mercoledì 28 ottobre 2015

Pinkwashing: cos'e` e perche` non ci piace

E` finita. Quasi. Ancora tre giorni e ottobre sara` finito. Del cancro al seno continueranno a ricordarsi solo le persone colpite dalla malattia e i loro cari. Per noi il cancro al seno e` una presenza costante, non certo una scusa per vendere prodotti.

Questo ottobre e` stato diverso dagli altri, pero`. La lettera alla LILT scritta insieme a Sandra Castiello, Alberta Ferrari, Daniela Fregosi, Emma Schiavon e Carla Zagatti (qui) ha ottenuto il supporto di oltre 500 persone, nonostante il tentativo di depoliticizzare la nostra protesta da parte della stessa LILT e della maggioranza dei media che hanno cercato di farla passare come un attacco alla cantante testimonial della campagna.
Dove non c'e` stata strumentalizzazione, c'e` stato un non meno colpevole silenzio. Stiamo ancora aspettando una risposta dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Che non abbia saputo della nostra lettera e` impossibile. Ne hanno parlato davvero tutti. A distanza di 28 giorni dalla pubblicazione, non un rigo, sia pure di circostanza, e` venuto dal ministero.

Abbiamo imparato in questo mese che il gossip e` un'arma di distrazione di massa. Buttare tutto in caciara per occultare le motivazioni reali del dissenso all'ordine costituito, soprattutto se a dissentire sono donne. L'abbiamo scritto nella lettera e desideriamo ripeterlo ancora: il nostro problema, e non da quest'anno, e` il pinkwashing.

Il termine pinkwashing e` stato coniato da Breast Cancer Action  all’interno del progetto Think Before You Pink, lanciato nel 2002 (qui). Deriva dall’unione del sostantivo pink – rosa – e del verbo whitewash che significa letteralmente ‘imbiancare’ e in senso figurato ‘occultare’. Breast Cancer Action definisce ‘pinkwasher’ un’azienda o un’organizzazione che sostiene di avere a cuore il problema del cancro al seno e che cerca di dimostrarlo promuovendo prodotti contrassegnati con il nastro rosa ma che contengono sostanze correlate con un aumento del rischio di sviluppare la malattia. L’azienda di solito dimostra il suo sostegno alla “causa” in due modi: donando una percentuale minima del ricavato delle vendite dei prodotti contrassegnati con il nastro rosa alla “ricerca” riguardante la malattia - senza premurarsi di specificare quale - oppure anche soltanto sostenendo campagne di sensibilizzazione. Nel corso degli anni il fenomeno si e` esteso notevolmente. Gayle Sulik, sociologa medica e direttrice del Breast Cancer Consortium (qui) nonche` autrice di Pink Ribbon Blues. How Breast Cancer Culture Undermines Women's Health (qui), ha adottato una definizione piu` ampia includendo aziende e organizzazioni, anche no profit, che solo apparentemente sembrano svolgere un’azione benefica ma che in realta` non fanno che peggiorare le cose non solo vendendo prodotti contenenti sostanze tossiche ma anche, ad esempio, diffondendo informazioni fuorvianti o contribuendo a veicolare un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia. 

La LILT non e` certo la sola in Italia a fare pinkwashing. Come non ricordare Komen Italia e la sua campagna col detersivo Perlana (qui)? E che dire di Fondazione Veronesi e gli assorbenti Lines (qui)? Quest'anno, pero`, c'e` stata una new entry: AIRC, che quest'anno ha lanciato la sua bella campagna rosa, sponsorizzata da Estee Lauder (che fino all'anno scorso sponsorizzava LILT) e dagli assorbenti Nuvenia (qui). Non bastava certo la condanna dell'ex presidente per morti da amianto (qui). Anche AIRC aveva diritto a sporcarsi le mani col pinkwashing. 

