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mercoledì 22 novembre 2017

Cancro al seno estrogeno-responsivo: il rischio di metastasi dura 20 anni

Ottobre e` finito. Strappata la pagina del calendario e riposti i nastri rosa nel cassetto, il cancro al seno e` sparito dalle vite di chi, per sua fortuna, non ha ancora avuto modo di averci a che fare e dai giornali. Non e` certo sparito dalla vita di Mimma Panaccione, la fondatrice della prima associazione italiana per malate di cancro al seno metastatico, ne` da quella sui cari. Mimma e` morta il 17 novembre a soli 42 anni. E non e` sparito nemmeno dalle vite delle tantissime altre persone colpite e su cui solo per un mese all'anno, ottobre, si accendono i riflettori del circo rosa che le loro esperienze non le illumina, ma le distorce.

Giornali ed esperti di alto lignaggio adesso tacciono. Nemmeno la pubblicazione sul New England Medical Journal di uno studio che ha fatto il giro del mondo [qui] e` riuscita a ridargli il dono della parola. Forse il tema non e` di loro particolare gradimento o forse e` solo che a novembre siamo tutti presi dal Natale che si avvicina e i regali da comprare. Fatto sta che lo studio, uscito il 9 novembre, mostra come il rischio di metastasi dei carcinomi del seno estrogeno-responsivi si protragga per i 15 anni successivi ai 5 anni di terapia con tamoxifene o inibitore dell'aromatasi. Un rischio correlato con la dimensione del nodulo e il numero di linfonodi coinvolti, sottolinenao gli autori, ma che persino per i tumori piccoli e in assenza di coinvolgimento linfonoidale ammonta al 10% nel corso di 20 anni. E` necessario prolungare la terapia ormonale, continuano, ma occorre anche tenere conto degli effetti collaterali che non sono pochi e irrilevanti. Qual e` la soluzione allora? Chiaramente non ne esiste una che valga per tutte e, da parte nostra, non si puo` fare a meno di notare come di fronte a un problema cosi` grave il rimedio proposto sia continuare a imbottirci di farmaci con elevata tossicita`. Sono questi allora i grandi progressi nel trattamento del cancro al seno di cui si chiacchiera tanto ogni sacrosanto ottobre?

Mentre negli Stati Uniti i media infilavano un titolone dopo l'altro sul tema e sui social media si accendevano le discussioni tra addetti ai lavori e pazienti, in Italia si parlava d'altro. Solo Quotidiano Sanita` [qui], non certo un giornale mainstream, ha pubblicato ieri un articolo cercando, tuttavia, di indorare la pillola attraverso parlando genericamente di 'recidiva' ed esortando a puntare anche sul follow up "per cogliere eventuali recidive sul nascere". Un elemento che non compare nello studio.

Ci piacerebbe aprire un dibattito sulle nostre esperienze con la terapia ormonale e sulla malattia metastatica, possibilmente qui sul blog e non su Facebook. Se altri spazi per approfondire ed interrogarci ci vengono negati, approfittiamo di quelli che abbiamo creato noi stesse.

mercoledì 8 marzo 2017

Il silenzio non vi proteggera`

Questo otto marzo lo passo a letto. Sono piu` di sei anni che, ogni ventotto giorni, faccio l'iniezione di Decapeptyl per bloccare le ovaie e impedire loro di produrre gli estrogeni di cui il mio cancro si nutre. Per la cronaca, lo stesso farmaco viene utilizzato in alcuni paesi per la castrazione chimica in persone che hanno commesso reati di tipo sessuale [qui].

Possiamo cominciare a ragionare sul fatto che troppe donne si ammalano di cancro al seno? Sul fatto che non si fa nulla per prevenirlo prima che cominci, riducendo l'esposizione involontaria alle sostanze cancerogene e mutagene? Sul fatto che le terapie attualmente a disposizione non solo non sono sempre efficaci, ma sono tossiche, possono provare altre neoplasie o problemi di salute gravi e abbassano enormemente la qualita` della vita? Possiamo cominciare a dire che, se tutto quello che sono stati capaci di tirare fuori dal cilindro negli ultimi decenni e` stato il prolungamento della terapia con tamoxifene per dieci invece che per cinque anni, allora ci stanno prendendo per i fondelli? Possiamo pretendere che alle persone con cancro al seno triplo negativo sia offerta qualche strategia terapeutica migliore della chemioterapia?
Si, certo, che possiamo, ma dobbiamo essere in tante, non solo quelle che si sono ammalate ma anche quelle che stanno benissimo.

