Il titolo di questo post e` un omaggio al libro di Alberto Prunetti, Amianto. Una storia operaia [qui] che mi ha aiutata a fare ordine nella mia storia personale e in quella che mi appresto a raccontare.
Pepito e` un ometto brevilineo. Abita in Galizia, Spagna. Adora il pesce e i frutti di mare. E` iracondo, spesso bestemmia ma non e` cattivo. Tifa per il Real Madrid pur essendo socialista ma, si sa, nessuno e` perfetto.
Negli anni '70, sulla soglia dei 30, Pepito si trasferisce a Vigo dal paese dove e` nato e cresciuto. Fa diversi lavoretti e poi, finalmente, viene assunto non in cielo, che` a lui i preti non piacciono, ma niente di meno che alla Citroen. La casa automobilistica francese ha aperto lo stabilimento di Vigo negli anni '50, in pieno franchismo. Quando Pepito conosce e sposa Maria del Carmen, pero`, Franco e` gia` morto. E quando suo figlio Jose nasce, nel 1978, la transizione alla democrazia e` gia` in marcia.
Pepito va a lavorare a piedi. Abita vicino alla fabbrica, a Coia, un quartiere operaio. Suo figlio cresce, va a scuola, e` molto bravo. Dice che da grande vuole fare lo scienziato. I suoi genitori si mettono a ridere. Lo scienziato? Il figlio di un operaio? Che cosa ridicola! Pepito ride si, ma, in cuor suo, un poco ci crede. Quando torna dal lavoro ha la bocca tutta impastata perche` il suo compito e` mettere la colla agli interni delle macchine e ne respira i vapori, ma manda giu` tutto con qualche bicchiere di vino perche` i soldi servono. Per mangiare, per pagare la casa e per questo figlioletto sognatore.
Passano gli anni e le stagioni. Jose si laurea. Lavoro per lui a Vigo non ce n'e`, ne` suo padre vuole che vada a lavorare anche lui alla Citroen. E allora se ne va lontano, in Inghilterra. Continua a studiare. Un dottorato e, a seguire, il lavoro che voleva fare da bambino. Pepito e` orgoglioso. Ormai e` in pensione. Passa le giornate a passeggio con la moglie, a cucinare il pesce che tanto gli piace, in campagna a coltivare patate e verdure. La fotografia del figlio scattata il giorno della laurea sempre nel portafogli.
Un giorno e` nell'orto e sente che gli manca il respiro. Il cuore batte veloce veloce e la testa gli gira. Che strano, non sta facendo niente di particolarmente faticoso! E poi, lui problemi di cuore non ne ha, il fisico e` asciuttissimo e di energia ne ha da vendere. La dottoressa ordina alcune analisi da cui risulta un'anemia piuttosto severa. Pepito viene rivoltato come un calzino. Non ha niente se non l'anemia che, pero`, non migliora nemmeno col ferro. E` palliduccio e stanco il giorno in cui finalmente gli dicono quello che ha: una sindrome mielodisplastica, un gruppo di neoplasie del midollo osseo che aumenta il rischio di sviluppare la leucemia mieloide acuta e per cui non c'e` cura se non il trapianto. Si tratta di una malattia poco conosciuta che si manifesta in soggetti che hanno fatto chemioterapia per altri tumori o che sono stati esposti a sostanze tossiche come il benzene. C'entrera` tutta quella colla che Pepito ha respirato e Maria del Carmen ricorda molto bene perche` era impossibile staccarla dalle tute da lavoro? Non c'e` tempo per pensare a queste cose. Bisogna fermare la malattia. Iniezioni, analisi, biopsie, TAC, visite mediche, effetti collaterali, sudorazioni notturne. E tanta, tanta stanchezza.
La vita di Pepito diventa un tormento. Le stimolazioni del midollo osseo non fanno molto effetto e le trasfusioni lo ricaricano progressivamente per sempre meno giorni. All'anemia si aggiunge la piastrinopenia e, infine, arriva la proliferazione dei globuli bianchi. Blocco renale, ricovero, chemioterapia, altro ricovero, a casa e di nuovo in ospedale, trasfusioni, sangue dal naso, placche emorragiche. Infine, l'emorragia cerebrale causata dall'infiltrazione della sindrome mielodisplastica nei vasi sanguigni del cervello. Pepito non muore. L'emorragia si riassorbe, ma la vasculite cerebrale, gli infarti renali ed epatici multipli, il dimagrimento innarrestabile e la perdita di massa muscolare rivelano che per lui non c'e` piu` niente da fare. Sono le due e mezza dell'11 di febbraio quando, tra gli abbracci e i baci di suo figlio, muore.
Pepito era mio suocero e gli ero affezionata ma, con la malattia, e` diventato molto di piu`. Pepito e` un fratello di ingiustizia. La sua storia non finisce con la morte e saremo io e suo figlio a farla conoscere, per lui che in fabbrica ci ha lavorato e per chi, come me, pur non avendoci mai messo piede ne e` stato avvelenato lo stesso.