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lunedì 12 ottobre 2015

13 ottobre. Un giorno solo per il cancro al seno metastatico

E` il 13 ottobre domani. La giornata del cancro al seno metastatico. Un giorno solo per l'unica forma di cancro al seno che uccide. Tutto il resto del mese e` dedicato alla pubblicita` sulla pelle delle donne degli sponsor delle varie campagne di 'sensibilizzazione'.

"Fare prevenzione" e` un'espressione entrara ormai nell'uso comune. Non esisteva nel 2010, quando mi sono ammalata. O forse sono io che non la ricordo perche` a 30 anni al cancro non ci si pensa e sarebbe un diritto non pensarci. Un diritto leso. Anche questo. Uno dei tanti, ormai.

Circa il 30% delle donne affette da cancro al seno sviluppa - anche oltre i canonici 5 anni - delle metastasi. Le sedi piu` comuni sono ossa, fegato, polmoni e cervello. Puo` capitare che la malattia esordisca come metastatica, come ricorda, in un bel post fresco fresco di pubblicazione, Alberta Ferrari (qui). Che ci si scopra ammalate al quarto stadio sin dall'inizio, insomma. Forse queste donne non hanno 'fatto prevenzione'? Forse una campagna di 'sensibilizzazione', con annessa pubblicita` di prodotti di consumo correlati con lo sviluppo della malattia, avrebbe potuto evitare loro il cancro al seno metastatico? La risposta e` no. Ci sono tumori biologicamente cosi` aggressivi che si diffondono alla velocita` della luce e senza che il nodulo nel seno sia particolarmente grande. Sono questi tumori che H. Gilbert Welch, medico, ricercatore e docente presso il Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice, paragona a degli uccelli (qui):

"Sono i cancri piu` aggressivi, quelli che si sono gia` diffusi quando diventano diagnosticabili."

Cosa passa per la mente di donne in questa situazione, quando sentono parlare di 'fare prevenzione'? Come si sentono? Cosa avrebbero voglia di dire se solo fosse data loro la possibilita` di far sentire la propria voce? Di qualsiasi cosa si tratti, dovrebbero dirlo molto in fretta. Il giorno dedicato a loro e alle altre donne metastatiche dal grande circo di ottobre rosa e` solo uno. Che non rovinino troppo la festa...

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lunedì 5 ottobre 2015

Anna, unisciti a noi

Ci siamo rivolte alla LILT e al Ministero, ma nell’occhio del ciclone è finita la testimonial della campagna nastro rosa 2015. È a lei, dunque, che vogliamo rivolgerci in questo caso, nell’attesa che i reali destinatari della nostra lettera si degnino di risponderci:

"Gentile Anna Tatangelo, ci dispiace che si sia sentita offesa dalla nostra lettera e vorremmo farle sapere che noi davvero apprezziamo la sua generosità nel prestarsi gratuitamente a una campagna di sensibilizzazione. Il suo è un esempio fra i molti di donne che si prestano in buona fede a operazioni che le strumentalizzano per i loro fini. Nel suo caso è evidente che è stata scelta, oltre che per la bellezza, perché è considerata un simbolo per molte giovani che vivono in quelle aree della Campania dove il dolore provocato da tante morti e sofferenze ha fatto emergere una diffusa consapevolezza dei fattori di rischio ambientale del cancro: l'avvelenamento delle terre, delle acque, dell'aria. Per chi vive nella "Terra dei Fuochi" non c'è "stile di vita sano" che tenga, e sottolinearlo in una campagna di sedicente sensibilizzazione è un modo per porre ancora una volta in secondo piano le vere cause dell’aumento dell’incidenza di diverse forme di cancro e di quello che si configura come un vero e proprio biocidio. Ci sembra, dunque, che lei sia stata strumentalizzata due volte, e noi le chiediamo di lasciare la campagna LILT e di unirsi a noi nella denuncia. Saremo felici di averla dalla nostra parte".
Cordialmente,
Sandra Castiello- docente di latino e greco al liceo classico, Pagina Facebook Col seno di poi ma col senno di sempre