Il principale fattore di rischio per il cancro al seno e` essere una donna. Il silenzio non vi proteggera`. 

martedì 10 febbraio 2015

Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole

E anche quest'anno i controlli, quelli in grande stile, quelli che ti rivoltano come un calzino e te la fai sotto dalla paura sono passati. Come una scolaretta secchiona, sono stata promossa col massimo a cui una persona col cancro al seno possa apirare: No Evidence of Disease. Non e` stato riscontrato alcun segno visibile di ritorno della malattia. Questo non vuol dire che dal giorno successivo all'esecuzione di un determinato esame, ad esempio l'ecografia all'addome superiore, quel segno, il segno che indica la presenza di una metastasi, non si manifesti. Per il momento, comunque, la tregua continua. L'unica sorpresa e` stato l'incontro con una ginecologa che non mi aveva mai visitata prima, secondo la quale, il polipo endometriale causato dal Tamoxifene e` grandino e va tolto. Finora, mi era stato detto da un'altra ginecologa dello stesso ospedale che poteva restare li` in assenza di sanguinamento. Tra circa un mese mi sottoporro` all'intervento, che verra` eseguito in endoscopia e con anestesia generale e durera`, cosi` mi ha assicurato la dottoressa, circa dieci minuti. A distanza di una settiama mi verranno comunicati i risultati dell'esame istologico. Quest'ultimo servira` a confermare la benignita` del polipo. Si, confermare perche` non e` mica sicuro al 100% che lo sia. E come dice la mia oncologa "improbabile non vuol dire impossibile".
Il tamoxifene e` ad oggi il trattamento di prima scelta per i carcinomi del seno estrogenodipendenti. Il farmaco e` un modulatore selettivo dell'azione degli estrogeni che, in parole povere, vuol dire che blocca l'azione degli estrogeni nel seno, riducendo le probabilita` di recidiva locale (peraltro, in misura maggiore rispetto alle metastasi a distanza), ma ne potenzia l'effetto in altri organi, tra cui l'utero. Per questo motivo, il tamoxifene aumenta il rischio di cancro dell'endometrio, oltre che di poliposi endometriale che, nonostante la sua benignita`, comporta un'ulteriore medicalizzazione per chi tra medici, ospedali e interventi chirurgici c'ha gia` passato troppo tempo. E il rischio non diminuisce con la conclusione della terapia, ma dura nel tempo. Nonostante cio`, c'e` chi il tamoxifene vuole farcelo prendere per dieci anziche` per "soli" cinque anni. Il luminare in questione non e` certo uno qualunque. Si tratta di Richard Peto, epidemiologo di fama internazionale che, nel 1981, per conto dell'amministrazione Regan, pubblico`, insieme al collega Richard Doll, uno studio dal titolo The Causes of Cancer: Quantitative Estimates of Avoidable Risks of Cancer in the United States [Le cause del cancro: stime quantitative dei rischi di cancro evitabili negli Stati Uniti] in cui sosteneva che il 35% di tutti i casi di cancro fossero da attribuirsi alle abitudini alimentari, il 30% al fumo di tabacco, il 7% a fattori riproduttivi e abitudini sessuali, il 4% all'esposizione a cancerogeni per cause professionali, il 3% all'acool, un altro 3% a fattori geofisici, il 2% all'inquinamento dell'aria e l'1% a procedure mediche e prodotti farmaceutici (qui). La tiritera sugli stili di vita erronei come causa del cancro l'ha cominciata lui per sostenere politiche di deregulation neoliberiste a vantaggio delle grandi industrie, lasciate libere di esporre i lavoratori e, progressivamente, anche chi nelle fabbriche non c'e` mai entrato a sostanze cancerogene e mutagene.
La versione di Peto sul cancro e` diventata, manco a dirlo, quella dominante e gli e` fruttata una bella carriera. A distanza di quindici anni, il nostro si mette alla guida dello studio ATLAS - acronimo per Adjuvant Tamoxifen: Longer Against Shorter [Tamoxifene adiuvante: piu` lungo contro piu` corto] - cominciato nel 1996 e i cui risultati sono stati presentati nel 2012 (qui) . Tra i finanziatori dello studio figurano AstraZeneca, la casa farmaceutica produttrice del Tamoxifene, e persino l'esercito degli Stati Uniti. E il risultato qual e`? Che il tamoxifene va preso per dieci anni. Dieci. E se il rischio di cancro dell'endometrio raddoppia, passando dall' 1,6% al 3,1% ,non ce ne frega niente. E se il cancro al seno si poteva evitare attraverso la prevenzione, quella vera, che elimina l'esposizione a sostanze correlate con lo sviluppo della malattia o sospettate di esserlo, non ce ne frega. Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole, deve aver pensato il caro Peto. Personalmente gli rispondo che cinque anni di tamoxifene per me possono bastare e che della mia malattia lo considero moralmente responsabile.

