"Di cancro al seno si muore". L'ho scritta anch'io tante volte questa frase e, senza volerlo, ho prestato il fianco alla cattiva informazione. Di cancro al seno NON si muore. Il seno non e` infatti un organo vitale, tant'e` vero che, se necessario, lo si puo` asportare. Finche` il cancro e` confinato nel seno chi ne e` affetto non corre immediato pericolo di vita. Quando la malattia si estende ad altri organi - per il cancro al seno, sono solitamente ossa, fegato, polmoni e cervello - la sopravvivenza media e` di 18-24 mesi. E` dunque il cancro al seno metastatico che uccide. Perche` allora soltanto una parte infinitesimale dei fondi raccolti attraverso le campagne che chi segue questo blog ben conosce vengono destinati alla ricerca sull'unica forma di cancro al seno che provoca la morte, mentre la stragrande maggioranza viene destinato alla diagnosi precoce? (qui) Se lo chiedono soprattutto le donne che col cancro al seno metastatico ci convivono. Alcune di loro negli Stati Uniti hanno organizzato una protesta sui social media per il prossimo 2 marzo (qui). Utilizzando gli hashtag #MetsMonday #BCKills e #DontIgnoreStageIV, le attiviste mirano a rendere finalmente visibile il cancro al seno metastatico la cui realta` e` soffocata dalle mistificazioni a reti unificate del circo rosa. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno.
giovedì 26 febbraio 2015
#DontIgnoreStageIV
"Di cancro al seno si muore". L'ho scritta anch'io tante volte questa frase e, senza volerlo, ho prestato il fianco alla cattiva informazione. Di cancro al seno NON si muore. Il seno non e` infatti un organo vitale, tant'e` vero che, se necessario, lo si puo` asportare. Finche` il cancro e` confinato nel seno chi ne e` affetto non corre immediato pericolo di vita. Quando la malattia si estende ad altri organi - per il cancro al seno, sono solitamente ossa, fegato, polmoni e cervello - la sopravvivenza media e` di 18-24 mesi. E` dunque il cancro al seno metastatico che uccide. Perche` allora soltanto una parte infinitesimale dei fondi raccolti attraverso le campagne che chi segue questo blog ben conosce vengono destinati alla ricerca sull'unica forma di cancro al seno che provoca la morte, mentre la stragrande maggioranza viene destinato alla diagnosi precoce? (qui) Se lo chiedono soprattutto le donne che col cancro al seno metastatico ci convivono. Alcune di loro negli Stati Uniti hanno organizzato una protesta sui social media per il prossimo 2 marzo (qui). Utilizzando gli hashtag #MetsMonday #BCKills e #DontIgnoreStageIV, le attiviste mirano a rendere finalmente visibile il cancro al seno metastatico la cui realta` e` soffocata dalle mistificazioni a reti unificate del circo rosa. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno.
lunedì 23 febbraio 2015
Se un cancro solo non basta: la storia di Jojo
Fonte: The Malignant Ginger (qui)
Voglio parlarvi di Jojo, una giovane donna di Brighton. Jojo ha scoperto il cancro al seno a 31 anni. Prima era un'artista e musicista (qui). A maggio del 2014, la sua vita e` andata in frantumi con la scoperta della malattia. Sono seguiti diversi cicli di chemio, l'intervento, gli anticorpi monoclonali e la radioterapia. Sembrava tutto stesse procedendo per il meglio. Ai primi di gennaio, la mazzata. Una di quelle da cui e` difficile riprendersi. Jojo sente una pallina nel seno operato. Corre in ospedale. La giostra di biopsie ed esami ricomincia. Il responso ha dell'assurdo: c'e` un nuovo tumore, questa volta triplo negativo, nel seno e delle metastasi al fegato. Quando leggo la notizia non ci credo. Avevo conosciuto Jojo a novembre, subito dopo l'intervento chirurgico. Si stava riprendendo. Le mancavano ancora capelli e ciglia, ma era piena di energie e voglia di riprendere in mano la sua vita. E invece no. Invece il cancro non le ha lasciato nemmeno il tempo di tirare il fiato.
