizzo http://www.mystage4life.blogspot.co.uk/

domenica 8 luglio 2012

Che fare?

Sono stati giorni strani. Tra nuove diagnosi e la nebbia cognitiva data dalla menopausa indotta non sono riuscita a concentrarmi. Ho sentito pero` come un calo di tensione, come se la rabbia che mi aveva spinto ad aprire questo blog avesse ceduto il posto alla rassegnazione.
Il supporto non e` mancato. Addirittura all'epidemia di cancro al seno nei suoi risvolti politici e culturali si e` interessata Loredana Lipperini che ha dedicato un post a questo blog e altri a racconti riguardanti la malattia. Fikasicula ha scritto un post molto sentito sul blog collettivo Femminismo a Sud. Susanna Curci ha pubblicato un bellissimo articolo riguardante il business del cancro al seno sul settimanale Gli Altri.
Eppure il disinteresse continua ad essere tanto e lo strapotere di chi controlla il discorso pubblico sul cancro al seno e` tale che mi sento scoraggiata. I casi continuano ad aumentare e cosi` le alzate di spalle.
Che fare? E` possibile davvero riuscire ad invertire la rotta? E` possibile riuscire a instaurare un dialogo coi ricercatori e fare in modo che anche i pazienti contribuiscano a stabilire le priorita` della ricerca? E` possibile far sparire il rosa dai nostri seni e dire chiaro e tondo che di cancro al seno si muore col corpo e lo spirito? E` possibile dare spazio alle voci di chi vive con le metastasi? E` possibile davvero trovare una risposta al perche`? E quando anche si dovesse trovarla - ma questa e` una questione che riguarda solo e soltanto me - la mia ferita guarira`? La risposta temo sia no.