martedì 29 luglio 2014

Il cancro al seno fa schifo. Punto. Basta

Sto male. Sto malissimo. Ieri sera ho fatto la 43esima iniezione di Decapeptyl. Mi sento sotto un treno. Testa pesante come un macigno, occhi gonfi e semichiusi. Non riesco ad articolare un pensiero, leggo a fatica, camminare neanche a parlarne.
Sono stufa. Sono ormai tre anni e mezzo che ogni 28 giorni devo iniettarmi questa roba in corpo, senza parlare poi del tamoxifene che mi fiacca giorno dopo giorno, e mi gonfia al punto che non sono piu` io. Dove e` finita la Grazia magrissima, "cento grammi" mi chiamava mio cognato, e agile che ero fino a pochi anni fa? E la mia memoria di ferro? E la capacita` di concentrazione di cui una ricercatrice, anche se precaria, ha bisogno?
Non mi riconosco piu`. Sono stanca. Il cancro al seno non e` bello, non e` rosa, non e` glamour, non si combatte e non si vince, non ti migliora, non ti fortifica. Il cancro al seno fa schifo. Punto. Basta

venerdì 20 giugno 2014

Grazie Lisa

Il polipo endometriale causato dal tamoxifene e` stabile. Gli esami del sangue, marcatori compresi, sono nella norma. L'ecografia al seno non ha rilevato nulla di nuovo. Anche questi controlli sono andati. Manca solo la visita senologica per confermare che, al momento, lo stato della mia malattia e` NED: No Evidence of Disease.
Sono guarita? Assolutamente no. E non solo perche` mancano ancora due anni alla conclusione della terapia ormonale, ma soprattutto perche` - vale la pena ribadirlo ancora una volta - non sara` mai possibile stabilire se il cancro diagnosticatomi nel novembre 2010 e` andato via. Potrebbero esserci ancora cellule maligne nel mio corpo. Potrebbero. Non esiste al momento alcun esame diagnostico in grado di confermarlo o escluderlo. Potrebbero rimettersi a proliferare. Forse lo stanno gia` facendo, ma non hanno ancora formato una massa rilevabile dagli strumenti a disposizione. O forse non lo faranno mai e moriro`, spero tra tanti anni, di qualche altra cosa. E quel giorno, solo quel giorno chi mi sopravvivera` potra` dire che non e` stato il cancro al seno ad uccidermi.
Come mi e` gia` successo, dopo una giornata passata in ospedale, non riuscivo a dormire. Gironzolando su Twitter, sono venuta a sapere che una donna, Barbara Bristow, amica della cara Anne Marie Ciccarella, la blogger statunitense che mi ha introdotta al cancer activism (qui), e` morta di cancro al seno metastatico. A febbraio, al termine dei controlli precedenti a questi, era arrivata la notizia della morte di Jada, giovane venezuelana trapiantata negli USA (qui).
La morte e` arrivata sia per Barbara che per Jada al termine di un percorso dolorosissimo nelle secche del quarto stadio, quello in cui la malattia diventa incurabile e si puo` solo tenere a bada, provando una terapia dietro l'altra fino a che, esaurite tutte le cartucce, non resta che chiudere gli occhi per sempre. Si puo` vivere anche per anni col cancro al seno metastatico. Non e` certo una bella vita, pero`. Lo racconta la coraggiosissima Lisa Adams nel suo blog (qui).
Lisa, mamma di tre bambini, ha scoperto le metastasi nel 2012, sei anni dopo la diagnosi iniziale. Attraverso il suo blog, Lisa e` diventata una voce importante per chi vive la difficilissima condizione del cancro al seno metastatico e non perde mai occasione per ribadire che, nonostante le fanfare e gli squilli di tromba, per l'unica forma di cancro al seno che uccide - quella metastatica appunto - non si fa ancora abbastanza in termini di ricerca. A lei un grazie grande quanto il mondo

