Estate. Una sera di luglio. Caldo torrido. A stento si respira. Il mal di denti sembra ancora piu` insistente nella cappa di umido che ti si appiccica addosso. Maledetto il dentista inglese che mi ha lasciato la guerra in bocca costringendomi a ingoiare per giorni un antidolorifico dietro l’altro!
Sono a casa, in Italia, adesso. Per fortuna. Un
altro medico mi visitera` presto. Decido di fare una passeggiata per rivedere
il natio borgo selvaggio e scaricare il nervosismo. Percorro le strade dell’adolescenza,
quelle che mi portavano scuola. Mi sembra di rivedere le compagne e i compagni
di classe che incontravo lungo il tragitto. Succede ogni volta che gironzolo in
quelle zone. E ogni volta, un velo di nostalgia mi copre gli occhi. Non mi
mancava la mia citta` di origine prima di ammalarmi. Il cancro pero` ti priva
del futuro e ridisegna il passato. Lo riplasma, proiettandolo in una luce
mitica e facendolo apparire felice e spensierato solo perche`, allora, la
malattia non c’era.
Ecco che sono davanti all’unica buona libreria
della citta`. Ovviamente l’hanno aperta quando ero gia` partita. Entro, come sempre quando ritorno. C’era un libro di cui avevo
letto delle recensioni online. Un libro su una madre che muore e suo figlio,
Mattia. Si chiama L’Invenzione della madre
e l’autore e` un esordiente, Marco Peano (qui). E` uscito con Minimum Fax, una casa
editrice indipendente, che pubblica parecchie cose interessanti. Non voglio
chiedere al librario se ce l’abbiano in negozio. Che sfizio ci sarebbe? Mi
aggiro tra gli scaffali. Del libro pero` non c’e` traccia. Sto per imbroccare
l’uscita quando, accanto alla porta, intercetto con lo sguardo una pila di
copie. Sopra al mobile, la scritta “i piu` letti”. Comincio a sfogliare il
volume. In epigrafe, una frase di un tale Donald Antrim (scopriro` solo in
seguito, grazie a Google, che si tratta di uno scrittore statunitense):
“La storia del deterioramento di mia madre, durato
una vita, e`, per alcuni versi, la storia della sua vita stessa. La storia della
mia vita e` intrinsecamente legata a questa storia, la storia del suo
deterioramento. E` la storia intorno alla quale ruota costantemente il mio modo
di percepire me stesso e gli altri. Sara` questa storia, o in ogni caso il mio
ruolo in questa storia, a permettermi di non perdere mia madre”
Quella parola, deterioramento, mi manda il cuore
in subbuglio. Mi tuffo nel libro, investita dai caratteri e dalla luce che
riflette sul bianco delle pagine. Ne cerco un’altra. Una parola conosciuta e orrenda.
Ed eccola che mi esplode dentro. Cancro. Continuo quella che mi sembra una
corsa disperata alla ricerca della verita`. La stessa verita` crudele
rivelatami da una dottoressa prostrata e incredula qualche mese dopo il mio
trentesimo compleanno, ormai cinque anni fa. E la verita` e` quella che
sospettavo. Un cancro al seno, seguito, dopo anni di interventi chirurgici,
terapie e speranze, da una ricomparsa della malattia al cervello. E` troppo. Le
lacrime mi invadono la faccia. Ripongo il libro dov’era e scappo. Corro via,
veloce. Voglio sentire che ce la faccio ancora. Sono gia` abbastanza lontana
quando mi fermo e mi rendo conto che non posso voltare le spalle alla storia di
quella donna e di suo figlio. A cosa servirebbe? Forse ad azzerare magicamente
le possibilita` che anche io mi riammali e muoia? Certo che no. E che dire del
dovere morale di porgere orecchie e cuore a chi ha percorso un cammino piu`
accidentato di quanto sia stato il mio sino ad ora?
Torno indietro. Rientro nel negozio. Il libraio mi
guarda. Forse pensa che io sia una squilibrata, ma non me importa. Afferro una
copia e mi avvicino alla cassa. Pago. Prendo la busta. Rifaccio, questa volta
camminando, il tragitto percorso poco prima correndo come una forsennata e il
tratto che resta per arrivare a casa. Suono il campanello. C’e` mia madre ad
aprirmi la porta. Da brava bibliofila, riconosciuta la busta della libreria, mi
chiede avida cosa ho comprato. Risposta secca: “ un libro che non devi leggere”.
Mi chiudo in camera. Appoggio il libro sul comodino.
Piu` tardi, prima di mettermi a letto, lo guardo. No, non ho il coraggio.
Leggero` l’ebook che ho scaricato ieri. Sara` cosi` per una settimana intera. Finche`
una sera non mi decido. Inizio la lettura e non riesco piu` a smettere.
Il deterioramento della madre – il cui nome non
viene mai fatto, come se il narratore volesse mettere una distanza tra se` e la
di lei vicenda – viene descritto con precisione chirurgica, al pari dei cambiamenti, dolorosi, occorsi nella vita
della famiglia della donna durante il suo ultimo anno di vita. Un tema
difficile, scomodo che l’autore affronta con maestria, supportato da un
coraggio editoriale che raramente si vede in Italia. Non sono un’esperta, ma
credo si tratti del primo libro italiano che abbia per oggetto principale la
morte per cancro di una donna e i faticosi tentativi di elaborare il lutto da
parte di suo figlio. Eppure si tratta di un’esperienza comune a moltissime
persone ed era ora che qualcuno si decidesse a raccontarla. Chiunque abbia
avuto a che fare con il cancro, a prescindere dall’esito, deve molto a Marco
Peano. Ed e` per questo che vi chiedo di votare L’invenzione della madre - che ha gia` fruttato al suo autore il
meritatissimo Premio Volponi Opera Prima 2015 - come libro dell’anno per la
trasmissione Fahrenheit di Radio Tre. Per farlo inviate, entro il 7 dicembre
(ma fatelo subito, altrimenti ve ne scordate), una mail all’indirizzo fahre@rai.it con oggetto "Libro
dell'anno". Nel testo della mail, invece, scrivete “L'invenzione della
madre, Marco Peano, minimum fax”. E ovviamente comprate il libro, leggetelo e
fatelo leggere.
Ascolta l'intervista a Marco Peano a Fahrenheit (qui)
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