Grazia De Michele - precaria, Blogger di Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari- chirurga senologa, Blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi - consulente e formatrice freelance, Blogger di Afrodite K

Emma Schiavon- insegnante e storica

Carla Zagatti- psicologa e psicoterapeuta

giovedì 1 ottobre 2015

Lega Tumori e Lorenzin, ritirate quella campagna

Lettera aperta alla Lega Italiana per la Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale e al Ministro della Sanita` Beatrice Lorenzin. Per adesioni, inviate una mail con il vostro nome, cognome e, se lo desiderate, professione a pinkwashing2015@gmail.com

1/10/2015

Spettabile Lega Italiana per Lotta ai Tumori (LILT) Nazionale,

Gentile Ministro della Salute Beatrice Lorenzin,

le sottoscritte desiderano esprimere profondo sconcerto di fronte alla campagna Nastro Rosa 2015, la cui testimonial è una nota cantante ritratta a torso nudo, con le braccia a coprirne in parte i seni. Una posa che rappresenta un salto di qualità, di segno negativo, rispetto alle edizioni precedenti della campagna. Negli anni passati, infatti, a rappresentarla erano state scelte donne, sempre appartenenti al mondo dello spettacolo o dello sport e non colpite dalla malattia, che, tuttavia, erano state ritratte vestite e in atteggiamenti più consoni al tema. Per l’anno in corso, invece, la campagna punta ad offrire un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia, utilizzando in maniera pretestuosa l’invito a “fare prevenzione”, espressione ambigua con la quale ci si riferisce comunemente all’adesione ai programmi di screening per la diagnosi precoce del cancro al seno attraverso mammografia. Anche a livello nazionale dunque la LILT ha scelto di avvalersi di un uso strumentale del corpo femminile, come è già accaduto negli anni scorsi per campagne di gusto per lo meno dubbio, quali quelle promosse ad esempio dalla sezione di Torino che, nell’ottobre del 2014, ha patrocinato l’iniziativa Posso toccarti le tette? .

Desideriamo ricordare che solo nel 2012 sono morte di cancro al seno 12.004 donne (dati Istat) e  nel 2014 si sono registrate 48.200 diagnosi tra la popolazione femminile del nostro paese (dati Aiom-Airtum). La patologia colpisce, inoltre, sebbene in misura minore rispetto alle donne, anche gli uomini. I programmi di screening si rivolgono alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni alle quali si raccomanda di effettuare una mammografia ogni 2 anni. La morte per cancro al seno sopravviene a seguito della diffusione dal seno ad altri distretti corporei (ossa, fegato, cervello e polmoni nella maggioranza dei casi).

Cosa ha a che fare l’immagine di una donna chiaramente al di sotto della fascia d’età per la quale sono designati i programmi di screening con la “prevenzione”? Perchè concentrare l’attenzione del pubblico sul suo décolleté florido (a cui fanno da contorno gli addominali scolpiti) se il rischio di morte si presenta solo nel caso in cui la patologia interessi altri organi?

Una risposta la offrono i marchi di noti prodotti di consumo in calce al manifesto che pubblicizza la campagna. Tra questi, quello della nota casa automobilistica Peugeot. Studi scientifici recenti  dimostrano l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne impiegate nella produzione di materie plastiche per il settore automobilistico. Evidenze che hanno portato, nel 2014, l’American Public Health Association a chiedere alle massime autorità sanitarie degli Stati Uniti di porre in essere politiche di prevenzione atte a ridurre drastricamente l’esposizione sui luoghi di lavoro a sostanze associate al cancro al seno.

La partnership tra LILT e Peugeot si configura chiaramente come un caso di pinkwashing, termine con cui si indica la pratica di pubblicizzare e/o vendere prodotti che aumentano il rischio di ammalarsi di cancro al seno, attraverso ingredienti e/o processi di lavorazione, collegandoli a campagne di sensibilizzazione o a raccolte fondi per la ricerca. Una strategia di marketing tristemente diffusa e che risulta estremamente efficace proprio perchè il cancro al seno offre la possibilità di esporre il seno femminile per finalità benefiche, attirando così l’attenzione del pubblico di ambo i sessi.