venerdì 11 aprile 2014

C'e` pillola e pillola

Una donna e` morta a Torino dopo l'assunzione della pillola abortiva RU486. Il fatto che gli avvenimenti si siano verificati in successione cronologica non implica assolutamente che esista un nesso di causalita` tra i due, ma i giornali mainstream, e non ve li staro` a linkare perche` non intendo dare loro visibilita` anche attraverso questo spazio, hanno gia` cominciato a sparare titoli, il cui sottotesto e` 'la pillola abortiva RU486 uccide'.
Le donne col cancro al seno di pillole che uccidono se ne intendono. Molte di loro, se si sono ammalate prima della menopausa, ne assumono una ogni giorno. E` il tamoxifene, che inizialmente doveva essere un anticoncezionale, ma poi - miracoli che solo l'industria farmaceutica riesce a fare - e` diventato il farmaco di prima scelta per la prevenzione delle recidive del carcinoma mammario estrogeno-dipendente.
Quando a fine gennaio, sono stata a Milano per i controlli, ho fatto la visita ginecologica annuale. Nel corso dell'ecografia transvaginale, la dottoressa ha individuato un bel polipo endometriale che a giugno dovro` ricontrollare e probabilmente togliere. Perche`? Perche` il tamoxifene provoca il cancro dell'endometrio. Si, avete letto bene, il farmaco di prima scelta per la prevenzione della recidiva di un cancro ne puo` causare un altro. E` scritto anche sul foglietto illustrativo:

"Durante il trattamento con Nolvadex (nome commerciale del tamoxifene, ndr) è stata riportata un’aumentata incidenza di alterazioni dell’endometrio comprendenti iperplasia, polipi, carcinoma e sarcomi del corpo dell’utero (perlopiù tumori maligni mulleriani misti). L’incidenza e il quadro di queste alterazioni suggeriscono un meccanismo di base correlato alle proprietà estrogeniche di Nolvadex. È consigliabile, quindi, che le pazienti in corso di terapia vengano sottoposte ad adeguati controlli dell’apparato genitale, in particolare dell’endometrio.
I pazienti in trattamento con tamoxifene devono essere istruiti ad avvisare immediatamente il proprio medico qualora avvertano uno qualsiasi dei seguenti sintomi: intorpidimento del volto o debolezza delle braccia o delle gambe e problemi della parola o della visione che potrebbero indicare un ictus cerebri. Lo stesso in caso di dolore toracico o dispnea che potrebbero essere sintomi di embolia polmonare o se si presenta dolore addominale o un sanguinamento vaginale anormale che potrebbero indicare un possibile cancro dell’utero. Anche in caso di tosse e dispnea che potrebbero essere sintomi di una polmonite interstiziale i pazienti dovranno essere istruiti ad avvisare il proprio medico. Deve essere richiesto ai pazienti se abbiano avuto una storia pregressa di ictus cerebri, di eventi simili all’ictus, eventi tromboembolici o cancro dell’utero"

Cancro al corpo dell'utero, ictus cerebrale, embolia polmonare. Tutti questi "effetti indesiderati", il tamoxifene li causa e alcune donne ci rimettono le penne. Non solo, ma adesso si sta seriamente prendendo in considerazione anche in Europa la possibilita`di prescriverlo alle 'donne a rischio' di cancro al seno a scopo preventivo. E ovviamente i nostri cari giornali, compreso Repubblica, che della difesa della dignita` delle donne minacciata dal berlusconismo ha fatto una bandiera, non ne parlano mica. C'e` pillola e pillola. E agli onori della cronaca salgono solo quelle scomode alle gerarchie vaticane.


martedì 8 aprile 2014

E la chiamano terapia

La testa mi gira, le gambe pesano, gli occhi si chiudono, la pressione scende e il cuore mi salta in gola. No, non sono alle prese con i postumi di una sbornia. Ho solo fatto l'iniezione mensile di Decapeptyl. La quarantesima. Me ne mancano "solo" venti. Che bello! Mi sentiro` altre venti volte come se un treno mi fosse passato addosso e poi basta. Poi forse cambieremo farmaco. O forse, se trovero` il coraggio, mandero` tutti i farmaci a quel paese.

