A chi taccia i napoletani o piu` in generale i campani o i meridionali di immobilismo consiglio la visione di questo film, Le Quattro Giornate di Napoli. Racconta un pezzo della storia d'Italia e d'Europa che si e` voluto cancellare o comunque privare dell'importanza che invece merita. Anche attraverso la negazione della partecipazione alla Resistenza degli abitanti di Napoli e del Mezzogiorno o il riduzionismo di cui e` stata fatta oggetto, e` passata l'idea che i "meridionali" siano privi di coscienza civile e politica, pronti solo a chinare il dorso a ricchi e potenti per un piatto di lenticchie. Tutto questo e` falso. Ce lo insegna la storia, ma anche il presente. Il presente e` un Sud che resiste, ancora una volta. Un Sud martoriato che non ci sta, che non ha nessuna intenzione di fare finta di niente. Vorrei poter essere a Napoli domani, 16 novembre, e sentire l'afflato del movimento contro il biocidio. Vorrei essere li`, per poter dire, ancora una volta "Ora e sempre Resistenza".
venerdì 15 novembre 2013
16 Novembre a Napoli - Ora e sempre Resistenza
A chi taccia i napoletani o piu` in generale i campani o i meridionali di immobilismo consiglio la visione di questo film, Le Quattro Giornate di Napoli. Racconta un pezzo della storia d'Italia e d'Europa che si e` voluto cancellare o comunque privare dell'importanza che invece merita. Anche attraverso la negazione della partecipazione alla Resistenza degli abitanti di Napoli e del Mezzogiorno o il riduzionismo di cui e` stata fatta oggetto, e` passata l'idea che i "meridionali" siano privi di coscienza civile e politica, pronti solo a chinare il dorso a ricchi e potenti per un piatto di lenticchie. Tutto questo e` falso. Ce lo insegna la storia, ma anche il presente. Il presente e` un Sud che resiste, ancora una volta. Un Sud martoriato che non ci sta, che non ha nessuna intenzione di fare finta di niente. Vorrei poter essere a Napoli domani, 16 novembre, e sentire l'afflato del movimento contro il biocidio. Vorrei essere li`, per poter dire, ancora una volta "Ora e sempre Resistenza".
venerdì 8 novembre 2013
Una pattumiera chiamata Sud
Le dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone, rese nel 1997 alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti, le ho lette domenica scorsa (leggile qui). Dalla prima all'ultima pagina, senza staccare gli occhi dallo schermo. E` stata una discesa agli inferi, culminata con una crisi di pianto. Per la prima volta, da quando ho scoperto di avere il cancro 3 anni fa, mi sono ritrovata a pensare che non c'e` scampo, ne` per noi, ne` per le generazioni future.
Vivo all'estero e non posso dire con certezza che i media italiani non abbiano dedicato alla vicenda la copertura che meritava. Tuttavia, ho chiesto a piu` di una persona e spulciato i giornali online. La sensazione che ne ho tratto e` stata quella dell'insabbiamento. Sul sito di Repubblica, ad esempio, la desecretazione delle dichiarazioni di Schiavone, non hai mai raggiunto nemmeno la quarta posizione. Non mi sorprende. La notizia (qui) che il proprietario del gruppo L'Espresso, Carlo De Benedetti, e` indagato, insieme a Corrado Passera, per 20 morti causate dall'amianto alla Olivetti, e` stata relegata tra i fatti di cronaca dell'edizione torinese.
"La vicenda e` iniziata nel 1988" - spiega Schiavone al presidente della Commissione Massimo Scalia, fondatore di Legambiente - "all'epoca mi trovavo a Otranto e vennero da me l'avvocato Pino Borsa e Pasquale Pirolo, i quali mi fecero una proposta relativa allo scarico di fusti tossici e quant'altro. Poiche` mi ero interessato dei rilevati della superstrada in costruzione, nonche` del gruppo Italstrade e di altre societa` come la Ferlaino e la CABIB, che all'epoca stavano operando ai Regi Lagni, dissi che vi erano 240 ettari di terreno scavati alla profondita` di circa 15-20 metri ed assicurai che avrei parlato con tutti, anche perche` facevo parte del reparto amministrativo del clan, non di quello militare. Andai allora a Casal di Prinicipe, dove c'erano Mario Iovine e mio cugino; parlammo tutti e tre del fatto che avevo ricevuto una proposta relativa allo scarico di fusti e casse che venivano da fuori. Mi si rispose che sarebbe stato un buon business per far entrare nelle casse del clan soldi da investire, ma il paese sarebbe stato avvelenato, perche` i rifiuti avrebbero inquinato le falde acquifere: infatti, molti degli scavi gia` realizzati erano limitrofi alle stesse falde acquifere".