Seguiranno altre chemio e altra sofferenza, oltre alla consapevolezza che il suo cancro ormai e` incurabile. Non si puo` che starle vicino, tenerle la mano, ricoprirla di affetto. Ti voglio bene, Jojo.
lunedì 16 febbraio 2015
Di cancro si muore, col cancro non si vive
Aveva soltanto 33 anni Erika Gallinari, presidentessa della sezione di Reggio Emilia dell'Associazione Nazionale Donne Operate al Seno (ANDOS) (qui). Ieri e` morta, uccisa dal cancro al seno che l'aveva colpita nel 2013. Faceva la maestra d'asilo e aveva una figlia di appena due anni e mezzo. Di cancro si muore, anche di cancro al seno, anche se venditori di fumo piu` o meno illustri continuano a dire che cosi` non e`. Il cancro al seno rappresenta infatti la prima causa di morte di natura oncologica tra le donne italiane (qui). E` un dato che fa rabbia, molta, se si considera che e` possibile porre in essere delle misure atte a prevenire la malattia prima che incominci riducendo drasticamente le possibilita` di esposizione involontaria a sostanze cancerogene e mutagene (qui), ma nessuno sembra interessato a farlo.
Simona, invece, di anni ne ha 40 e lavora in un centro commerciale a Roma. Anche lei ha il cancro e ha dovuto trascorrere 8 settimane in ospedale. Al ritorno a casa, si e` vista recapitare una lettera di licenziamento da parte del datore di lavoro, "prima catena di elettronica di consumo in Europa" come si legge nel comunicato dell'Unione Sindacale di Base (USB) che sta seguendo il caso, per le troppe assenze (qui). Col cancro non si vive e la storia di Simona lo dimostra, soprattutto in tempi come questi. Tempi in cui ogni diritto viene calpestato.
Lavoro e salute sono diritti inalienabili ed e` giunta l'ora di riappropriacerne, ad ogni costo.
Simona, invece, di anni ne ha 40 e lavora in un centro commerciale a Roma. Anche lei ha il cancro e ha dovuto trascorrere 8 settimane in ospedale. Al ritorno a casa, si e` vista recapitare una lettera di licenziamento da parte del datore di lavoro, "prima catena di elettronica di consumo in Europa" come si legge nel comunicato dell'Unione Sindacale di Base (USB) che sta seguendo il caso, per le troppe assenze (qui). Col cancro non si vive e la storia di Simona lo dimostra, soprattutto in tempi come questi. Tempi in cui ogni diritto viene calpestato.
Lavoro e salute sono diritti inalienabili ed e` giunta l'ora di riappropriacerne, ad ogni costo.
martedì 10 febbraio 2015
Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole
E anche quest'anno i controlli, quelli in grande stile, quelli che ti rivoltano come un calzino e te la fai sotto dalla paura sono passati. Come una scolaretta secchiona, sono stata promossa col massimo a cui una persona col cancro al seno possa apirare: No Evidence of Disease. Non e` stato riscontrato alcun segno visibile di ritorno della malattia. Questo non vuol dire che dal giorno successivo all'esecuzione di un determinato esame, ad esempio l'ecografia all'addome superiore, quel segno, il segno che indica la presenza di una metastasi, non si manifesti. Per il momento, comunque, la tregua continua. L'unica sorpresa e` stato l'incontro con una ginecologa che non mi aveva mai visitata prima, secondo la quale, il polipo endometriale causato dal Tamoxifene e` grandino e va tolto. Finora, mi era stato detto da un'altra ginecologa dello stesso ospedale che poteva restare li` in assenza di sanguinamento. Tra circa un mese mi sottoporro` all'intervento, che verra` eseguito in endoscopia e con anestesia generale e durera`, cosi` mi ha assicurato la dottoressa, circa dieci minuti. A distanza di una settiama mi verranno comunicati i risultati dell'esame istologico. Quest'ultimo servira` a confermare la benignita` del polipo. Si, confermare perche` non e` mica sicuro al 100% che lo sia. E come dice la mia oncologa "improbabile non vuol dire impossibile".