Quando mi e` stata proposta la cosiddetta terapia ormonale - siringa ogni 28 giorni per bloccare le ovaie e compressa di tamoxifene una volta al giorno - stavo per iniziare la chemio e sapevo che mi aspettava, in aggiunta, un anno di Herceptin per un totale di un anno e mezzo in ospedale con tubo nel braccio. La terapia ormonale era l'ultimo dei miei pensieri. Che saranno mai una compressa e un'iniezione? 

La terapia ormonale fa schifo. Non so nemmeno come si possa definire terapia. Sara` perche` il cancro al seno e` tutto un raccontare di guarigioni miracolose e trionfi. Quello che fa e` abbassare le probabilita` di recidiva. Abbassare. Non eliminare. Molte delle donne che la recidiva se la beccano si sono impasticcate e siringate. A vuoto. Chiunque potrebbe essere una di loro. Perche` non e` possibile ad oggi sapere in anticipo quali tipi di tumore NON rispondono al trattamento. E intanto ti sei fottuta cinque anni. Senza nemmeno sapere se ne avrai altri davanti.

venerdì 24 gennaio 2014

Il tour de force





Tra due giorni si parte. Finalmente, devo dire. I pesi sullo stomaco e` meglio toglierseli al piu` presto possibile. L'attesa sfianca e ingigantisce le paure. Chiama alla memoria altre attese. Nel mio caso, quella che e` intercorsa tra il 'potrebbe essere' e l' 'e`'. Un'attesa insonne. Sette giorni e sette notti interminabili, in cui il terrore si e` insinuato dentro di me, pronto a riaffacciarsi in momenti come questo. Quando bisogna di nuovo affidarsi alle macchine e attendere.
Mi chiedo se chi, per sua fortuna, non ha mai avuto a che fare con il cancro riesca davvero ad immaginare lo stress e il senso di medicalizzazione che i controlli comportano. Non e` come fare un prelievo del sangue per l'anemia. E` un tour de force tra sale d'aspetto e macchinari che ti scandagliano il corpo centimetro per centimetro.
Tra lunedi` e mercoledi` mi toccheranno ben 7 esami diversi, ciascuno con i suoi tempi di preparazione e di esecuzione. Si comincia con i prelievi, tra cui quelli per i marker tumorali. Si prosegue con la risonanza magnetica mammaria: iniezione del liquido di contrasto e poi a testa in giu` con il seno infilato in un imbuto e un rumore che ti sfonda i timpani. A seguire, la visita cardiologica, con eco ed elettrocardiogramma per essere sicuri che le terapie non mi abbiano causato problemi al cuore che, talvolta, possono manifestarsi a distanza di anni. Si riprende, il giorno dopo, con l'ecografia all'addome per verificare l'assenza di metastasi epatiche (il fegato e` una delle sedi di metastasi del cancro al seno). Per il pomeriggio ci si cucca una bella mammografia con annessa ecografia, giusto per rinverdire i fasti e risentire il brivido della prima volta. L'ultimo giorno e` invece dedicato alla visita ginecologica con ecografia transvaginale, richiesta perche` il tamoxifene puo` causare il cancro dell'endometrio, e poi il gran finale con la scintigrafia ossea. L'esame in se`, con acquisizione delle immagini di tutto lo scheletro, dura solo venti minuti. Tuttavia occorre arrivare circa 3 ore prima per l'iniezione del radiofarmaco. Dopodiche`, bisogna aspettare che quest'ultimo si metta in circolo. In questo lasso di tempo, si rimane dentro il centro di medicina nucleare, senza possibilita` di uscire, in compagnia di altri pazienti nella stessa situazione. Quando il farmaco si e` distribuito, si viene fatti accomodare su un lettino mobile che, durante l'esame, scorre all'interno di tunnel.
Al termine della tre giorni, comincia l'attesa per i risultati con la consapevolezza che, come dice la mia oncologa, si tratta di indagini talmente approfondite che "qualcosa si trova sempre".