Il racconto di Schiavone assume toni da film dell'orrore: il pentito parla di fanghi nucleari provenienti dalla Germania e smaltiti nelle discariche, di materiali tossici smaltiti illegalmente da fabbriche di Arezzo ma anche di Massa Carrara, Genova, La Spezia, Milano. Si trattava di "rifiuti di lavorazione di tutte le specie". A partire dal 1990 il traffico ha cominciato ad essere gestito dal clan dei Casalesi, secondo Schiavone (arrestato poi nel 1992) il quale tuttavia precisa: "[...] quel traffico veniva gia` effettuato e gli abitanti del paese rischiano tutti di morire di cancro entro 20 anni; non credo, infatti, che si salveranno gli abitanti di paesi come Casapenna, Casal di Principe, Castel Volturno e cosi` via avranno forse venti anni di vita!". Un traffico di proporzioni enormi: "Qui si parla di milioni [di tonnellate di rifiuti], non di migliaia. [...] Si tratta di milioni e milioni di tonnellate. Io penso che per bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato di un anno."
Fin qui Schiavone si riferisce alla zona di sua "competenza", comprendente le province di Benevento e Caserta e delimitata a Nord dalla provincia di Latina inclusa e a est dal Molise, anch'esso incluso. Il racconto,tuttavia, prosegue. Si scopre allora che in Sicilia si faceva lo stesso, cosi` come in Salento e nelle provincie di Bari e Foggia. "Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non e` che li rifiutassero i soldi. Che poteva importargli a loro se la gente moriva o non moriva. L'essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1992, la zona del sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia". Tutto con l'accordo e la collaborazione delle amministrazioni locali, ovviamente: "Noi 'facevamo' i sindaci [...] di qualunque colore fossero". Incalzato dal Presidente, Schiavone fa i nomi di esponenti politici di rilievo.
Sono passati sedici anni da quando Schiavone ha reso quelle dichiarazioni. Sedici lunghi anni, nel corso dei quali niente e` stato fatto per impedire che l'avvelenamento sistematico delle popolazioni del Sud Italia venisse fermato. Sedici anni, durante i quali, le dichiarazioni di Schiavone sono state tenute nascoste. La giornalista, Laura Eduati, ne ha chiesto le ragioni allo stesso Massimo Scalia il quale si e` difeso (qui) sostenendo che c'erano, all'epoca, indagini in corso da parte della magistratura e scaricando le responsabilita` sui cittadini, colpevoli ai suoi occhi, di essersi svegliati solo adesso. E` un vecchio ritornello razzista, quello dell'immobilismo e dell'indifferenza degli abitanti del Sud Italia. Scalia non e` affatto originale in questo. E il suo, alla fine, e` un razzismo vecchio stampo. Maggiore attenzione meriterebbe, invece, il fenomeno del razzismo ambientale cui questa storia terrificante ci mette di fronte. Il Sud e` stato trasformato in una gigantesca pattumiera, carica di rifiuti provenienti dal Nord dell'Europa, compreso il Nord dell'Italia. Come la Somalia, ex colonia italiana, anch'essa destinataria di residui industriali che ne stanno distruggendo l'ecosistema. Una vicenda che la giornalista Ilaria Alpi aveva scoperto e avrebbe portato alla luce se non le avessero chiuso la bocca a colpi di kalashnikov il 20 marzo del 1994. Aveva 33 anni, Ilaria. La stessa eta` che ho io adesso e, sinceramente, non mi sento piu` viva di lei.
