Aggiornamento. Ieri ho fatto l'ecografia al seno, cavi ascellari e regione sottoclaveare. Per la prima volta ho voluto che mia madre fosse presente. Avevo bisogno di guardare il suo viso mentre la sonda solcava il mio corpo e l'ombra dell'orrore si riaffacciava nella mia mente. La dottoressa e` stata affettuosa e prodiga di spiegazioni. Dei tre linfonodi reattivi identificati a gennaio, uno e` sparito e gli altri due si sono rimpiccioliti. Questo ne conferma la benignita`. Adesso bisognera` attendere l'esito degli esami del sangue, inclusi i marcatori, e la visita con il senologo. Tiro un timido sospiro di sollievo e mi concedo persino un gelato con un'amica e collega di malattia.
Nel frattempo, desidero dare lo spazio che meritano a due commenti molto toccanti al post precedente.
Il primo lo scrive Gabriella Doneda:
"No, non è vero che tutto tornerà come prima , e crederlo è una mera illusione.
Anche io vivo sospesa tra un controllo e l'altro.
Come può essere tutto come prima quando ti dicono che , per donne che hanno avuto un tumore come il tuo , il tasso di sopravvivenza a dieci anni è dell'800% ? E soprattutto nessuno sa dirti se sarai nel gruppo che si salva o tra quelle che non ce la faranno , che si riammaleranno e moriranno?
Come può essere tutto come prima , se non puoi pensare lucidamente e con speranza al tuo futuro e nemmeno vivere serenamente il presente? Il mio corpo non è più lo stesso . Avevo tanti progetti : mi stavo allenando per correre la mezza maratona , ora riesco a stento a fare pochi chilometri e poi mi devo fermare. La mia mente non è più la stessa : a volte la nebbia cognitiva mi fa restare a bocca aperta , cercando nel vuoto un nome o un dato che non ricordo . Non ditemi che passerà , non ditemelo . Perchè l'unica cosa che vorrei ora è che tutto sia come prima, ma non è così e non lo sarà. Perchè la Gabri di prima se n'è andata il 18 aprile 2012, quando ha ritirato l'esito dell'istologico."
Il secondo e` di S.:
"Quanto ti capisco. Ho 33 anni e da quasi un anno combatto contro il cancro al seno: due interventi, chemio, radio, e prima o poi ricostruzione. Hai ragione, nulla sarà come "prima del cancro". Tutti mi dicono che ora la mia strada è tutta in discesa, eppure io mi sento che non è finita qui. Il mio corpo scricchiola ad ogni soffio di vento, è diventato quasi di cristallo. E dire che anch'io, come te, non ho familiarità, etc eppure il cancro ha bussato alla mia porta in un giorno qualunque di settembre e da quel giorno sono in un vortice. Un abbraccio, S."
Faccio mia ogni parola. E abbraccio immensamente queste due coraggiosissime donne. Coraggiosissime non perche` si dicono certe di "farcela", di "sopravvivere", di "guarire", rispondendo cosi` al modello di eroina che la propaganda trionfalistica di medici e certe associazioni vogliono cucirci addosso. Queste donne sono coraggiosissime perche` non hanno paura di scoprire la loro fragilita`, guardano dritto in faccia la loro mortalita` e ne fanno uno strumento di battaglia. Si, perche` nel mondo del menzognero "98% di sopravvivenza con diagnosi molto precoce [sic!]" e di celebrazioni carnevalesche della sopravvivenza, scrivere quello che scrivono loro e` un gesto di rivolta. E vada come vada, questo non potra` toglierglielo nessuno. Nemmeno il cancro. Grazie Gabriella Doneda. Grazie S.
mercoledì 29 maggio 2013
domenica 26 maggio 2013
Tra color che son sospesi
E` arrivata l'ora di fare le valigie. Ho rimandato tutto il giorno. Ho ingoiato ansia e cercato di dimenticare, ma e` tardi, si sta facendo buio e domani parto presto.
Vado a Milano. Martedi` ho i controlli, leggermente in anticipo rispetto al previsto per via dei linfonodi verosimilmente reattivi riscontrati dall'ecografia a gennaio. Niente di patologico, mi e` stato assicurato, ma i brutti ricordi sono sempre pronti a reimpossessarsi della mia mente.
E` in queste situazioni che i toni trionfalistici e rassicuranti di chi sostiene che dal cancro al seno si "guarisce" suonano alle mie orecchie come un vero e proprio insulto. La parola guarigione non ha nessun significato quando si parla di cancro. Si puo` parlare di remissione, ma bisogna restare sempre vigili. Sempre. Solo la morte per qualche altra ragione puo` dare la sicurezza della guarigione dal cancro.
Tristemente me ne torno tra color che son sospesi. La mia vita si ferma di nuovo. Il mio cuore e` gia` nella sala d'attesa dell'ospedale. Ho gia` davanti agli occhi la porta che dovro` varcare per entrare in una stanza buia, spogliarmi, sdaiarmi sul lettino, sentire cosa dira` chi esegue l'esame. Non riesco ad andare oltre. Il mio futuro si ferma li`. Solo una parola, No Evidence of Disease - nessun segno di malattia - potra` farlo ricominciare.
Vado a Milano. Martedi` ho i controlli, leggermente in anticipo rispetto al previsto per via dei linfonodi verosimilmente reattivi riscontrati dall'ecografia a gennaio. Niente di patologico, mi e` stato assicurato, ma i brutti ricordi sono sempre pronti a reimpossessarsi della mia mente.
E` in queste situazioni che i toni trionfalistici e rassicuranti di chi sostiene che dal cancro al seno si "guarisce" suonano alle mie orecchie come un vero e proprio insulto. La parola guarigione non ha nessun significato quando si parla di cancro. Si puo` parlare di remissione, ma bisogna restare sempre vigili. Sempre. Solo la morte per qualche altra ragione puo` dare la sicurezza della guarigione dal cancro.
Tristemente me ne torno tra color che son sospesi. La mia vita si ferma di nuovo. Il mio cuore e` gia` nella sala d'attesa dell'ospedale. Ho gia` davanti agli occhi la porta che dovro` varcare per entrare in una stanza buia, spogliarmi, sdaiarmi sul lettino, sentire cosa dira` chi esegue l'esame. Non riesco ad andare oltre. Il mio futuro si ferma li`. Solo una parola, No Evidence of Disease - nessun segno di malattia - potra` farlo ricominciare.
sabato 25 maggio 2013
Blog-lettera a Nichi Vendola
Caro Nichi Vendola,
sono una giovane donna pugliese, nata e cresciuta a Foggia. Ho 32 anni. Vivo all'estero, in Inghilterra. Sono andata via 8 anni fa, come tanti miei coetanei della generazione perduta. Allora sembrava che spostarsi dalla periferia in uno dei centri del neoliberismo globale potesse consentire di ricavarsi una nicchia in un cui realizzare i propri sogni. Adesso anche qui tutto e` cambiato. C'e` la crisi, ci dicono. E la mia carriera di ricercatrice se n'e` andata alle ortiche.