giovedì 27 giugno 2013

La pillola magica

Quella del cancro al seno e` per i media mainstream italiani, e non solo, una storia di trionfi. L'ultimo in ordine di tempo sarebbe la "pillola" per "prevenire" l'insorgenza della malattia. La notizia arriva dall'Inghilterra dove, due giorni fa, il National Institute for Care and Excellence (NICE) ha reso note le nuove linee guida sulla farmacoprevenzione per le donne con familiarita`. A circa mezzo milione di donne verra` data la possibilita` di assumere il tamoxifene e il raloxifene, due farmaci prescritti a chi ha gia` sviluppato la malattia per la prevenzione delle recidive, attraverso l'NHS, il servizio sanitario nazionale
Sia la stampa italiana che britannica, oltre alle associazioni che hanno supportato l'iniziativa e lo stesso NICE, hanno gridato al miracolo. "Svolta epocale", "momento storico" sono state le espressioni piu` utilizzate qui in UK, rimbalzate di bocca in bocca e partite da chi dovrebbe, per professionalita`, evitare le mistificazioni. E invece, come al solito, quando si tratta di cancro al seno, le mistificazioni abbondano. E la confusione aumenta.
Ne ha scritto, con la consueta competenza e accortezza, la sociologa statunitense Gayle Sulik, autrice del best seller Pink Ribbon Blues e fondatrice del Breast Cancer Consortium, un network internazionale di ricercatori e attivisti che cerca di indagare e portare all'attenzione dell'opinione pubblica le cause sistemiche dell'epidemia di cancro al seno e di svelare le dinamiche del business che c'e` stato costruito intorno.
Spiega Gayle Sulik, e le donne che il cancro al seno l'hanno avuto ma anche le loro figlie e le loro sorelle lo sanno, che il tamoxifene e il raloxifene sono due modulatori selettivi dell'azione degli estrogeni. Il tamoxifene, il farmaco piu` conosciuto tra i due, e` stato immesso per la prima volta sul mercato da Astra Zeneca, multinazionale britannica - produttrice tra le tante cose anche di diverse classi di pesticidi cancerogeni - ed e` utilizzato per la prevenzione delle recidive nelle donne con tumori responsivi ai recettori degli estrogeni (ER+). Circa il 75 per cento dei casi rientra in questa categoria, ma non tutti.
Il raloxifene e`, invece, prodotto da Ely Lilly, altra multinazionale del farmaco, finita sotto accusa perche` produttrice di un ormone della crescita, rBGH, somministrato alle mucche per stimolare la produzione di latte, che induce, negli umani, un aumento del rischio di cancro, soprattutto del seno.
Negli Stati Uniti, le donne con un rischio di cancro al seno superiore al 3% rientrano tra coloro a cui  viene raccomandata l'assunzione di uno dei due farmaci per cinque anni. Studi condotti per valutare l'efficacia di tamoxifene e raloxifene al fine di evitare l'insorgenza della malattia in donne "a rischio" hanno stabilito che solo nell'1,77% dei casi il mancato sviluppo della malattia poteva essere attribuito alla farmacoprevenzione. La maggioranza delle donne che non si ammalavano, non si ammalavano a prescindere dall'assunzione di tamoxifene e raloxifene.
Ben noti alle donne che il cancro al seno lo hanno avuto cosi` come alle loro figlie, sorelle e amiche sono gli effetti collaterali dei modulatori selettivi dell'azione degli estrogeni. Si va dalle vampate di calore, alla trombosi, al cancro dell'endometrio. Io stessa, assumo da ormai 2 anni, il tamoxifene e ho ho problemi di circolazione, ritenzione di liquidi, aumento di peso. Almeno una volta l'anno devo fare un'ecografia transvaginale per misurare lo spessore della rima endometriale e verificare che non mi sia beccata il cancro anche li`.
Ha ragione Breast Cancer Action a parlare di "disease substitution": per evitare il cancro al seno, si corre il rischio di sviluppare altri tumori o altre patologie non da poco che possono portare alla morte. Possibile che per non morire di cancro al seno si debba correre il rischio di morire, per propria mano, di qualcos'altro? Questo vale sia per chi ha gia` avuto la malattia che per chi e` "a rischio". E poi, che vuol dire "a rischio"? Significa essere portatrici di una delle mutazioni genetiche conosciute? Significa avere familiarita`, cioe` altri casi in famiglia? Le due cose possono non essere assolutamente collegate, tant'e` che soltanto il 5% dei casi e` attribuibile a una mutazione. Ci sono donne portratrici di mutazione ma senza familiarita`. Donne con familiarita` ma senza mutazione. Io non ho ne` mutazione ne` familiarita` e ho scoperto di essere ammalata a 30 anni e rientro in quel 70% che si ritrova il cancro senza nessun fattore di rischio. Si, e` cosi`. Il 70% delle donne con il cancro al seno non ha nessun fattore di rischio.
Ciliegina sulla torta, le nuove linee guida sono state emanate in concomitanza con lo smantellamento e  privatizzazione del servizio sanitario nazionale inglese. Di chi sta facendo gli interessi allora il NICE? Delle donne o delle case farmaceutiche e di chi si sta spartendo la ghiottissima torta della sanita`? E` una domanda retorica, ovviamente. In ogni caso, e` bene scriversi in fronte, le parole di Gayle Sulik: non esiste la bacchetta magica, la prevenzione del cancrco al seno consiste nella rimozione delle cause e di farmaci che spesso fanno piu` danni di quanto dovrebbero.

