Questa mattina sono stati celebrati i funerali della nostra cara Vania Sordoni. Vania e` morta di cancro al seno a soli 57 anni. Vania e` stata un'infaticabile attivista per le donne con cancro al seno metastatico, il che vuole dire per tutte noi visto che il cancro al seno, a prescindere dallo stadio alla diagnosi, da luogo a metastasi in circa il 30% dei casi e non e` possibile sapere se si sara` dal lato buono o cattivo della statistica.
L'anno scorso Vania era stata tra le organizzatrici del flash mob-die in che si e` tenuto a Milano il 13 ottobre in occasione di quella che negli Stati Uniti e` la giornata del cancro al seno metastatico. Qualche giorno prima Andrea Capocci, fisico, insegnante e giornalista l'aveva intervistata. Per una serie di circostanze, l'intervista non era stata pubblicata. Saputo della morte di Vania, Andrea ce ne ha inviato il testo che pubblichiamo qui sotto.
Ad Andrea un sentito grazie. A Vania tutto il nostro amore.
L'anno scorso Vania era stata tra le organizzatrici del flash mob-die in che si e` tenuto a Milano il 13 ottobre in occasione di quella che negli Stati Uniti e` la giornata del cancro al seno metastatico. Qualche giorno prima Andrea Capocci, fisico, insegnante e giornalista l'aveva intervistata. Per una serie di circostanze, l'intervista non era stata pubblicata. Saputo della morte di Vania, Andrea ce ne ha inviato il testo che pubblichiamo qui sotto.
Ad Andrea un sentito grazie. A Vania tutto il nostro amore.
“Oltre il nastro rosa”, un flashmob contro
il cancro
Intervista a Vania Sordoni, matematica e
attivista contro una malattia che fa dodicimila vittime ogni anno.
di Andrea Capocci
di Andrea Capocci
Ottobre è il “mese della prevenzione contro il
cancro al seno”. Queste ricorrenze appaiono spesso rituali e su un tema come il
cancro al seno in tante e in tanti pensano di sapere già abbastanza. In fondo,
tra i quaranta e i settant’anni di età la maggior parte delle donne si
sottopone a esami preventivi gratuiti e un giorno sì e l’altro pure arrivano
news su farmaci innovativi e guarigioni in crescita. Ma i dati dicono anche
altro, e nell’ottimismo di cui siamo avidi tendiamo a ignorare le notizie che
non ci piacciono. Per sensibilizzare su un tema piuttosto scomodo, sabato 13
alle 12 a Milano, in piazza Gae Aulenti, si svolgerà un flashmob sotto lo
slogan “Oltre il nastro rosa”. I dettagli dell’appuntamento sono su Facebook.
Per spiegare le ragioni della mobilitazione, abbiamo parlato direttamente con
Vania Sordoni, matematica dell’università di Bologna, malata di cancro al seno
metastatico e una delle organizzatrici del flashmob.
Come nasce la mobilitazione?
Nasce su Internet, da un gruppo Facebook a cui
partecipano oltre duecento donne malate di cancro al seno metastatico per
scambiare informazioni e aiuto psicologico. Ci siamo rese conto che la nostra è
una realtà un po’ nascosta, che non si vuole vedere volentieri.
Nel 2010 Berlusconi annunciò che il suo
governo avrebbe sconfitto il cancro in tre anni. In effetti, a ritmo quotidiano
ci sono notizie ottimistiche sulla lotta al cancro: nuovi farmaci, nuove
terapie. La realtà?
Le statistiche parlano di un tasso di
sopravvivenza dell’87% dopo cinque anni e dell’80% a dieci, e farebbero pensare
che guarire sia facile. In realtà, i farmaci hanno spinto in avanti il periodo
in cui il tumore diventa metastatico, per cui molte donne risultano guarite
dopo cinque o dieci anni ma non lo sono affatto. Inoltre, le percentuali sono
alzate dai molti tumori “in situ” (cioè localizzati) rilevati con lo
screening mammografico, che non metastatizzano. Nel complesso, per cancro al
seno metastatico muoiono circa dodicimila donne l’anno.
C’è un legame tra l’eccesso di ottimismo e
la ricerca di cure “alternative” ma illusorie?