Sarebbe stato diverso, probabilmente, se due anni fa, mentre stavo per finire la mia tesi di dottorato (sul razzismo anti-meridionale nel dopoguerra, un tema a te caro) non mi fosse stato diagnosticato un cancro al seno. Cosi`, all'improvviso, come un proiettile vagante che ti riduce la vita a uno specchio frantumato di cui puoi solo, piano piano, raccogliere i pezzi. Non avevo precendenti in famiglia e non ho nessuna mutazione genetica. Sono cresciuta in Puglia, pero`, terra di veleni. Tanti. A Taranto, con l'Ilva, l'Eni, Cementir, l'amianto. Me ne parla e ne scrive spesso la mia amica Susanna Curci, un altro giovane talento che per ora ha lasciato la Puglia e domani chissa`...A Brindisi, dove c'e` il piu` elevato tasso di malformazioni neonatali in Italia e dove le mamme del Passeggino Rosso sono sul piede di guerra in difesa della salute dei loro piccoli. Sanno bene, infatti, che l'esposizione ad agenti cancerogeni - come le sostanze rilasciate dalle due centrali termoelettriche a carbone presenti nel brindisino - in utero o durante l'infanzia e l'adolescenza puo` portare allo sviluppo di neoplasie anche a distanza da molti anni. E` quello che molto probabilmente e` successo a me, che l'estate, da bambina, facevo il bagno vicino Manfredonia, uno dei siti di rilevanza nazionale dello studio Sentieri, anche se dei misfatti dell'Enichem non vuole parlare nessuno.
Stabilire con esattezza la causa della mia malattia e` impossibile, allo stato attuale delle conoscenze. E` per questo motivo che da un anno, da quando ho terminato le cure ospedaliere, mi sono unita alle attiviste statunitensi ed europee che chiedono che si faccia ricerca su e si arrivi a identificare le cause del cancro al seno. Si, c'e` bisogno che siano le donne che vivono con la malattia a farsi sentire su questo fronte. Si fa ricerca quasi esclusivamente sui farmaci. Il discorso pubblico e` dominato dal mantra della diagnosi preococe tramite mammografia e dall'immagine stereotipata delle "sopravvissute", proposte come modello durante manifestazioni a scopo di marketing, le Race for the Cure. A quella di Bari, caro Nichi Vendola, oggi hai partecipato anche tu facendoti persino fotografare accanto ai VIP radunatisi per l'occasione.
La scorsa settimana, a Roma, al Circo Massimo avevamo assistito alla parata dei candidati sindaco alla Race for the Cure. Tutti improvvisamente interessati alla causa del cancro al seno e tutti pronti a sostenere Komen e i suoi sponsor. Tutti, incluso Ignazio Marino, doppiamente colpevole in quanto medico. Tutti, tranne Sandro Medici. Questa settimana invece e` toccato a te. Non me l'aspettavo. Proprio tu, sempre cosi` attento alle questioni di genere, sempre pronto a sottolineare la violenza con cui le donne si ritrovano intrappolate in modelli normativi imposti loro dal mercato e dalla cultura patriarcale, sua ancella. Proprio tu hai partecipato e ti sei fatto fotografare alla corsa del Mocio Vileda rosa e del Perlana. Perche` se hai avuto il cancro al seno sei una donna e se sei donna non c'e` modo migliore per "sensibilizzarti" che venderti spazzolone e secchio per lavare i pavimenti e detersivo per il bucato. Rosa, ovviamente, Il colore del cancro al seno. Un colore rassicurante, che vende, come fa vendere la nostra malattia. E lo sanno bene gli sponsor della Race. E lo sa bene anche Komen. Sei stato complice del pinkwashing, caro Nichi Vendola. Hai fatto e ti sei fatto pubblicita` utilizzando strumentalmente il cancro al seno.
Nel 2005, quando sei stato eletto governatore della Puglia, sono tornata appositamente dall'Inghilterra per darti il mio voto. E cosi` ho fatto anche per le ultime regionali. Avessi saputo allora della tua partecipazione odierna alla carnevalata di Komen, avrei fatto diversamente. Me ne ricordero`.
venerdì 24 maggio 2013
We are changing the conversation
Chi legge questo blog ne ha letto la traduzione - fatta da me medesima - in anteprima. Da oggi, l'articolo di Peggy Orenstein pubblicato il 25 aprile sul New York Times Magazine e` in tutte le edicole italiane sul settimanale Internazionale. Dell'articolo della Orenstein, avevo parlato in un'intervista a Stefania Prandi, uscita su Donne di Fatto all'indomani della notizia della mastectomia di Angelina Jolie.
We are changing the conversation. Ci stiamo riappropriando del discorso sul cancro al seno. Non c'e` modo migliore di festeggiare il primo compleanno di questo blog. Grazie a tutt*!
mercoledì 22 maggio 2013
La nostra guerra buonista al cancro al seno - seconda parte
Eccovi la seconda e ultima parte degli stralci piu` importanti dell'articolo di Peggy Orenstein, uscito sul New York Times Magazine lo scorso 25 aprile. La prima parte la trovate qui. Il casino successo con Angelina Jolie rende il saggio della Orenstein ancora piu` interessante. Ne riparleremo.
"L’estate scorsa, nove mesi dopo la mammografia di routine, mentre stavo per
mettermi a letto chiacchierando con mio marito, le mie dita hanno sfiorato
qualcosa di piccolo e duro sotto la cicatrice sul seno sinistro. In un attimo,
ho attraversato di nuovo la membrana sottile che separa i sani dai malati.
Quest’ultimo tumore era piccolo e circoscritto come il primo. Difficilmente si
era diffuso. Naturalemente, pero`, andava rimosso. Dato che la quadrantectomia
dev’essere seguita da radioterapia e non si puo` irradiare la stessa parte due
volte, l’unica opzione era la mastectomia. Mi e` stato prescritto anche il
tamoxifene, per ridurre le probabilita` di metstasi dal 20 al 12%. Dovrei
sopravvivere, ma nessuno puo` garantirlo. Non mi sara` possibile sapere se sono
guarita finche` non moriro` di qualcos’altro, possibilmente tra molti anni,
mentre dormo stringendo la mano di mio marito, dopo una bella cena con i nipotini.
L’istinto questa volta mi diceva di togliere anche l’altro seno. Non volevo
che potesse succedere di nuovo. Il mio oncologo non era d’accordo, pero`. Il
tamoxifene avrebbe ridotto il rischio di recidiva rendendolo pari a quello di
una donna sana. Una donna sana si farebbe tagliare il seno? Potevo optare per
la chirurgia preventiva, aggiunse, ma si trattava di una questione psicologica
non medica.
Ho fatto le mie valutazioni man mano che la data dell’intervento si
avvicinava. Il rischio medio, d’altra parte, non e` zero. Potevo conviverci?