Il tamoxifene e` ad oggi il trattamento di prima scelta per i carcinomi del seno estrogenodipendenti. Il farmaco e` un modulatore selettivo dell'azione degli estrogeni che, in parole povere, vuol dire che blocca l'azione degli estrogeni nel seno, riducendo le probabilita` di recidiva locale (peraltro, in misura maggiore rispetto alle metastasi a distanza), ma ne potenzia l'effetto in altri organi, tra cui l'utero. Per questo motivo, il tamoxifene aumenta il rischio di cancro dell'endometrio, oltre che di poliposi endometriale che, nonostante la sua benignita`, comporta un'ulteriore medicalizzazione per chi tra medici, ospedali e interventi chirurgici c'ha gia` passato troppo tempo. E il rischio non diminuisce con la conclusione della terapia, ma dura nel tempo. Nonostante cio`, c'e` chi il tamoxifene vuole farcelo prendere per dieci anziche` per "soli" cinque anni. Il luminare in questione non e` certo uno qualunque. Si tratta di Richard Peto, epidemiologo di fama internazionale che, nel 1981, per conto dell'amministrazione Regan, pubblico`, insieme al collega Richard Doll, uno studio dal titolo The Causes of Cancer: Quantitative Estimates of Avoidable Risks of Cancer in the United States [Le cause del cancro: stime quantitative dei rischi di cancro evitabili negli Stati Uniti] in cui sosteneva che il 35% di tutti i casi di cancro fossero da attribuirsi alle abitudini alimentari, il 30% al fumo di tabacco, il 7% a fattori riproduttivi e abitudini sessuali, il 4% all'esposizione a cancerogeni per cause professionali, il 3% all'acool, un altro 3% a fattori geofisici, il 2% all'inquinamento dell'aria e l'1% a procedure mediche e prodotti farmaceutici (qui). La tiritera sugli stili di vita erronei come causa del cancro l'ha cominciata lui per sostenere politiche di deregulation neoliberiste a vantaggio delle grandi industrie, lasciate libere di esporre i lavoratori e, progressivamente, anche chi nelle fabbriche non c'e` mai entrato a sostanze cancerogene e mutagene.
La versione di Peto sul cancro e` diventata, manco a dirlo, quella dominante e gli e` fruttata una bella carriera. A distanza di quindici anni, il nostro si mette alla guida dello studio ATLAS - acronimo per Adjuvant Tamoxifen: Longer Against Shorter [Tamoxifene adiuvante: piu` lungo contro piu` corto] - cominciato nel 1996 e i cui risultati sono stati presentati nel 2012 (qui) . Tra i finanziatori dello studio figurano AstraZeneca, la casa farmaceutica produttrice del Tamoxifene, e persino l'esercito degli Stati Uniti. E il risultato qual e`? Che il tamoxifene va preso per dieci anni. Dieci. E se il rischio di cancro dell'endometrio raddoppia, passando dall' 1,6% al 3,1% ,non ce ne frega niente. E se il cancro al seno si poteva evitare attraverso la prevenzione, quella vera, che elimina l'esposizione a sostanze correlate con lo sviluppo della malattia o sospettate di esserlo, non ce ne frega. Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole, deve aver pensato il caro Peto. Personalmente gli rispondo che cinque anni di tamoxifene per me possono bastare e che della mia malattia lo considero moralmente responsabile.
Il tamoxifene e` ad oggi il trattamento di prima scelta per i carcinomi del seno estrogenodipendenti. Il farmaco e` un modulatore selettivo dell'azione degli estrogeni che, in parole povere, vuol dire che blocca l'azione degli estrogeni nel seno, riducendo le probabilita` di recidiva locale (peraltro, in misura maggiore rispetto alle metastasi a distanza), ma ne potenzia l'effetto in altri organi, tra cui l'utero. Per questo motivo, il tamoxifene aumenta il rischio di cancro dell'endometrio, oltre che di poliposi endometriale che, nonostante la sua benignita`, comporta un'ulteriore medicalizzazione per chi tra medici, ospedali e interventi chirurgici c'ha gia` passato troppo tempo. E il rischio non diminuisce con la conclusione della terapia, ma dura nel tempo. Nonostante cio`, c'e` chi il tamoxifene vuole farcelo prendere per dieci anziche` per "soli" cinque anni. Il luminare in questione non e` certo uno qualunque. Si tratta di Richard Peto, epidemiologo di fama internazionale che, nel 1981, per conto dell'amministrazione Regan, pubblico`, insieme al collega Richard Doll, uno studio dal titolo The Causes of Cancer: Quantitative Estimates of Avoidable Risks of Cancer in the United States [Le cause del cancro: stime quantitative dei rischi di cancro evitabili negli Stati Uniti] in cui sosteneva che il 35% di tutti i casi di cancro fossero da attribuirsi alle abitudini alimentari, il 30% al fumo di tabacco, il 7% a fattori riproduttivi e abitudini sessuali, il 4% all'esposizione a cancerogeni per cause professionali, il 3% all'acool, un altro 3% a fattori geofisici, il 2% all'inquinamento dell'aria e l'1% a procedure mediche e prodotti farmaceutici (qui). La tiritera sugli stili di vita erronei come causa del cancro l'ha cominciata lui per sostenere politiche di deregulation neoliberiste a vantaggio delle grandi industrie, lasciate libere di esporre i lavoratori e, progressivamente, anche chi nelle fabbriche non c'e` mai entrato a sostanze cancerogene e mutagene.
