Una nostra lettrice, che preferisce rimanere anonima, ci ha inviato questo testo. Lo pubblichiamo volentieri perche` ci sembra offra spunti di riflessione sul diritto a scegliere di non sottoporsi a terapie come quella ormonale che, e` bene ricordarlo, non "curano" il cancro al seno ma si limitano a ridurre le probabilita` di recidiva, soprattutto locale, e comportano effetti collaterali pesanti tra cui, nel caso del tamoxifene, anche un aumento del rischio di cancro dell'endometrio.
Io e il mio compagno viviamo insieme ormai da moltissimi anni. Figli non ne sono arrivati. E non abbiamo mai voluto forzare la situazione. Per noi è stato naturale accettare che la natura volesse così.
Poi un giorno, quando ormai avevo più di 40 anni arriva, totalmente inaspettata, una gravidanza. Un fulmine a ciel sereno. Ero talmente confusa da non sapere se essere felice. Diciamo che era una felicità piena di paura.
Dopo alcune settimane, in modo altrettanto inaspettato arriva l’aborto spontaneo, doloroso per il corpo e per l’anima. Era come se avessi potuto intravedere da una porta socchiusa il mondo della maternità, per qualche istante appena. Poi, un colpo di vento ha fatto sbattere la porta e sono rimasta chiusa fuori, attonita.
Ero più confusa di prima.
Diciamo che non ho avuto tanto tempo per riflettere sull’accaduto, sia perché il dolore era ancora troppo forte e sia perché, dopo alcuni mesi, a completare il quadro, è arrivata la diagnosi di cancro al seno.
Visite, intervento, terapie oncologiche e nel frattempo il simpatico spettro della terapia ormonale di 5/10 anni che, vista l’età, avrebbe cancellato definitivamente la possibilità di avere figli.
In realtà ci avevo già rinunciato da tempo ma quella gravidanza lampo mi aveva aperto una possibilità inaspettata. Quindi che fare? Mi sono consultata con un centro specializzato che, come pensavo, mi ha confermato che le possibilità di una gravidanza erano bassissime.
Ma non me la sono sentita di essere io a sbattere la porta. Ho lasciato fare anche in questo caso alla natura e ho rifiutato la terapia ormonale.
Ormai sono passati alcuni anni. Figli non ne sono arrivati e recidive o metastasi nemmeno. Prima che passino i vent’anni dalla diagnosi manca ancora parecchio tempo, ma vivo alla giornata e per ora va bene così.
Certo, mentirei se dicessi che è tutto facile. Ho rinunciato alla terapia per un figlio che non è mai arrivato. A volte sembra normale, altre volte tornano a galla desideri e rimpianti. Non ne faccio certamente una tragedia, in fondo finora sono stata fortunata rispetto a molte altre donne. Ma ho ancora bisogno di tempo per elaborare, la cicatrice non si è ancora rimarginata.
Per affrontare questa scelta mi sono protetta. Pochissime persone conoscono il motivo per cui ho rifiutato la terapia. Non ero pronta ad accettare facili giudizi, certamente in buona fede, ma taglienti come lame. E non sono pronta ad accettarli nemmeno ora.
Però sento di dover condividere la mia storia. Certo, un po’ per liberarmene (le Amazzoni furiose mi perdoneranno per questo), e un po’ per portare un punto di vista. Per far sentire che non ci sono strade tracciate. Che ognuna di noi, nel suo viaggio, percorre strade diverse.
E che le scelte di ognuna di noi sono sacre e come tali vanno rispettate e non giudicate. Possiamo confrontarci, informarci, ascoltare compagni, medici, amici e consulenti. Ma alla fine solo il nostro giudice interiore sa cosa è giusto per noi, ed è solo ascoltandolo che riusciamo a convivere ogni giorno con le conseguenze delle nostre scelte.
Io e il mio compagno viviamo insieme ormai da moltissimi anni. Figli non ne sono arrivati. E non abbiamo mai voluto forzare la situazione. Per noi è stato naturale accettare che la natura volesse così.
Poi un giorno, quando ormai avevo più di 40 anni arriva, totalmente inaspettata, una gravidanza. Un fulmine a ciel sereno. Ero talmente confusa da non sapere se essere felice. Diciamo che era una felicità piena di paura.
Dopo alcune settimane, in modo altrettanto inaspettato arriva l’aborto spontaneo, doloroso per il corpo e per l’anima. Era come se avessi potuto intravedere da una porta socchiusa il mondo della maternità, per qualche istante appena. Poi, un colpo di vento ha fatto sbattere la porta e sono rimasta chiusa fuori, attonita.
Ero più confusa di prima.
Diciamo che non ho avuto tanto tempo per riflettere sull’accaduto, sia perché il dolore era ancora troppo forte e sia perché, dopo alcuni mesi, a completare il quadro, è arrivata la diagnosi di cancro al seno.
Visite, intervento, terapie oncologiche e nel frattempo il simpatico spettro della terapia ormonale di 5/10 anni che, vista l’età, avrebbe cancellato definitivamente la possibilità di avere figli.
In realtà ci avevo già rinunciato da tempo ma quella gravidanza lampo mi aveva aperto una possibilità inaspettata. Quindi che fare? Mi sono consultata con un centro specializzato che, come pensavo, mi ha confermato che le possibilità di una gravidanza erano bassissime.
Ma non me la sono sentita di essere io a sbattere la porta. Ho lasciato fare anche in questo caso alla natura e ho rifiutato la terapia ormonale.
Ormai sono passati alcuni anni. Figli non ne sono arrivati e recidive o metastasi nemmeno. Prima che passino i vent’anni dalla diagnosi manca ancora parecchio tempo, ma vivo alla giornata e per ora va bene così.
Certo, mentirei se dicessi che è tutto facile. Ho rinunciato alla terapia per un figlio che non è mai arrivato. A volte sembra normale, altre volte tornano a galla desideri e rimpianti. Non ne faccio certamente una tragedia, in fondo finora sono stata fortunata rispetto a molte altre donne. Ma ho ancora bisogno di tempo per elaborare, la cicatrice non si è ancora rimarginata.
Per affrontare questa scelta mi sono protetta. Pochissime persone conoscono il motivo per cui ho rifiutato la terapia. Non ero pronta ad accettare facili giudizi, certamente in buona fede, ma taglienti come lame. E non sono pronta ad accettarli nemmeno ora.
Però sento di dover condividere la mia storia. Certo, un po’ per liberarmene (le Amazzoni furiose mi perdoneranno per questo), e un po’ per portare un punto di vista. Per far sentire che non ci sono strade tracciate. Che ognuna di noi, nel suo viaggio, percorre strade diverse.
E che le scelte di ognuna di noi sono sacre e come tali vanno rispettate e non giudicate. Possiamo confrontarci, informarci, ascoltare compagni, medici, amici e consulenti. Ma alla fine solo il nostro giudice interiore sa cosa è giusto per noi, ed è solo ascoltandolo che riusciamo a convivere ogni giorno con le conseguenze delle nostre scelte.