Una parte di me desiderava eliminare qualsiasi rischio. Ho una figlia di nove
anni. Farei qualsiasi cosa – ho bisogno di fare qualsiasi cosa – pur di non morire. Eppure se il problema e` la
morte, la minaccia piu` grossa non viene dall’altro seno ma dalla possibilita`
che, nonostante i trattamenti e la prognosi favorevole, il cancro che gia` ho
vada in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe potuto far nulla
contro cio`, ne` avrebbe potuto azzerare del tutto la probabilita` di una nuova
malattia, perche` una parte del tessuto rimane sempre. Potevo vivere cosi`? Una
parte di me voleva liberarsi di qualsiasi minaccia. Ho una figlia di nove anni
e farei qualsiasi cosa – ho bisogno di
fare qualsiasi cosa – pur di evitare
di morire. Tuttavia, se il problema era la morte, il pericolo piu` grosso non
era l’altro seno ma che, nonostante le terapie e la prognosi favorevole, il
cancro fosse gia` andato in metastasi. La mastectomia preventiva non avrebbe
potuto evitarlo, ne` avrebbe potuto eliminare del tutto la possibilita` di un
nuovo tumore, perche` parte del tessuto rimane sempre.
Cosa significa “qualsiasi cosa”, comunque? Ci sono giorni in cui non metto
la protezione solare, non faccio attivita` fisica come dovrei, non ho smesso di
mangiare il Gouda stagionato nonostante i risultati delle mie ultime analisi
per il colesterolo, non assumo abbastanza calcio e, si, casa mia e` a sei
isolati da una faglia. Vivere con una certa percentuale di avere il cancro al
seno e` davvero cosi` diverso? Decisi di seguire il consiglio del mio medico,
di fare solo cio` che era necessario.
Pensavo che il mio dilemma fosse poco comune e che derivasse dal fatto di
essere stata troppe volte dal lato sbagliato delle statistiche. Sembra tuttavia
che centinaia di donne ora considerino la doppia mastectomia a seguito di
carcinomi poco aggressivi. Secondo Todd Tuttle, capo della divisione di
chirurgia oncologica e primo autore di uno studio sulla mastectomia
profilattica pubblicato su The Journal of Clinical Oncology, si e` verificato
un aumento del 188% tra il 1998e il 2005 tra le donne a cui e` stato
diagnosticato un carcinoma in situ in un seno – un fattore di rischio per il
cancro – che hanno deciso di farseli asportare entrambi. Tra le donne con
carcinoma duttale allo stadio iniziale (come il mio), l’aumento e` stato del
150%. Molte di queste donne non hanno una predisposizione genetica al cancro.
Tuttle avanzava l’ipotesi che stessero decidendo sulla base non di quanto
consigliato loro dai medici ma su una percezione esagerata del rischio di avere
il cancro all’altro seno. Le donne intervistate per un altro studio credevano
che il rischio fosse del 30% nell’arco di dieci anni, mentre era solo del 5.
Non e` stato molto tempo fa che le donne si sono battute per conservare il
seno dopo il cancro, facendo pressioni sui chirurghi perche` sostituissero le
mastectomie radicali con l’egualmente efficace nodulectomia accompagnata da
radioterapia. Perche` le cose sono cambiate? Ci penavo mentre curiosavo tra le
“Storie di Speranza” sul sito dell’American Cancer Society. Mi sono imbattuta
in una bella donna con una T-shirt rosa addosso, sorridente mentre stringe in
mano un cupcake glassato decorato con una candelina rosa. Parlando in prima
persona, diceva che aveva cominciato i controlli verso i 35 anni perche`
affetta da mastopatia fibrocistica. A 41 anni, le era stato diagnosticato un
carcinoma in situ trattato con nodulectomia e radioterapia. “Mi sento fortunata
ad averlo preso in tempo”, diceva, pur aggiungendo di essere uscita
emotivamente devastata da quell’esperienza. Ha continuato i controlli e si e`
sottoposta a interventi multipli per rimuovere cisti benigne. Quando ha saputo
di avere il cancro al seno di nuovo, era al suo quinto intervento Ha deciso di
rimuovere il seno completamente, una decisione che considerava logica e di
preventiva.
Mi sono ritrovata a pensare a una spiegazione alternativa per il caso di
questa donna. La mastopatia fibrocistica non lascia presagire il cancro,
sebbene distinguere tra un nodulo benigno e uno maligno possa essere difficile,
facendo aumentare potenzialmente il numero di biopsie inutili. Avendo iniziato
i controlli a 30 anni questa donna e` stata esposta a un eccesso di radiazioni,
una delle poche cause note del cancro al seno. Il suo carcinoma in situ,
condizione diagnosticabile quasi esclusivamente attraverso la mammografia,
difficilmente avrebbe messo a rischio la sua vita, eppure l’ha trasformata in
una sopravvissuta al cancro al seno, con tanto di operazione e settimane di
radioterapia. Alla seconda diagnosi, era cosi` sconvolta che si e` fatta
amputare entrambi i seni per ristabilire il controllo della situazione. Questa
donna va salutata come una sopravvissuta o additata come un ammonimento? La
consapevolezza le ha conferito potere decisionale o ne ha fatto una vittima? La
paura del cancro e` legittima: il modo in cui gestiamo quella paura, mi sono
resa conto – come rispondiamo ad essa, che emozioni proviamo – puo` essere
manipolato, impacchettato, commercializzato e venduto, talvolta proprio da chi
sostiene di stare dalla nostra parte. Da chi puo` influenzare qualsiasi cosa,
dalla nostra percezione dello screening, alla nostra valutazione del rischio
personale alla scelta dei trattamenti. “Si puo` attribuire l’aumento delle
mastectomie a una migliore conoscenza della genetica o al miglioramento delle
tecniche di ricostruzione” dice Tuttle, “cose che ci sono anche in Europa dove
pero` non c’e` questa mania della mastectomia. C’e` cosi` tanta consapevolezza
negli Stati Uniti che l’ho ribattezzata sovra-consapevolezza sul cancro al
seno. E` dovunque. I camion della spazzatura sono rosa. Le donne sono
terrorizzate”
“Circa 40.000 donne e 400 uomini muoiono ogni anno di cancro al seno” dice
Lynn Erdman, vice presidente della sezione di salute pubblica di Komen. “Finche`
questi numeri non spariranno, non ci sara` abbastanza rosa”.
Ero seduta nella sala conferenze del quartier generale di Susan G. Komen,
vicino al centro commerciale Galleria a Dallas. Komen non e` la piu` grande
associazione benefica per il cancro, titolo che spetta all’American Cancer
Society, ma e` comunque la piu` grande organizzazione a occuparsi di cancro al
seno. E sebbene l’anno scorso l’immagina di Komen sia stata appannata dal
tentativo di tagliare i finanziamenti per lo screening a Planned Parenthood, il
suo nome rimane virtualmente sinonimo di lotta al cancro al seno. Con le sue
dozzine di corse per “cura” e circa 200 sponsor, e` l’associazione che forse
piu` di tutte e` riuscita a fare di una malattia un marchio. Il suo marketing
martellante ha reso il nastro rosa uno dei logo dei nostri tempi. Il nastro
simboleggia sia la paura della malattia che la speranza di poterla sconfiggere.