Pepito e` un ometto brevilineo. Abita in Galizia, Spagna. Adora il pesce e i frutti di mare. E` iracondo, spesso bestemmia ma non e` cattivo. Tifa per il Real Madrid pur essendo socialista ma, si sa, nessuno e` perfetto.
Negli anni '70, sulla soglia dei 30, Pepito si trasferisce a Vigo dal paese dove e` nato e cresciuto. Fa diversi lavoretti e poi, finalmente, viene assunto non in cielo, che` a lui i preti non piacciono, ma niente di meno che alla Citroen. La casa automobilistica francese ha aperto lo stabilimento di Vigo negli anni '50, in pieno franchismo. Quando Pepito conosce e sposa Maria del Carmen, pero`, Franco e` gia` morto. E quando suo figlio Jose nasce, nel 1978, la transizione alla democrazia e` gia` in marcia.
Pepito va a lavorare a piedi. Abita vicino alla fabbrica, a Coia, un quartiere operaio. Suo figlio cresce, va a scuola, e` molto bravo. Dice che da grande vuole fare lo scienziato. I suoi genitori si mettono a ridere. Lo scienziato? Il figlio di un operaio? Che cosa ridicola! Pepito ride si, ma, in cuor suo, un poco ci crede. Quando torna dal lavoro ha la bocca tutta impastata perche` il suo compito e` mettere la colla agli interni delle macchine e ne respira i vapori, ma manda giu` tutto con qualche bicchiere di vino perche` i soldi servono. Per mangiare, per pagare la casa e per questo figlioletto sognatore.
Passano gli anni e le stagioni. Jose si laurea. Lavoro per lui a Vigo non ce n'e`, ne` suo padre vuole che vada a lavorare anche lui alla Citroen. E allora se ne va lontano, in Inghilterra. Continua a studiare. Un dottorato e, a seguire, il lavoro che voleva fare da bambino. Pepito e` orgoglioso. Ormai e` in pensione. Passa le giornate a passeggio con la moglie, a cucinare il pesce che tanto gli piace, in campagna a coltivare patate e verdure. La fotografia del figlio scattata il giorno della laurea sempre nel portafogli.
Un giorno e` nell'orto e sente che gli manca il respiro. Il cuore batte veloce veloce e la testa gli gira. Che strano, non sta facendo niente di particolarmente faticoso! E poi, lui problemi di cuore non ne ha, il fisico e` asciuttissimo e di energia ne ha da vendere. La dottoressa ordina alcune analisi da cui risulta un'anemia piuttosto severa. Pepito viene rivoltato come un calzino. Non ha niente se non l'anemia che, pero`, non migliora nemmeno col ferro. E` palliduccio e stanco il giorno in cui finalmente gli dicono quello che ha: una sindrome mielodisplastica, un gruppo di neoplasie del midollo osseo che aumenta il rischio di sviluppare la leucemia mieloide acuta e per cui non c'e` cura se non il trapianto. Si tratta di una malattia poco conosciuta che si manifesta in soggetti che hanno fatto chemioterapia per altri tumori o che sono stati esposti a sostanze tossiche come il benzene. C'entrera` tutta quella colla che Pepito ha respirato e Maria del Carmen ricorda molto bene perche` era impossibile staccarla dalle tute da lavoro? Non c'e` tempo per pensare a queste cose. Bisogna fermare la malattia. Iniezioni, analisi, biopsie, TAC, visite mediche, effetti collaterali, sudorazioni notturne. E tanta, tanta stanchezza.
La vita di Pepito diventa un tormento. Le stimolazioni del midollo osseo non fanno molto effetto e le trasfusioni lo ricaricano progressivamente per sempre meno giorni. All'anemia si aggiunge la piastrinopenia e, infine, arriva la proliferazione dei globuli bianchi. Blocco renale, ricovero, chemioterapia, altro ricovero, a casa e di nuovo in ospedale, trasfusioni, sangue dal naso, placche emorragiche. Infine, l'emorragia cerebrale causata dall'infiltrazione della sindrome mielodisplastica nei vasi sanguigni del cervello. Pepito non muore. L'emorragia si riassorbe, ma la vasculite cerebrale, gli infarti renali ed epatici multipli, il dimagrimento innarrestabile e la perdita di massa muscolare rivelano che per lui non c'e` piu` niente da fare. Sono le due e mezza dell'11 di febbraio quando, tra gli abbracci e i baci di suo figlio, muore.
Pepito era mio suocero e gli ero affezionata ma, con la malattia, e` diventato molto di piu`. Pepito e` un fratello di ingiustizia. La sua storia non finisce con la morte e saremo io e suo figlio a farla conoscere, per lui che in fabbrica ci ha lavorato e per chi, come me, pur non avendoci mai messo piede ne e` stato avvelenato lo stesso.