La versione di Peto sul cancro e` diventata, manco a dirlo, quella dominante e gli e` fruttata una bella carriera. A distanza di quindici anni, il nostro si mette alla guida dello studio ATLAS - acronimo per Adjuvant Tamoxifen: Longer Against Shorter [Tamoxifene adiuvante: piu` lungo contro piu` corto] - cominciato nel 1996 e i cui risultati sono stati presentati nel 2012 (qui) . Tra i finanziatori dello studio figurano AstraZeneca, la casa farmaceutica produttrice del Tamoxifene, e persino l'esercito degli Stati Uniti. E il risultato qual e`? Che il tamoxifene va preso per dieci anni. Dieci. E se il rischio di cancro dell'endometrio raddoppia, passando dall' 1,6% al 3,1% ,non ce ne frega niente. E se il cancro al seno si poteva evitare attraverso la prevenzione, quella vera, che elimina l'esposizione a sostanze correlate con lo sviluppo della malattia o sospettate di esserlo, non ce ne frega. Bevetevi le mie fandonie e abboffatevi di pillole, deve aver pensato il caro Peto. Personalmente gli rispondo che cinque anni di tamoxifene per me possono bastare e che della mia malattia lo considero moralmente responsabile.
venerdì 6 febbraio 2015
Il miracolo di Rachel
Non l'ho mai conosciuta, ma la sua vita e la mia si sono intrecciate. E lei non lo sapra` mai. Rachel Chateem Moro e` morta il 6 febbraio di 3 anni fa. All'epoca stavo ancora facendo la terapia con Herceptin e questo blog non esisteva. Quello di Rachel si, invece, ed e` stato tra i primi che ho cominciato a seguire (qui). Come seguivo le attiviste americane via Twitter. E` stato tramite loro che ho appreso della morte di Rachel, a soli 42 anni a causa del cancro al seno che l'aveva colpita nove anni prima.
Rachel era una donna intelligente, acuta e sarcastica. Lo si capisce leggendo quanto scriveva sul suo blog sulle politiche di pinkwashing portate avanti da Susan G. Komen (qui) e cosi` la ricorda chi ha avuto la fortuna di conoscerla di persona (qui). Era nata in Australia, dove aveva trascorso i primi 27 anni della sua vita e dove, sui banchi di scuola, aveva conosciuto Jo a cui la legava un'amicizia che ha superato la distanza tra i continenti. Rachel si e` trasferita negli Stati Uniti, dove e` stata colpita dalla malattia che l'ha portata alla morte e Jo, invece, in Inghilterra, a Brighton. Ed e` stato a Brighton, durante la prima proiezione del documentario Pink Ribbons Inc. che ho contribuito ad organizzare nel marzo del 2013 che l'ho incontrata per la prima volta (qui). A film finito, nel corso del dibattito, Jo, con gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo fiero era intervenuta per sottolineare come il cancro al seno non sia un nastro rosa ma una malattia che uccide migliaia di donne e aveva fatto riferimento alla sua amata amica Rachel. Era grazie a lei che aveva saputo del film e per lei era venuta a vederlo. Non ero sicura che si trattasse della stessa persona, ma alla fine della serata, sono corsa da Jo che me l'ha confermato. E ci siamo abbracciate, Jo ed io, e non ci siamo piu` lasciate. Dopo quella sera ci siamo viste molte altre volte e, insieme ad altre donne, abbiamo creato un'associazione, Brighton Breast Cancer Action, con l'intento di portare nella citta` in cui viviamo il messaggio di Rachel, di questo blog e di tutte le donne che sono stanche di vedere la loro malattia mistificata e trasformata in business, come se fosse un giocattolo, senza che nessuno si preoccupi di mettere in atto misure per fermarne la diffusione.
Rachel non c'e` piu` e manca moltissimo ai suoi familiari e ai suoi amici. Questa donna straordinaria, trasformatasi da commercialista in antropologa, capace di sfidare i ricchi ed i potenti, anche da morta e` riuscita a compiere un piccolo miracolo, consentendo a me e Jo di incontrarci e sentirci sorelle in quanto donne. Grazie Rachel. Con te nel cuore, noi continuiamo.
Una versione in inglese di questo post e` stata pubblicata dal Breast Cancer Consortium (qui)
Una versione in inglese di questo post e` stata pubblicata dal Breast Cancer Consortium (qui)
Iscriviti a:
Post (Atom)