Chiediamo pertanto il ritiro della campagna Nastro Rosa 2015 che consideriamo lesiva della dignità e della salute delle donne.

Distinti saluti,

Sandra Castiello, docente di latino e greco, pagina Facebook Col seno di poi, ma col senno di sempre

Grazia De Michele, precaria, blogger de Le Amazzoni Furiose

Alberta Ferrari, chirurga senologa, blogger di Ferite Vincenti

Daniela Fregosi, consulente e formatrice free lance, blogger di Afrodite K

Emma Schiavon, insegnante e storica

Carla Zagatti, psicologa e psicoterapeuta

Per adesioni scrivete a pinkwashing2015@gmail.com; per visualizzare le adesioni cliccate qui

mercoledì 16 settembre 2015

Il cancro da giovani

Kathleen Brady ha 20 anni. Fa l'insegnante. Vive in Australia. E ha un linfoma. Pochi giorni fa, il Guardian ha pubblicato un suo articolo (qui) in cui molte delle persone che si sono ammalate di cancro in piena giovinezza si riconosceranno.
Il cancro e` sempre ingiusto, scrive Brady, ma vederselo diagnosticare a 20 anni supera ogni immaginazione. A quell'eta` "si suppone tu stia per cominciare la tua vita, trovando finalmente un lavoro che ti piace, imparando a raggranellare i risparmi e magari andando a vivere con il tuo partner. [...] Dovresti stare bene in salute: quanto basta per tenerti un buon lavoro, uscire ogni fine settimana, viaggiare a piacimento e in generale goderti la vita".
E, invece, Brady due mesi fa ha scoperto di avere il cancro. Non allo stadio terminale. Non incurabile, ma "quel genere [di cancro] che non ti fara` mai piu` sentire sereno e soddisfatto, che ti fa ripensare a tutto quello che pensavi di sapere". Si definisce in una fase di transizione tra l'adolescenza e l'eta` adulta. Non e` piu` abbastanza piccola da vivere a casa con la sua famiglia d'origine, godendo della sicurezza economica su cui evidentemente quest'ultima puo` contare, ma non ha ancora una famiglia sua ne` un lavoro stabile. Ha qualche soldo da parte e voglia di fare esperienze nuove. I suoi amici si stanno pian piano accasando e iniziano a sfornare bambini. Al contrario, lei si trova "costretta a fermare la sua vita all'improvviso".
Una situazione "pietrificante". Mille domande si aggirano nella sua mente: "in che modo sei mesi o piu` di malattia influenzeranno le possibilita` di trovare quel lavoro che voglio cosi` tanto? Vorro` ancora fare la stessa cosa quando tutto questo sara finito? Saro` sempre una paziente col cancro? Devo dire sempre alle persone cosa mi e` successo? Come faccio a vivere cosi`? Lo superero` mai?"

Sono passati quasi cinque anni dalla mia diagnosi di cancro al seno. Persino la terapia col tamoxifene, che all'inizio mi sembrava eterna, sta per finire. La mia vita pero` non e` tornata come prima. Il lavoro che sognavo non ce l'ho e non ce l'avro` mai. Nemmeno un lavoro qualsiasi sembra saltare fuori da qualche parte. Ho 35 anni e non ho mezzi di sostentamento. Vivo con i soldi di mio marito e della mia famiglia. Le mie amiche fanno figli. Ogni volta che conosco qualcuno mi chiedo se debba metterlo a conoscenza di quello che mi e` successo. Sono stanca e ingrassata. E no, non credo 'superero` mai' il rodimento di culo di vedere la mia vita deragliare, senza riuscire piu` a riportarla dentro i binari di quella che volevo fosse la mia normalita`.