E` un simbolo di coraggio per chi e` malato e un’espressione di solidarieta` da
parte di coloro a cui la questione sta a cuore. E` una promessa di progresso
continuo verso una cura attraverso donazioni, corse, volontariato. Fa
comunita`. Offre alle compagnie un modo apparentemente infallibile to mostrare
buona volonta` verso le donne, anche sebbene, attraverso una pratica definita
dai critici “pinkwashing”, i loro prodotti siano legati alla malattia o ad
altre minacce alla salute pubblica. Far indossare alle squadre di calcio scarpe
colorate di rosa, ad esempio, puo` controbilanciare la pressione che la Lega
Calcio Americana deve gestire per le accuse di stupro e violenza domestica
rivolte ad alcuni giocatori. Le donazioni della Chevron agli affiliati di Komen
in California aiuta a nascondere quello che il locale Dipartimento di Relazioni
Industriali ha definito “consapevole violazioni” della sicurezza che hanno
portato al grosso incendio di una raffineria in un quartiere della Bay Area l’anno
scorso.
Piu` di qualsiasi altra cosa, tuttavia, il nastro ci ricorda che tutte noi
siamo a rischio e che la migliore protezione e` lo screening annuale.
Nonostante il marchio di fabbrica di Komen sia “per la cura”, solo il 16% dei
472 milioni di dollari raccolti nel 2011, l’ultimo anno per cui sono disponibili
i bilanci, e` stato devoluto alla ricerca. 75 milioni di dollari sono abbastanza
per credere che dare credito alla rivendicazione che Komen ha avuto un ruolo in
tutte le principali scoperte sul cancro al seno negli ultimi 29 anni. Questa
cifra, tuttavia, e` niente in confronto ai 231 milioni che la fondazione spende
per educazione e screening.
Sebbene adesso Komen renda conto del
dibattito sullo screening sul suo sito web, la fondazione e` stata piu` volte
accusata di esagerare i benefici della mammografia e sminuirne i rischi. Steve
Woloshin, un collega di Welch al Darmouth Institute for Health Policy and
Clinical Practice e co-autore di un articolo pubblicato nella sezione Not so
Stories sul British Medical Journal, ha puntato il dito contro una recente
cartellone pubblicitario di Komen dove si legge “Le probabilita` di
sopravvivenza a cinque anni al cancro al seno con la diagnosi precoce sono del
98%. E senza? Scendono al 23%”. Woloshin definisce quest’affermazione
volutamente ingannevole. Le cifre sono corrette ma la sopravvivenza a cinque
anni e` un parametro fuorviante distorto dallo stesso screening. La mammografia
individua molti tumori che non necessitano di alcun trattamento e che sono, per
definizione, guaribili. Nel frattempo, alcune donne colpite dalla malattia in
maniera letale sembrano vivere piu` a
lungo perche` il tumore e` stato diagnosticato prima, ma in realta`, ad
allungarsi e` solo la consapevolezza di essere malate. “Immaginiamo un gruppo
di 100 donne che riceve una diagnosi di cancro al seno perche` ha sentito un
nodulo al seno a 67 e a 70 sono tutte morte. In questo caso la sopravvivenza a
5 anni e` dello 0%. Ora immaginiamo che lo stesso gruppo di donne venissero
sottoposte a controlli e ricevessero la diagnosi a 64 anni, con 3 anni di
anticipo, ma che i trattamenti non funzionassero e morissero comunque a 70
anni. La sopravvivenza a 5 anni in questo secondo caso e` del 100%, anche se
nessuna di loro e` vissuta un secondo di piu` delle altre.
Quando a gennaio ho chiesto a Chandini Portteus,
vicepresidente della sezione di ricerca, valutazione e programmi scientifici di
Komen, perche` la fondazione continuasse a usare quelle statistiche, la sua
risposta e` stata molto evasiva: “Komen non aveva intenzione di fornire dati
fuorvianti. Sappiamo che la mammografia non e` perfetta, ma sappiamo anche che
e` cio` che abbiamo a disposizione e che e` importante per diagnosticare il
cancro al seno” (I dati sono stati successivamente rimossi dal sito).
Nel suo libro Pink Ribbons Inc., la sociologa Gayle Sulik, fondatrice del Breat
Cancer Consortium, ha riconosciuto a Komen il merito di aver reso la malattia
conosciuta, incoraggiando le donne a parlarne e trasformandole da “vittime” in “sopravvissute”.
Komen, dice Sulik, ha distribuito piu` di un milioni di dollari alla ricerca e
progetti di supporto. Allo stesso tempo, la funzione della cultura del nastro
rosa – e di Komen in particolare – e` diventata piu` l’auto-perpetuazione della
malattia piuttosto che il suo eradicamento: mantenere alta la visibilita` della
malattia e continuare a raccogliere fondi. “Bisogna guardare gli obiettivi di
ogni programma” – dice la Sulik – “Se l’obiettivo e` eradicare il cancro al
seno, quanto siamo vicini? Non siamo vicini affatto. Se l’obiettivo e` la
consapevolezza, che cosa ci fa essere consapevoli? Che il cancro al seno
esiste? Che e` importante? Il concetto di “consapevolezza” e` stato esteso al
punto da diventare un mero sinonimo di “visibilita`”. Ed e` qui che il
movimento contro il cancro al seno ha sbagliato. E` qui che ha perso l’occasione
di andare avanti”.
Prima del nastro rosa la consapevolezza
fine a se stessa non era l’obiettivo predefinito delle campagne riguardanti la
salute. Oggi e` difficile trovare una malattia senza un logo, un ornamento da
indossare, una lista di prodotti abbinati tra loro. Le malattie cardiache hanno
il loro vestito rosso, il cancro al testicolo il suo braccialetto giallo.
Durante “Movember”, una parola composta da “moustache” [baffi] e “November”
[novembre], gli uomini sono incitati a farsi crescere la barba perche` si
sparga la voce e la consapevolezza sul cancro alla prostata (un’altra malattia
per la quale la diagnosi precoce ha portato al sovratrattamento) e sul cancro
ai testicoli. “Queste campagne sono accomunate dalla stessa superficialita` per
quanto riguarda la responsivita` richiesta al pubblico”, dice Samantha King,
professore associato di chinesiologia e salute all’Universita` dell’Ontario e
autrice di Pink Ribbons Inc.. Sono
completamente slegate da qualsiasi critica alle politiche sanitarie e alla
ricerca biomedica. Rinforzano un modello monotematico e competitivo di raccolta
dei fondi. E dissimulano le malattie: veniamo resi “consapevoli” di una
malattia e allo stesso tempo completamente separati dalla realta` difficile e
spesso devastante di chi ne e` affetto”.
[...]
