di Ann Zeuner
Sono ospite di questo blog in qualità di ricercatrice nel campo della ricerca sul cancro e di paziente di tumore al seno. Il fatto di vivere sulla mia pelle una malattia che conosco bene dal punto di vista scientifico genera in me una grande varietà di emozioni: a volte la familiarità con le cellule tumorali mi aiuta a gestire meglio la paura, altre volte non ne posso più di passare la giornata a studiarle e vorrei cambiare mestiere (ma non lo faccio, per passione e ostinazione).
L’aspetto con cui trovo più difficoltà nella doppia veste di ricercatrice/paziente è la consapevolezza che le cellule del tumore possono insediarsi in varie parti del corpo e rimanere inattive per molti anni mantenendo però la capacità di risvegliarsi e formare metastasi. Nel caso del tumore al seno è stato dimostrato che le cellule tumorali sparse per il corpo possono risvegliarsi fino a vent’anni dopo l’asportazione del tumore primario [qui], aprendo per noi pazienti una lunghissima prospettiva di insicurezza e paura.
Fino a pochi anni fa si credeva che il processo con cui le cellule tumorali raggiungono altre parti del corpo, chiamato disseminazione, avvenisse a partire da tumori già grandi. Invece è stato dimostrato recentemente che la disseminazione avviene in una fase molto precoce dello sviluppo del tumore, quindi è probabile che tutti i pazienti operati continuino a portare dentro di sé per molti anni un certo numero di cellule tumorali. A livello di ricerca, negli ultimi anni l’attenzione si sta focalizzando sempre di più su queste cellule tumorali disseminate nei vari organi e sui meccanismi che possono risvegliarle o viceversa farle rimanere inattive per sempre.
La terapia ormonale in molti casi è efficace nel mantenere dormienti per molti anni le cellule disseminate nelle pazienti con tumori positivi per il recettore degli estrogeni. Tuttavia, i fattori che possono influenzare la possibilità delle cellule tumorali di risvegliarsi e generare metastasi sono tanti: alcuni non sono stati ancora scoperti, altri si sospettano, altri ancora sono stati capiti, ma l’informazione ci mette molto tempo a passare dagli studi scientifici alle prescrizioni mediche e infine alla vita quotidiana dei pazienti.
A questo proposito, solo in tempi recenti l’attenzione dei ricercatori si è spostata dallo studiare unicamente la cellula tumorale a considerare ciò che la circonda, il cosiddetto microambiente. E nonostante alcuni scienziati visionari come Mina Bissell lo sostenessero già da alcuni decenni, si è ri-scoperto che il microambiente svolge un ruolo fondamentale nel coadiuvare la crescita tumorale. Ora si sa anche che il microambiente regola la quantità di cellule staminali presenti nel tumore, la possibilità che le cellule tumorali vengano raggiunte dal sistema immunitario e la resistenza del tumore alle terapie.
Da parte mia, aspetto con impazienza che la ricerca biomedica prenda in considerazione, oltre al microambiente, il fatto che esiste un macroambiente rappresentato da tutto il corpo del paziente (incluso il cervello e la sfera psicologico/emotiva) e un super-ambiente costituito dal contesto sociale in cui il paziente vive. E’ probabile che un giorno i meccanismi con cui tutti questi elementi influenzano il rischio che il cancro possa comparire (o ricomparire) saranno riconosciuti e integrati nella pratica clinica. Ma, come dice il futuro re Aragorn prima della battaglia decisiva del Signore degli Anelli, non è questo il giorno.
Sono ospite di questo blog in qualità di ricercatrice nel campo della ricerca sul cancro e di paziente di tumore al seno. Il fatto di vivere sulla mia pelle una malattia che conosco bene dal punto di vista scientifico genera in me una grande varietà di emozioni: a volte la familiarità con le cellule tumorali mi aiuta a gestire meglio la paura, altre volte non ne posso più di passare la giornata a studiarle e vorrei cambiare mestiere (ma non lo faccio, per passione e ostinazione).
L’aspetto con cui trovo più difficoltà nella doppia veste di ricercatrice/paziente è la consapevolezza che le cellule del tumore possono insediarsi in varie parti del corpo e rimanere inattive per molti anni mantenendo però la capacità di risvegliarsi e formare metastasi. Nel caso del tumore al seno è stato dimostrato che le cellule tumorali sparse per il corpo possono risvegliarsi fino a vent’anni dopo l’asportazione del tumore primario [qui], aprendo per noi pazienti una lunghissima prospettiva di insicurezza e paura.
Fino a pochi anni fa si credeva che il processo con cui le cellule tumorali raggiungono altre parti del corpo, chiamato disseminazione, avvenisse a partire da tumori già grandi. Invece è stato dimostrato recentemente che la disseminazione avviene in una fase molto precoce dello sviluppo del tumore, quindi è probabile che tutti i pazienti operati continuino a portare dentro di sé per molti anni un certo numero di cellule tumorali. A livello di ricerca, negli ultimi anni l’attenzione si sta focalizzando sempre di più su queste cellule tumorali disseminate nei vari organi e sui meccanismi che possono risvegliarle o viceversa farle rimanere inattive per sempre.
La terapia ormonale in molti casi è efficace nel mantenere dormienti per molti anni le cellule disseminate nelle pazienti con tumori positivi per il recettore degli estrogeni. Tuttavia, i fattori che possono influenzare la possibilità delle cellule tumorali di risvegliarsi e generare metastasi sono tanti: alcuni non sono stati ancora scoperti, altri si sospettano, altri ancora sono stati capiti, ma l’informazione ci mette molto tempo a passare dagli studi scientifici alle prescrizioni mediche e infine alla vita quotidiana dei pazienti.
A questo proposito, solo in tempi recenti l’attenzione dei ricercatori si è spostata dallo studiare unicamente la cellula tumorale a considerare ciò che la circonda, il cosiddetto microambiente. E nonostante alcuni scienziati visionari come Mina Bissell lo sostenessero già da alcuni decenni, si è ri-scoperto che il microambiente svolge un ruolo fondamentale nel coadiuvare la crescita tumorale. Ora si sa anche che il microambiente regola la quantità di cellule staminali presenti nel tumore, la possibilità che le cellule tumorali vengano raggiunte dal sistema immunitario e la resistenza del tumore alle terapie.
Da parte mia, aspetto con impazienza che la ricerca biomedica prenda in considerazione, oltre al microambiente, il fatto che esiste un macroambiente rappresentato da tutto il corpo del paziente (incluso il cervello e la sfera psicologico/emotiva) e un super-ambiente costituito dal contesto sociale in cui il paziente vive. E’ probabile che un giorno i meccanismi con cui tutti questi elementi influenzano il rischio che il cancro possa comparire (o ricomparire) saranno riconosciuti e integrati nella pratica clinica. Ma, come dice il futuro re Aragorn prima della battaglia decisiva del Signore degli Anelli, non è questo il giorno.