mercoledì 12 agosto 2015

Mariangela

Ti ho vista. Due volte. La prima eri in spiaggia. La seconda vicino casa. Pedalavi col tuo bimbo nel sediolino attaccato al manubrio.
Sono passata sotto casa tua, ma non sono stata capace di riconoscerla. E ho parlato di Tania, il tuo pastore tedesco che amavi tanto.
Ti ricordi quella volta alle cabine telefoniche? Si, c'erano ancora le cabine...Mamma mi teneva per mano. Tu piangevi al telefono. "Che e` successo, Mariangela?". "Tania sta male". E le tue mani, abbronzate e flessuose, scorrevano sulle gote inzuppate di lacrime.
Non riesco a ricordare quando sei morta. Dev'essere stato un paio di anni prima che la nostra malattia colpisse anche me. Saputolo, mia sorella, la tua amica di lunghe estati di noia, ha gridato e pianto per ore. Io sono rimasta sbigottita. Avevi circa 40 anni. Nonostante del cancro al seno non sapessi nulla allora, la tua morte mi sembro` una follia crudele.
Oggi che so, ti vedo passare per quelle strade che abbiamo percorso insieme, ti cerco, vorrei poterti abbracciare, vorrei poterti dire "Che ci hanno fatto, Mariangela?", ma tu non ci sei e a me non resta che tanto dolore.

mercoledì 15 luglio 2015

L'ex presidente dell'AIRC condannato per morti da amianto

Ne avevamo parlato nel dicembre 2013 esprimendo allarme, caduto ovviamente nel vuoto (qui). Oggi, Piero Sierra, presidente,  fino al maggio 2014, quando e` stato sostituito da Pier Giuseppe Torrani, dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC) all'interno della quale riveste ancora la carica di consigliere [almeno fino a qualche minuto fa, alle 14.47 il sito dell'AIRC non e` accessibile], e` stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere per la morte negli anni '70 e '80 di 50 operai della Pirelli, di cui e` stato uno dei massimi dirigenti (qui). Condannato, sempre a 6 anni e 8 mesi, anche Guido Veronesi, fratello di Umberto e zio di Paolino 'tutto torna come prima'.

Come sono morti questi operai? Di mesotelioma pleurico e altre patologie tumorali. E perche`? Perche` sono stati ripetutamente e massicciamente esposti all'amianto, senza che l'azienda prendesse le dovute misure precauzionali per proteggerne la salute.

Approfittiamone per dare un'occhiata al sito dell'AIRC. In particolare, la sezione 'Fai Prevenzione' (qui). Stili di vita, alimentazione, fumo di sigaretta, raggi ultravioletti. E l'esposizione a sostanze cancerogene e mutagene come l'amianto? Non ce n'e` traccia. Eppure quegli operai, e non solo loro purtroppo, sono morti proprio per questo. Erano forse inevitabili, non prevenibili, quelle morti? Evidentemente no, se il Tribunale di Milano ha condannato Sierra e soci.

L'AIRC chiede i nostri soldi per fare ricerca. I miei genitori hanno sempre comprato le azalee della ricerca e mio padre continua a farlo ancora adesso, commosso perche` adesso e` sua figlia ad avere il cancro. E lo stesso fanno altri genitori, amici, partner, fratelli e sorelle di chi si trova nella stessa situazione. E forse lo facevano anche quegli operai e i loro familiari. In buona fede e con generosita`.

Che fare? Donare i nostri soldi a queste organizzazioni senza chiedere spiegazioni su come vengono investiti e coinvolgimento e trasparenza nei processi decisionali e` inutile e dannoso. Perche` un'istituzione legata a doppio filo con le fabbriche di morte difficilmente finanziera` ricerche sulle cause ambientali e occupazionali del cancro e sulla prevenzione primaria. E ci dira`, attraverso il suo sito web, che prevenire il cancro significa mangiare bene, fare esercizio fisico e non fumare, tacendo su come la morte la si possa trovare nascosta nei capannoni industriali dove si suda per guadagnarsi il pane.