mercoledì 5 settembre 2012

Ottobre perche`?

A rischio di farvi sbuffare a piu` non posso, lo ripeto: ottobre e` il mese della 'prevenzione' del cancro al seno. E` il mese del rosa e delle mammografie. 
Ma perche` ottobre? La risposta e` booooh, non lo so. Bisognerebbe girare la domanda a chi ha inaugurato il circo. Non si tratta di Estee Lauder - che ha inventato il pink ribbon - ma di Astra Zeneca.
Astra Zeneca non e` una cartomante ne` un'astrologa. E` una multinazionale farmaceutica. Una volta si chiamava Imperial Chemical Industries ed era inglese. Gli inglesi con l'impero c'hanno la fissa. Negli anni '90 e` diventata Astra Zeneca. La sigla fa capolino nell'angolo in basso a destra della confezione del Nolvadex, il farmaco in pasticche che prendo ogni giorno per il cancro al seno. Quello che mi ha fatto riempire di liquidi quest'estate fino a farmi pesare 60 chili (di solito ne peso 54). Quello che mi sta distruggendo i capillari. Quello che mi da la costante sensazione di nebbia cognitiva e disturbi di memoria. Quello che potrebbe farmi venire una trombosi venosa profonda letale. Quello che potrebbe provocarmi il carcinoma dell'endometrio.
Il principio attivo del Nolvadex e` il tamoxifene. Sintetizzato per la prima volta negli anni '60 come pillola del giorno dopo, il tamoxifene viene utilizzato nella prevenzione delle recidive dei carcinomi mammarii estrogeno-dipendenti. Attenzione, il tamoxifene non cura il cancro. Chi e` al quarto stadio, con le metastasi in organi distanti dal seno (ad esempio, ossa, fegato, cervello) non guarisce prendendo il tamoxifene. Muore e basta. Chi e` al secondo o terzo stadio, invece, con il tamoxifene ha probabilita` maggiori - non la certezza - di non riammalarsi.  Finche`lo prende. 
Il tamoxifene viene prescritto alle pazienti in premenopausa dagli anni '70. Io lo prendo oggi, nel 2012. Chissa` per quanto tempo ancora si continuera` a prescrivere. Dove sono gli enormi passi avanti nelle terapie di cui tanti ricercatori e medici straparlano? Mistero...
Ma torniamo ad Astra Zeneca. Nel 1985, quando ancora si chiamava Imperial Chemical Industries, la casa farmaceutica tira fuori dal cilindro il National Breast Cancer Awareness Month, conosciuto da noi come il mese della 'prevenzione' del tumore al seno. Che non si dica cancro, che e` una brutta parola e fa calare le vendite! Ottobre e` il mese prescelto per l'evento. E il resto della storia lo conosciamo. Negli anni '90 arriva Estee Lauder con il Pink Ribbon. Poi ci si mette anche Susan G. Komen e il circo e` completo. 
Lasciatemi aggiungere un'ultima cosa pero`. E` importante. Astra Zeneca non produce solo il tamoxifene o solo farmaci per gli esseri umani. Astra Zeneca e` uno dei maggiori prouttori al mondo di organoclorurati, sostanze fortemente sospettate di essere cancerogene e di provocare proprio il cancro al seno. Sostanze presenti in insetticidi e pesticidi di uso comune, per esempio.
Ancora oggi Astra Zeneca ha diritto di veto su tutto cio` che e` legato al Breast Cancer Awareness Month. Le cause ambientali della malattia sono quindi avvolte dalla piu` completa oscurita`. Insomma, Astra Zeneca prima ci avvelena. Poi, pero`, ad ottobre, ci manda a fare la mammografia.  Ma che non si facciano altre domande. E la giostra continua a girare....

