"Sono diventata, quasi da un giorno all’altro, una marginale. Marginale rispetto alla popolazione sana, perché ho un cancro. Marginale rispetto alle donne con un cancro al seno perché sono molto giovane. Marginale rispetto alla mia cerchia di amicizie composta da trentenni perché tutto ciò che caratterizza socialmente questa categoria anagrafica mi è diventato di difficile accesso: una vita sessuale soddisfacente, un rapporto di coppia, matrimonio, figli, casa di proprietà, un lavoro a tempo indeterminato. Marginale rispetto alle pazienti giovani con un cancro al seno perché il mio è metastatico. Cosa che mi colloca in quel margine dei margini verso cui nessuno vuole allungare lo sguardo, dove non vale lo stereotipo del cancro al seno come piccola e inoffensiva malattia da cui ormai si guarisce tanto facilmente".
Sono queste le parole con cui Maëlle racconta il suo ingresso nel mondo del cancro che stravolge completamente il suo sguardo sulla società e sul ruolo che occupa in essa. Da giovane donna 'normale' e normata, Maëlle si ritrova catapultata al margine e da lì non solo osserva, ma si posiziona criticamente nei confronti del cancro al seno e di tutto ciò che ci gira intorno. Lo fa attraverso un podcast, che cura insieme all'antropologa Mounia El Koutni, conosciuta dopo 2 anni e mezzo di malatta, e che si intitola in francese Impatiente, proprio per sottolinearne il carattere poco consono al canone della mansuetine costruito addosso alla paziente modello.
Una voce capace di ricordarci che siamo prima di tutto persone e cittadine. Che è inaccettabile il modo in cui si continua a perpetuare l’oppressione economica delle donne persino quando affrontano la prova del cancro – mi sentite aziende produttrici di cosmetici ad hoc e sponsor dell’Ottobre rosa?
Una voce che risponda alla pletora di testimonianze edificanti sul cancro come 'opportunità' che permette a warriors, survivors e altre eroine di scoprire in sé risorse insospettate, per poi coronare il tutto con il lancio sul mercato di una linea di foulard speciali per donne in chemioterapia. Un bel circolo vizioso.
Una voce che ripeta fino all’esaurimento che il cancro non è mai un’opportunità.
Che ogni paziente deve essere rispettata, che ogni violenza va denunciata, che la gratuità delle cure non giustifica in nessun caso il mancato rispetto del consenso.
Una voce, la mia, che vi dice: 'Non voglio vivere una vita da donna. Voglio vivere e basta'".
Così il progetto di podcast è stato presentato a varie società di produzione, come racconta Mounia El Kotnie, in quello che è poi diventato più recentement un libro, uscito prima in Francia e adesso anche in Italia con il titolo "Im/paziente. Un'esplorazione femminista del cancro al seno", nella traduzione di Silvia Nugara, grazie alla casa editrice Capovolte. Maëlle è morta prima di vedere la pubblicazione di entrambe le edizioni e questo rende il libro ancora più importante perchè ce ne fa arrivare la voce, insieme ad altri materiali inediti raccolti con minuzia da Mounia.
Anni fa, anche noi avevamo proposto a due grosse case editrici un progetto molto simile. Il direttore editoriale di una delle due, ci rispose che il progetto era davvero bello ma che, secondo lui, il pubblico italiano non vuole sentire dirsi la verità sul cancro al seno. Quella email ci sembrò intrisa di tutta la miopia e il provincialismo dell'industria culturale italiana che, fino ad ora, non è stata capace di proporre una visione del cancro al seno - e non solo - anche solo minimamente fuori dagli schemi. Solo una casa editrice fieramente femminista come Capovolte, allora, poteva regalarci il libro di Maëlle e Mounia, uno strumento essenziale per capire, far capire e continuare, su scala più grande, il lavoro che in piccolo ha iniziato questo blog, ormai più di dieci anni fa e a cui Silvia Nugara aveva già contribuito organizzando una proiezione/dibattito di Pink Ribbons Inc. a Torino.
"A volte è bello essere estremiste. Abbiamo bisogno di essere estremiste per cambiare e far cambiare le cose", aveva detto una volta Maëlle alla sua amica Aurélia. Non potremmo essere più d'accordo e siamo grate a Capovolte e a coloro che ci hanno consegnato, anche il italiano, il testamento di chi, pur vittima dell'ingiustizia suprema com'è vedersi negare il diritto a vivere in giovane età, non ha voluto rinunciare a contribuire a cambiare le cose.