Invece di assicurare che “le mammografie
salvano vite”, le associazioni potrebbero utilizzare slogan piu` realistici per
le loro campagne. Secondo il ricercatore Gilbert Welch, “La mammografia ha sia
benefici che costi – per questo e` una decisione personale”. Era questo il messaggio
della task force, messa da parte per questioni politiche nel 2009: l’evidenza
scientifica indica che ha senso fare la mammografia ogni anno tra i 50 e i 74
anni d’eta`. Chi non rientra in questo gruppo e vuole fare la mammografia, deve
essere informata del rovescio della medaglia.
Le donne sono oggi tutte consapevoli del
cancro al seno. Qual e` il prossimo passo allora? Per eradicare la malattia (o
almeno ridurne l’incidenza e la devastazione) c’e` probabilmente bisogno non
tanto di raccogliere fondi quanto di distriburgli meglio. Quando ho chiesto a
scienziati e sostenitori, come spendere diversamente almeno parte dei fondi
raccolti con le campagne di consapevolezza, le loro risposte sono state ampie e
variegate. Molti hanno sottolineato quanto magri siano i fondi destinati al
lavoro sulla prevenzione. A febbraio, per esempio, un comitato di sostenitori,
scienziati e funzionari di governo ha chiesto di aumentare la quantita` di
risorse destinate a studiare le cause ambientali del cancro al seno. Hanno dato
al termine un significato molto ampio in modo da includere comportamenti come
il consumo di alcool, esposizione a sostanze nocive, radiazioni, disparita`
socio-economiche.
Altri scienziati guardano con entusiasmo
alla possibilita` di combattere o prevenire la malattia modificando il “microambiente”
del seno – il tessuto che circonda il tumore che puo` stimolarne o bloccarne la
crescita. Susan Love ha fatto il paragone con il modo in cui vivere in un
quartiere bene o malfamato possa influenzare il destino di un bambino
potenzialmente delinquente. “Potrebbe essere”, mi ha detto, “che cambiando il “quartiere”,
quello che sta intorno, che sia il sistema immunitario o il tessuto, possiamo
controllare o uccidere le cellule cancerose. Fare la terapia sostitutiva
durante la menopausa potrebbe essere stato l’equivalente biologico del
permettere agli spacciatori di colonizzare gli angoli delle strade. D’altra
parte, un vaccino, l’obiettivo attuale di alcuni scienziati e sostenitori,
potrebbe essere come impiegare piu` poliziotti di quartiere.
Quasi tutti concordano nel sostenere che c’e`
ancora molto lavoro da fare da entrambe le parti dello spettro diagnostico:
distinguere quali lesioni in situ si trasformeranno in carcinomi infiltranti
cosi` come comprendere il meccanismo delle metastasi. Secondo l’anaisi della
rivista Fortune, solo il 5% dei finanziamente del National Cancer Institute a
partire dal 1972 sono andati a ricerche sulle metastasi. Dei 2 miliardi e 200
milioni di dollari raccolti negli ultimi sei anni, Komen ha destinato solo 79
milioni a questo tipo di ricerche – parecchio denaro, non c’e` dubbio, ma un
mero 3.6% di quanto raccolto in quel periodo.
“Molta gente pensa che il lavoro sulle metastasi
sia uno spreco di tempo”, dice Danny Welch, capo del dipartimento di biologia
del Cancer Center dell’Universita` del Kansas, “perche` bisogna prima di tutto
prevenire il cancro. Il problema e` che non sappiamo ancora cosa lo causa.
Preferirei anch’io prevenirlo del tutto, ma detto in soldoni, un atteggiamento
del genere equivale a buttare sotto un treno un mucchio di persone”.
108 donne americane muoiono di cancro al
seno ogni giorno. Alcune possono vivere anche un decennio o piu` con le
metastasi, ma la sopravvivenza media e` 26 mesi. Un pomeriggio ho parlato con
Ann Silberman, autrice del blog “Breast Cancer? But Doctor...I Hate Pink”.
Silberman ha cominciato a scrivere nel 2009, all’eta` di 51 anni, dopo aver
trovato un nodulo nel seno che e` risultato poi essere cancro al secondo
stadio, che le dava – cosi` le venne detto – il 70% di probabilita` di
sopravvivenza. All’epoca era segretaria in una scuola a Sacramento, felicemente
sposata e madre di due ragazzi, di 12 e 22 anni. Nei due anni successivi, e`
stata operata, ha fatto sei cicli di chemioterapia, e` stata trattata con un
terzetto di farmaci incluso l’Herceptin e pensava di aver risolto.
Quattro mesi dopo, un mal di schiena e un
rigonfiamento addominale la spinsero ad andare dal medico. Il cancro si era
diffuso al fegato. Perche` le terapie non hanno funzionato? Nessuno lo sa. “A
questo punto sai che morirai e che sara` nei prossimi cinque anni”, mi ha
detto. Il suo obiettivo e` vedere suo figlio piu` piccolo finire le superiori a
giugno.
Non e` facile rapportarsi a qualcuno con
le metastasi, soprattutto se si e` avuto il cancro. Quello che e` successo alla
Silberman e` la mia piu` grande paura; la notte dopo la nostra chiacchierata,
sono stata perseguitata dall’incubo che il cancro tornasse. Probabilmente per
questo motivo, le pazienti metastatiche sono assenti dalle campagne del nastro
rosa e raramente vengono invitate a parlare durante eventi di raccolta fondi o alle
corse. Lo scorso ottobre, per la prima volta, una donna con cancro al quarto
stadio figurava nella pubblicita` di Komen, ma le sue parole enfatizzavano
cautamente il lato positivo: “Sebbene oggi, il tumore sia arrivato a ossa,
fegato e polmoni, Bridget continua ancora a sperare” (Bridget e` morta all’inizio
di questo mese).
“Tutto quelle parole sulla consapevolezza
non ci riguardano”, dice Silberman. “Riguardano la sopravvivenza, noi non
sopravviveremo. Staremo male. Perderemo parte del nostro fegato. Verremo
attaccate all’ossigeno. Moriremo. Non e` bello e non da speranza. La gente
vuole credere nella “cura” e vuole credere che la cura sia la diagnosi precoce.
Ma sai cosa? Non e` vero”.
Il progresso scientifico e` irregolare,
imprevedibile. “Brancoliamo tutti nel buio”, dice Peter B. Bach, direttore del
Centro per le Politiche Sanitarie del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. “Quello
che posso dire e` che qualcosa dara` i suoi frutti”. Ci sono alcune terapie,
come il tamoxifene o l’Herceptin, mirate a specifiche caratteristiche del
tumore, e nuovi test in grado di fare una stima delle probabilita` di ricaduta
nei tumori estrogeno-dipendenti, consentendo alle donne con un rischio basso di
evitare la chemioterapia. “Non e` curare il cancro”, dice Bach “ma sono passi
in avanti. E si, sono lenti”.
L’idea che possa esserci un’unica
soluzione per il cancro al seno – screening, diagnosi precoce, una cura
universale – e` allettante. Tutti noi – chi ha paura della malattia, chi ci
convive, i nostri amici, le nostre famiglie, le compagnie che si avvolgono nel
rosa – vorremmo che fosse vero. Indossare un bracciale, un nastro, partecipare
a una corsa, comprare un frullatore rosa esprime le nostre speranze e ci fa sentire
buoni, persino virtuosi, ma fare la differenza e` molto piu` complicato di
cosi`.