La mortalità per il tumore al seno non è
diminuita molto dal 2000 a oggi. Nel frattempo c’è stata una diffusione delle
cosiddette medicine “alternative”. Spesso sono promosse da veri e propri
ciarlatani, che convincono molte donne di essere in grado di aumentare
l’efficacia delle terapie a cui si sottopongono. Noi invitiamo tutte a
confrontarsi con la letteratura scientifica, ma è difficile impedire che molte
pazienti si affidino a questi personaggi. Il metodo “Di Bella” non è affatto
scomparso, anzi.
Allo screening mammografico si sottopongono
i tre quarti delle donne italiane, con punte vicine al 100% al nord. Con quali
risultati?
Grazie allo screening si individuano molti
tumori in più. Si prevede che tra il 2017 e il 2018 i nuovi casi aumentino da
50500 a 52800. Aumentano le diagnosi al nord rispetto al sud. Si attribuisce il
dato a una presunta migliore qualità della vita, ma temo che dipenda solo dalla
bassa percentuale di donne che si sottopone allo screening al sud (meno del
60%, n.d.r.). Tuttavia, ci si ammala prima e dopo l’età dello screening, tra un
esame e l’altro, e in molti casi i tumori possono metastatizzare anche prima di
ingrandirsi e diventare visibili. Per questo lo screening non abbassa di molto
la mortalità. Bisognerebbe fare prevenzione, invece c’è solo la diagnosi
precoce. Sulla prevenzione c’è poca ricerca se non sul piano genetico, e si sa
ancora troppo poco delle cause dei tumori.
Cosa chiedete al sistema sanitario?
Per una donna ammalata di cancro al seno
metastatico, il percorso terapeutico è spersonalizzante. Non abbiamo a che fare
un medico, ma con team di sei o sette persone, di cui magari tre sono
specializzandi inesperti. Capiamo le ragioni organizzative, e quando si tratta
di gestire la routine non è un problema. Ma chi ha un cancro metastatico vive molti
momenti di stress: i risultati degli esami sono spesso complicati, e ci sono
frequenti decisioni importanti da prendere. In quel caso, vorremmo avere a che
fare con un medico di riferimento che conosce il caso e lo segue, non con il
dottore di turno. Perciò, molte si rivolgono alla sanità privata, con un costo
economico molto elevato.
È una malattia che colpisce le donne.
Questo influisce sulla sua percezione sociale?
Se ne sottovalutano alcune conseguenze. Ad
esempio, moltissime donne devono lasciare il lavoro, perché le terapie non sono
compatibili, e ne subiscono le conseguenze sul piano umano ed economico. Ma
dato che si tratta di lavoro femminile, questi effetti sono sottovalutati,
mentre richiederebbero maggiore attenzione.
Siete pazienti, ma avete chiesto che al
flashmob non si mostrino magliette o simboli delle associazioni dei pazienti. È
una critica al mondo delle associazioni.
No, anche se forse alle associazioni
rimproveriamo l’eccessiva enfasi sui benefici della diagnosi precoce. Però
sottolineiamo un problema: una donna malata di cancro metastatico è un problema
anche nelle associazioni di pazienti che, anche comprensibilmente, cercano di
convincere che dal cancro si guarisce. Per una donna guarita da un cancro al seno
e che fonda un’associazione per aiutarne altre, una donna metastatica è un
incubo, ancor più che per una donna sana. Perché ricordiamo che la malattia può
tornare, anche dopo anni. Perciò veniamo spesso messe ai margini. Noi vorremmo
che nessuna donna abbassasse la guardia, e che servizi e assistenza tenessero
conto anche di chi si trova nella nostra situazione.
Per esempio?
C’è la questione dei trial clinici, le
sperimentazioni sui nuovi farmaci. Entrare in un trial per noi è una fonte di
speranza importante. Però lo sviluppo di un farmaco dura anni e entrare in
queste sperimentazioni è difficile. O si è seguiti da una struttura che
partecipa a una sperimentazione, o difficilmente un medico propone alla
paziente un trial che si svolge lontano, perché la gestione diventa troppo
onerosa. Così molte di noi vagano da una struttura all’altra, sperando di
trovare quella giusta al momento giusto, quello in cui si avvia una
sperimentazione. Sarebbe fondamentale avere un servizio di raccolta e
diffusione delle informazioni sui trial accessibile a tutte. C’è un disegno di
legge al Senato presentato da Francesca Puglisi nella scorsa legislatura e ora
ripreso da Paola Boldrini, e uno analogo presentato alla Camera da Luca Rizzo
Nervo, sempre del PD. Vedremo cosa ne farà il Parlamento.