Vivo all'estero e non posso dire con certezza che i media italiani non abbiano dedicato alla vicenda la copertura che meritava. Tuttavia, ho chiesto a piu` di una persona e spulciato i giornali online. La sensazione che ne ho tratto e` stata quella dell'insabbiamento. Sul sito di Repubblica, ad esempio, la desecretazione delle dichiarazioni di Schiavone, non hai mai raggiunto nemmeno la quarta posizione. Non mi sorprende. La notizia (qui) che il proprietario del gruppo L'Espresso, Carlo De Benedetti, e` indagato, insieme a Corrado Passera, per 20 morti causate dall'amianto alla Olivetti, e` stata relegata tra i fatti di cronaca dell'edizione torinese.
"La vicenda e` iniziata nel 1988" - spiega Schiavone al presidente della Commissione Massimo Scalia, fondatore di Legambiente - "all'epoca mi trovavo a Otranto e vennero da me l'avvocato Pino Borsa e Pasquale Pirolo, i quali mi fecero una proposta relativa allo scarico di fusti tossici e quant'altro. Poiche` mi ero interessato dei rilevati della superstrada in costruzione, nonche` del gruppo Italstrade e di altre societa` come la Ferlaino e la CABIB, che all'epoca stavano operando ai Regi Lagni, dissi che vi erano 240 ettari di terreno scavati alla profondita` di circa 15-20 metri ed assicurai che avrei parlato con tutti, anche perche` facevo parte del reparto amministrativo del clan, non di quello militare. Andai allora a Casal di Prinicipe, dove c'erano Mario Iovine e mio cugino; parlammo tutti e tre del fatto che avevo ricevuto una proposta relativa allo scarico di fusti e casse che venivano da fuori. Mi si rispose che sarebbe stato un buon business per far entrare nelle casse del clan soldi da investire, ma il paese sarebbe stato avvelenato, perche` i rifiuti avrebbero inquinato le falde acquifere: infatti, molti degli scavi gia` realizzati erano limitrofi alle stesse falde acquifere".
Il racconto di Schiavone assume toni da film dell'orrore: il pentito parla di fanghi nucleari provenienti dalla Germania e smaltiti nelle discariche, di materiali tossici smaltiti illegalmente da fabbriche di Arezzo ma anche di Massa Carrara, Genova, La Spezia, Milano. Si trattava di "rifiuti di lavorazione di tutte le specie". A partire dal 1990 il traffico ha cominciato ad essere gestito dal clan dei Casalesi, secondo Schiavone (arrestato poi nel 1992) il quale tuttavia precisa: "[...] quel traffico veniva gia` effettuato e gli abitanti del paese rischiano tutti di morire di cancro entro 20 anni; non credo, infatti, che si salveranno gli abitanti di paesi come Casapenna, Casal di Principe, Castel Volturno e cosi` via avranno forse venti anni di vita!". Un traffico di proporzioni enormi: "Qui si parla di milioni [di tonnellate di rifiuti], non di migliaia. [...] Si tratta di milioni e milioni di tonnellate. Io penso che per bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato di un anno."
Fin qui Schiavone si riferisce alla zona di sua "competenza", comprendente le province di Benevento e Caserta e delimitata a Nord dalla provincia di Latina inclusa e a est dal Molise, anch'esso incluso. Il racconto,tuttavia, prosegue. Si scopre allora che in Sicilia si faceva lo stesso, cosi` come in Salento e nelle provincie di Bari e Foggia. "Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non e` che li rifiutassero i soldi. Che poteva importargli a loro se la gente moriva o non moriva. L'essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1992, la zona del sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia". Tutto con l'accordo e la collaborazione delle amministrazioni locali, ovviamente: "Noi 'facevamo' i sindaci [...] di qualunque colore fossero". Incalzato dal Presidente, Schiavone fa i nomi di esponenti politici di rilievo.