Sono passati 40 anni da quando l’ex first
lady Betty Ford ha parlato pubblicamente del suo cancro al seno, infrangendo lo
stigma sulla malattia. Sono passati 30 anni dalla fondazione di Komen. 20 anni
dall’introduzione del nastro rosa. Eppure tutta questa consapevolezza, ha
finito col rendere le donne meno
consapevoli della realta` dei fatti, ha oscurato i limiti dello screening,
confuso rischio con malattia, compromesso le decisioni sulla nostra salute,
celebrato “sopravvissute” che non avrebbero mai necessitato di alcun
trattamento. Tutto questo a spese di coloro le cui vite sono piu` a rischio."
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Peggy Orenstein
lunedì 20 maggio 2013
Candidati sindaco e angeli del focolare
Non mancava nessuno alla Race for the Cure di Roma lo scorso weekend. La manifestazione ha offerto occasione di marketing per prodotti, ma anche per candidati sindaco.
C'era Clio Napolitano - ricordiamo che la Race si svolge sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica - che ha fatto da madrina per l'inaugurazione. C'era Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, c'era il senatore PD Corradino Mineo, c'era il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, c'erano i candidati sindaco Alfio Marchini e Ignazio Marino.
Eh si, perche` a Roma a fine mese si vota per eleggere il sindaco. E si poteva mai perdere questa ghiotta occasione per fare campagna elettorale? E che fa se la Race For the Cure e` una manifestazione assolutamente deprecabile di cui soprattutto il medico, senatore e membro della Commissione Sanita` del Senato Ignazio Marino conosce bene i risvolti. Si, lui, Marino, che si vanta di aver lavorato negli Stati Uniti, dovrebbe sapere bene cos'e` Komen. Eppure, la comparsata alla Race con tanto di fotografie non se la fa di certo scappare. Sono voti facili, deve aver pensato.
Lo start ufficiale alla corsa lo ha dato il ministro Lorenzin, che ha rilasciato una bella dichiarazione degna del miglior patriarcato:
"Io spero che questo governo possa fare molto per la salute delle donne. Sicuramente al centro della mia azione politica ci sarà la prevenzione: quando si cura una donna si cura una famiglia, e questo va tenuto in considerazione anche per la tenuta del servizio sanitario"
Quando si cura una donna si cura una famiglia. E certo, perche` cos'altro puo` essere una donna se non un angelo del focolare, dedita esclusivamente alla famiglia? Esiste forse o ha diritto di esistere una donna al di fuori della famiglia? No! E se una famiglia non ce l'ha puo` anche crepare.
La dichiarazione del ministro rispecchia la realta` dei fatti, sia pure in maniera del tutto involontaria. Tra ospedali che chiudono e tagli alla sanita` e all'assistenza, la responsabilita` e l'onere di curare e assistere le donne con il cancro al seno ricade interamente sulle famiglie, l'unico welfare di cui dispone l'Italia.
martedì 14 maggio 2013
I medici (italiani e maschi) sono nudi
Questo post sara` telegrafico. Ho solo una domanda, una sola da fare a quei medici che stanno stigmatizzando la decisione di Angelina Jolie di ricorrere alla mastectomia preventiva perche` portatrice di una mutazione genetica che aumentava le sue probabilita` di sviluppare la malattia.
Se ci fosse una cura, ma una cura vera per il cancro al seno, di quelle a cui ti sottoponi e puoi stare certa di guarire, questa donna avrebbe fatto quello che ha fatto? Sicuramente no!
E allora forse e` questo che vi rode, che il gesto di questa donna fa venire allo scoperto il fatto che del cancro al seno non sapete quasi nulla, che di cancro al seno si continua a morire e che le donne hanno paura. Il re e` nudo. I medici (italiani e maschi) sono nudi. Grazie, Angelina.
sabato 11 maggio 2013
Barbara Brenner
Barbara Brenner, 1951-2013
"Il cancro non aspettera` mentre noi ci affliggiamo. Abbiamo lavoro da fare"
http://bcaction.org/2013/05/11/in-memoriam-barbara-a-brenner-1951-2013/
mercoledì 8 maggio 2013
Aspettando i barbari
Roma sta per essere invasa. No, non e` uno scherzo. Roma e` sotto attacco. Nelle prossime settimane la citta` ospitera`, suo malgrado, ben due avvenimenti terrificanti. Si comincera` il 12 maggio con la Marcia per la Vita, per poi proseguire tra il 17 e il maggio con la Race for the Cure. Due manifestazioni, la marcia e la corsa, sulla pelle delle donne.
Sulla Marcia dei marci fondamentalisti cattolici alfieri del piu` becero patriarcato ha scritto ieri il collettivo Le Ribellule, sottolineando come quest'anno persino la data scelta non poteva essere meno appropriata: il 12 maggio e` infatti l'anniversario dell'omicidio di Giorgiana Masi, la diciannovenne uccisa da un poliziotto durante un corteo che celebrava il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. Non e` un caso che sia stata scelta proprio quella data. Ai marciatori le donne morte piacciono. Non si spiegherebbe altrimenti perche` protestino contro la legge sull'aborto che consente di effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza (almeno in teoria, visto che in pratica sta diventando quasi impossibile grazie agli obiettori di [in]coscienza) al sicuro in ospedale. Vogliono che si torni al ferro da calza e al prezzemolo, agli avvelenamenti e alle setticemie. Giorgiana con un proiettile, noi, oggi, di aborto clandestino non fa differenza: questi ci vogliono morte.
Cinque giorni dopo la Marcia per la Morte, si apre, il 17 maggio, il weekend della Race for the Cure, il circo equestre del cancro al seno organizzato da Susan G. Komen in collaborazione con Perlana e MSD Italia, casa farmaceutica del gruppo Merck che produce il Gardasil, il controverso vaccino per il virus HPV che dovrebbe proteggere contro il cancro al collo dell'utero. MSD Italia, e` stato annunciato, offrira` alle partecipanti alla Race for the Cure un check up completo. Uno pensa, faranno eco e mammografie, visite senologiche. E invece no! Saranno presenti, per conto di MSD Italia, "consulenti dermocosmetici qualificati [che] effettueranno una valutazione inerente lo stile di vita, le eventuali imperfezioni cutanee e le abitudini cosmetiche dalla protezione all’idratazione e alla detersione". Sotto con la visita dermocosmetica e l'acquisto del prodotto specifico per mandare via i brufoli, i peli "superflui", quelle cosi` antiestetiche macchie cutanee. Cosi` possiamo diventare tutte belle gnoccone come Maria Grazia Cucinotta, madrina della Race For the Cure [Rosanna Banfi l'hanno fatta co-madrina solo perche` ha avuto il cancro, senno` manco per l'anticamera del cervello!]