sabato 14 luglio 2012

Quest'anno vado al mare coi peli

Ho cominciato a depilarmi verso i 13 anni. Dapprima usavo il rasoio di mio padre, che si incazzava perche` diceva che coi pelacci lunghi e forti che avevo gli rovinavo la lama. Poi sono passata alla ceretta e, infine, grazie a una ex amica che me l'ha fatto provare, al Silkepil. Negli ultimi anni utilizzavo una combinazione di ceretta per inguine e cosce e Silkepil per i polpacci. Ah, e ovviamente il rasoio per le ascelle e le strisce per i baffi.
Quando nel 2006 ho incontrato il mio compagno di cammino, una della cose che piu` mi ha colpito di lui e` stato il fatto che non voleva che mi devastassi la faccia cercando di estirpare anche il pelo piu` microscopico dal mio labbro superiore. Il mio boy di prima pretendeva di togliermeli lui perche` diceva che non sapevo strappare bene, pensate un po` come ero messa! Al mio Jose, invece, non fregava una beneamata minchia che io avessi i peli e ho preso quindi la sacrosanta abitudine di depilarmi solo durante l'estate e quando avevo effettivamente necessita` di esporre in pubblico le parti del corpo dotate di pelliccia.
Sono stata operata di cancro al seno il  20 dicembre del 2010, in pieno inverno dunque. Tra la botta in fronte della diagnosi, la corsa in Italia per curarmi e la paura dell'anestesia, l'ultimo pensiero era quello di depilarmi. Qualche giorno prima dell'intervento, mia madre mi fa "Vai dall'estetista prima che partiamo per Milano, no?". "Si si", le rispondo io senza pensarci troppo. Mentre cerco il numero di telefono per prenotare, mi scorrono davanti agli occhi i ricordi di me misera sdraiata a gambe aperte sul tavolo di tortura dell'estetista   che passa colate di cera rovente sulle mie gambe, il mio inguine e la mia potato per poi strappare tutto con un colpo secco tra urla e contorcimenti. Miei, certo non suoi! E` stato in quel momento che ho capito: cazzo, c'ho un cancro al seno a 30 anni, mi devono operare, tagliare un quarto di tetta e sventrarmi l'ascella e mi devo pure sottoporre alla tortura della ceretta o comunque starmi a preoccupare di rimuovere dal mio corpo una parte di me e cioe` i miei peli? Ma dove sta scritto che le donne devono essere glabre? E soprattutto a quelli o quelle che mi devono operare che cazzo gliene frega? "E` una questione di pulizia", dice mia madre. Quindi con i peli che sono parte di me, sarei sporca per costituzione? Meglio sporca che torturata allora! Tanto a me non piace molto nemmeno lavarmi e ungermi di cremine per essere piu` liscia e profumata. E faccio anche rutti e scorregge.
Da allora e` passato un po` tempo. L'estate scorsa ero ancora troppo debole di mente e spirito e ho ceduto al conformismo depilatorio, ma quest'anno sono decisa: io non mi depilo, no! E al mare ci vado coi peli! Nella mia vita il mio corpo ha gia` subito abbastanza violenze: il cancro, le "cure", ci manca solo la depilazione. A me il mio corpo piace cosi` com'e`, con un quarto di tetta in meno e coi peli. E questo basta. Come diceva mia nonna, chi si punge esca fuori: quelli a cui non sta bene se ne possono andare a fanculo.

lunedì 25 giugno 2012

Se questa e` una cura


Stanchezza cronica

Dolori alle ossa e crampi ai muscoli

Pelle e mucose secche inclusa la fica

Vampate di calore

Disturbi della visione

Bruciore agli occhi

Anemia

Anorgasmia

Zinne ammosciate

Infertilita`

Tachicardia

Disturbi dell’umore

Ritenzione di liquidi

Rischio di trombosi

Rischio di cancro dell’endometrio

Se questa e` una cura