Sono passati sedici anni da quando Schiavone ha reso quelle dichiarazioni. Sedici lunghi anni, nel corso dei quali niente e` stato fatto per impedire che l'avvelenamento sistematico delle popolazioni del Sud Italia venisse fermato. Sedici anni, durante i quali, le dichiarazioni di Schiavone sono state tenute nascoste. La giornalista, Laura Eduati, ne ha chiesto le ragioni allo stesso Massimo Scalia il quale si e` difeso (qui) sostenendo che c'erano, all'epoca, indagini in corso da parte della magistratura e scaricando le responsabilita` sui cittadini, colpevoli ai suoi occhi, di essersi svegliati solo adesso. E` un vecchio ritornello razzista, quello dell'immobilismo e dell'indifferenza degli abitanti del Sud Italia. Scalia non e` affatto originale in questo. E il suo, alla fine, e` un razzismo vecchio stampo. Maggiore attenzione meriterebbe, invece, il fenomeno del razzismo ambientale cui questa storia terrificante ci mette di fronte. Il Sud e` stato trasformato in una gigantesca pattumiera, carica di rifiuti provenienti dal Nord dell'Europa, compreso il Nord dell'Italia. Come la Somalia, ex colonia italiana, anch'essa destinataria di residui industriali che ne stanno distruggendo l'ecosistema. Una vicenda che la giornalista Ilaria Alpi aveva scoperto e avrebbe portato alla luce se non le avessero chiuso la bocca a colpi di kalashnikov il 20 marzo del 1994. Aveva 33 anni, Ilaria. La stessa eta` che ho io adesso e, sinceramente, non mi sento piu` viva di lei.
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venerdì 1 novembre 2013
Anniversari
Odio novembre. E` il mese della paura, dell'orrore, della realta` che si rifa` incubo. Novembre e` il mese della diagnosi. Il 17 novembre di tre anni fa. Quel giorno maledetto, crudele in cui la parola cancro e` esplosa nella mia vita. Non che non fosse nell'aria. I sospetti erano cominciati una quindicina di giorni prima con la scoperta del linfonodo ingrossato sotto l'ascella. Poi il nodulino nel seno, trovato con l'autopalpazione. Poi il medico di base, l'ospedale, la senologa, le infermiere, gli aghi aspirati, la biopsia, quei sette lunghissimi giorni di attesa. Sarebbe meglio dire notti. La notte e` scesa sopra di me. Una notte scura, interminabile. Una notte senz'alba. Perche` sentirsi dire che si, e` cancro, non e` l'alba ma l'inizio di una nuova notte.
Sono passati tre anni. Oggi il tempo fa schifo. Sono in casa con la luce accesa nonostante sia giorno. Fa freddo. Sembra tutto come allora. Sono davanti al computer, comincio a toccarmi l'ascella destra e sento una minuscola pallina. E` un attimo. Il freddo mi entra nello stomaco, i brividi lungo il collo. Allarme. Allarme. Allarme. Il tempo di deglutire e la pallina non si sente piu`. Continuo a cercarla. A tratti mi sembra di risentirla. Ma forse e` un muscoletto. No, non ha nemmeno la forma di una pallina. Dov'e`? Sotto l'ascella? Forse sotto le mie mani e soprattutto nella mia memoria.
Secondo uno studio pubblicato nel 2004 (qui) una delle cause scatenanti della paura e del senso di insicurezza nelle donne che hanno avuto un cancro al seno, anche a distanza di anni, e` l'anniversario della diagnosi. Altre sono i dolori dovuti agli effetti secondari delle terapie che fanno pensare alle metastasi, venire a sapere che qualche altra persona ha il cancro, i controlli annuali. La cosa significativa emersa dallo studio e` che la paura e il senso di insicurezza non sono dipendenti dal tempo trascorso dalla diagnosi. A distanza di nove anni, molte donne che hanno preso parte allo studio, continuavano ad avere paura. I trigger principali sono nuovi dolori o sintomi fisici. Tra questi, il linfedema che puo` manifestarsi anche dopo anni dall'intervento di linfoadenectomia e la cui comparsa improvvisa, quando si pensa di averlo ormai scansato, causa in molte donne vero e proprio panico, perche` viene scambiato come un segno di ripresa di malattia.
Che fare? Gli autori dello studio raccomandano a medici e operatori sanitari di monitorare la situazione psicologica delle pazienti anche a distanza di anni e di fornire tutte le informazioni sugli effetti secondari dei trattamenti, inclusi quelli a lungo termine, in modo che, qualora si manifestassero, possano essere identificati come tali. Va benissimo. Non riesco a non pensare, tuttavia, che il cancro e` un incubo constantemente presente nella mente di chi lo vive e anche per questo va fermato prima che cominci. Perche` sopravvivere a lungo non basta. Non con una spada di Damocle sulla testa.
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