Insomma, nel giro di pochi giorni Roma sara` sotto attacco. Sotto attacco degli speculatori e dei fondamentalisti. Sotto attacco e`, pero`, soprattutto, ancora una volta, la salute delle donne. Non un diritto, ma ancora tristemente un campo di battaglia. E noi non ci faremo certo pregare. Nell'uno e nell'altro caso, daremo battaglia. Fino alla fine.
Sulla Marcia dei marci fondamentalisti cattolici alfieri del piu` becero patriarcato ha scritto ieri il collettivo Le Ribellule, sottolineando come quest'anno persino la data scelta non poteva essere meno appropriata: il 12 maggio e` infatti l'anniversario dell'omicidio di Giorgiana Masi, la diciannovenne uccisa da un poliziotto durante un corteo che celebrava il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. Non e` un caso che sia stata scelta proprio quella data. Ai marciatori le donne morte piacciono. Non si spiegherebbe altrimenti perche` protestino contro la legge sull'aborto che consente di effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza (almeno in teoria, visto che in pratica sta diventando quasi impossibile grazie agli obiettori di [in]coscienza) al sicuro in ospedale. Vogliono che si torni al ferro da calza e al prezzemolo, agli avvelenamenti e alle setticemie. Giorgiana con un proiettile, noi, oggi, di aborto clandestino non fa differenza: questi ci vogliono morte.
Cinque giorni dopo la Marcia per la Morte, si apre, il 17 maggio, il weekend della Race for the Cure, il circo equestre del cancro al seno organizzato da Susan G. Komen in collaborazione con Perlana e MSD Italia, casa farmaceutica del gruppo Merck che produce il Gardasil, il controverso vaccino per il virus HPV che dovrebbe proteggere contro il cancro al collo dell'utero. MSD Italia, e` stato annunciato, offrira` alle partecipanti alla Race for the Cure un check up completo. Uno pensa, faranno eco e mammografie, visite senologiche. E invece no! Saranno presenti, per conto di MSD Italia, "consulenti dermocosmetici qualificati [che] effettueranno una valutazione inerente lo stile di vita, le eventuali imperfezioni cutanee e le abitudini cosmetiche dalla protezione all’idratazione e alla detersione". Sotto con la visita dermocosmetica e l'acquisto del prodotto specifico per mandare via i brufoli, i peli "superflui", quelle cosi` antiestetiche macchie cutanee. Cosi` possiamo diventare tutte belle gnoccone come Maria Grazia Cucinotta, madrina della Race For the Cure [Rosanna Banfi l'hanno fatta co-madrina solo perche` ha avuto il cancro, senno` manco per l'anticamera del cervello!]
Insomma, nel giro di pochi giorni Roma sara` sotto attacco. Sotto attacco degli speculatori e dei fondamentalisti. Sotto attacco e`, pero`, soprattutto, ancora una volta, la salute delle donne. Non un diritto, ma ancora tristemente un campo di battaglia. E noi non ci faremo certo pregare. Nell'uno e nell'altro caso, daremo battaglia. Fino alla fine.
sabato 4 maggio 2013
Perlana risponde
La mobilitazione dei giorni scorsi, sostenuta dal blog Un Altro Genere di Comunicazione, ha dato buoni risultati. I messaggi di protesta - anziche` di ringraziamento - contro la premiata ditta Perlana-Komen, specialista in speculazione sul dolore delle donne, sono stati numerosi. E come mi ha segnalato oggi Noemi Meneguzzo, Perlana ha persino diramato un comunicato via Facebook. Ottimo! Si vede che abbiamo centrato il bersaglio.
Vediamo cosa dice Perlana:
"Perlana ha deciso di sostenere l'associazione Susan G. Komen per incrementare la diffusione del messaggio dell’importanza della prevenzione del tumore del seno. L'iniziativa ha lo scopo esclusivo di coinvolgere ancora di più il pubblico femminile su questo tema di grandissima importanza. Il nostro aiuto a Susan G. Komen prescinde la vendita dei nostri prodotti e ha come unico obiettivo quello di favorire il passaparola sul tema grazie al prezioso supporto della nostra community".
Perlana dice il vero. Infatti, di solito per questo genere di iniziative viene chiaramente specificato che una parte - nella stragrande maggioranza dei casi infinitesimale - del ricavato delle vendite di un determinato prodotto verranno devolute all'organizzazione di turno - nel nostro caso Susan G. Komen, a favore della causa X, nel nostro caso una non meglio precisata e quantomai generica "lotta contro i tumori del seno". A quel punto i consumatori, in assoluta buona fede, cominciano ad acquistare il prodotto convinti di dare il proprio contributo ad una "giusta causa". Le vendite schizzano, i profitti pure ma l'ammontare di danaro devoluto per la "giusta causa" non aumenta proporzionalmente all'aumento dei ricavi. E la sproporzione e` enorme. Insomma, le aziende si servono della buona fede della gente, orientando le loro scelte di consumo a proprio vantaggio, guadagnano il doppio o il triplo di quello che guadagnerebbero normalmente e devolvono una miseria, se davvero poi lo fanno, all'associazione con cui hanno stipulato la partnership.
Perlana non fa nemmeno questo. Sul loro sito infatti, nella presentazione della campagna, si legge quanto segue:
" [Alle Race for the Cure di Roma e Bari, ndr] Saranno proprio i personaggi più noti del mondo dell’arte, della cultura, dello spettacolo e dello sport a cimentarsi per l’occasione con la moda DIY del momento, l’arte dello knitting, collaborando insieme alla realizzazione di un’opera collettiva autografata che andrà all’asta e il cui ricavato sarà devoluto alla Susan G.Komen Italia"
Quindi neanche un centesimo del ricavato delle vendite, incrementate dalla pubblicita` ottenuta attraverso la partnership con Komen, verra` donato. Tutto e` affidato a un'asta che si terra` non si sa come, non si sa dove e non si sa quando e che, soprattutto, non si sa quanto potra` fruttare.
Nel suo comunicato, inoltre, Perlana sostiene che "Perlana non contiene sostanze che, in base al Regolamento EU 1278 / 2008 (CLP) relativo alla classificazione ed etichettatura delle sostanze e delle miscele, risultino cancerogene di categoria 1A, 1B e 2". E` risaputo quanto sia difficile provare la cancerogenicita` e mutagenicita` di molte sostanze contenute in prodotti di uso comune. E` difficile perche` ci sono interessi forti dietro e per ricerche con questo obiettivo, chissa perche`, i soldi non ci sono quasi mai. Moltissime sostanze sono sospettate di essere correlate con il cancro ma non c'e` una prova definitiva. Si sa, pero`, ad esempio, che causano allergie, danni al sistema immunitario o al sistema nervoso.
Prendiamo per buono quello che dice Perlana e cioe` che le sostanze utilizzate nei suoi prodotti non siano correlate col cancro. Sul sito della Henkel, la multinazionale proprietaria di Perlana, sono disponibili gli ingredienti del Perlana Deo Fresh. Provate a inserire i nomi degli ingredienti nel database dell'Environmental Working Group che ha schedato piu` di 79.000 prodotti. Provate ad esempio a cercare il Methylisothiazolinone: provoca allergie ed e` neurotossico. Insomma non e` proprio salutare, nonostante, oltre al tradizionale "Passaparola!", lo slogan del Perlana e` "benessere da indossare".
Insomma, nel caso di Perlana, cosi` come di molti altri prodotti, si dovrebbe adottare il cosiddetto principio precauzionale: finche` non possiamo dire con certezza che non fa male, ne stiamo alla larga. E alla larga dovrebbe starne proprio Susan G. Komen che sostiene di battersi contro i "tumori del seno". Con tutto quello che ci si puo` inventare, e` proprio necessario farsi sponsorizzare dal Perlana o da qualsiasi altra industria chimica? Ma la storia di Komen la conosciamo. Ne abbiamo parlato tante volte. Negli Stati Uniti e` ormai nell'occhio del ciclone, non solo per il suo profumo cancerogeno ma anche per le sue politiche anti-abortiste. Sono in crisi negli Stati Uniti e cercano di colonizzare l'Europa, come spiega la sociologa Gayle Sulik, che studia la mercificazione del cancro al seno da anni. Sta a noi non abboccare. Per quanto mi riguarda, finche` avro` anche solo un fil di voce continuero` a parlare.
Vediamo cosa dice Perlana:
"Perlana ha deciso di sostenere l'associazione Susan G. Komen per incrementare la diffusione del messaggio dell’importanza della prevenzione del tumore del seno. L'iniziativa ha lo scopo esclusivo di coinvolgere ancora di più il pubblico femminile su questo tema di grandissima importanza. Il nostro aiuto a Susan G. Komen prescinde la vendita dei nostri prodotti e ha come unico obiettivo quello di favorire il passaparola sul tema grazie al prezioso supporto della nostra community".
Perlana dice il vero. Infatti, di solito per questo genere di iniziative viene chiaramente specificato che una parte - nella stragrande maggioranza dei casi infinitesimale - del ricavato delle vendite di un determinato prodotto verranno devolute all'organizzazione di turno - nel nostro caso Susan G. Komen, a favore della causa X, nel nostro caso una non meglio precisata e quantomai generica "lotta contro i tumori del seno". A quel punto i consumatori, in assoluta buona fede, cominciano ad acquistare il prodotto convinti di dare il proprio contributo ad una "giusta causa". Le vendite schizzano, i profitti pure ma l'ammontare di danaro devoluto per la "giusta causa" non aumenta proporzionalmente all'aumento dei ricavi. E la sproporzione e` enorme. Insomma, le aziende si servono della buona fede della gente, orientando le loro scelte di consumo a proprio vantaggio, guadagnano il doppio o il triplo di quello che guadagnerebbero normalmente e devolvono una miseria, se davvero poi lo fanno, all'associazione con cui hanno stipulato la partnership.
Perlana non fa nemmeno questo. Sul loro sito infatti, nella presentazione della campagna, si legge quanto segue:
" [Alle Race for the Cure di Roma e Bari, ndr] Saranno proprio i personaggi più noti del mondo dell’arte, della cultura, dello spettacolo e dello sport a cimentarsi per l’occasione con la moda DIY del momento, l’arte dello knitting, collaborando insieme alla realizzazione di un’opera collettiva autografata che andrà all’asta e il cui ricavato sarà devoluto alla Susan G.Komen Italia"
Quindi neanche un centesimo del ricavato delle vendite, incrementate dalla pubblicita` ottenuta attraverso la partnership con Komen, verra` donato. Tutto e` affidato a un'asta che si terra` non si sa come, non si sa dove e non si sa quando e che, soprattutto, non si sa quanto potra` fruttare.
Nel suo comunicato, inoltre, Perlana sostiene che "Perlana non contiene sostanze che, in base al Regolamento EU 1278 / 2008 (CLP) relativo alla classificazione ed etichettatura delle sostanze e delle miscele, risultino cancerogene di categoria 1A, 1B e 2". E` risaputo quanto sia difficile provare la cancerogenicita` e mutagenicita` di molte sostanze contenute in prodotti di uso comune. E` difficile perche` ci sono interessi forti dietro e per ricerche con questo obiettivo, chissa perche`, i soldi non ci sono quasi mai. Moltissime sostanze sono sospettate di essere correlate con il cancro ma non c'e` una prova definitiva. Si sa, pero`, ad esempio, che causano allergie, danni al sistema immunitario o al sistema nervoso.
Prendiamo per buono quello che dice Perlana e cioe` che le sostanze utilizzate nei suoi prodotti non siano correlate col cancro. Sul sito della Henkel, la multinazionale proprietaria di Perlana, sono disponibili gli ingredienti del Perlana Deo Fresh. Provate a inserire i nomi degli ingredienti nel database dell'Environmental Working Group che ha schedato piu` di 79.000 prodotti. Provate ad esempio a cercare il Methylisothiazolinone: provoca allergie ed e` neurotossico. Insomma non e` proprio salutare, nonostante, oltre al tradizionale "Passaparola!", lo slogan del Perlana e` "benessere da indossare".
Insomma, nel caso di Perlana, cosi` come di molti altri prodotti, si dovrebbe adottare il cosiddetto principio precauzionale: finche` non possiamo dire con certezza che non fa male, ne stiamo alla larga. E alla larga dovrebbe starne proprio Susan G. Komen che sostiene di battersi contro i "tumori del seno". Con tutto quello che ci si puo` inventare, e` proprio necessario farsi sponsorizzare dal Perlana o da qualsiasi altra industria chimica? Ma la storia di Komen la conosciamo. Ne abbiamo parlato tante volte. Negli Stati Uniti e` ormai nell'occhio del ciclone, non solo per il suo profumo cancerogeno ma anche per le sue politiche anti-abortiste. Sono in crisi negli Stati Uniti e cercano di colonizzare l'Europa, come spiega la sociologa Gayle Sulik, che studia la mercificazione del cancro al seno da anni. Sta a noi non abboccare. Per quanto mi riguarda, finche` avro` anche solo un fil di voce continuero` a parlare.
giovedì 2 maggio 2013
Perlana sciacqua il cancro al seno. Passaparola!
Anni e anni di studi, dibattiti e polemiche per dimostrare che la merda, si` la merda, contenuta nei detersivi e` cancerogena buttati a mare! Da chi? E da chi se non da Susan G. Komen, la multinazionale del cancro al seno? L'anno scorso vendevano il Mocio Vileda. Quest'anno e` il turno del detersivo Perlana!
Gia` il titolo della campagna pubblicitaria e` tutto un programma "Cinquanta sfumature di rosa per la Susan G. Komen Italia". Come fanno giustamente notare dal blog Un Altro Genere di Comunicazione, hanno ripreso il titolo di un romanzo rosa per una campagna che dovrebbe essere contro il cancro al seno. E oltre al rosa, non puo` certo mancare la bonta`. Quella dei VIP che parteciperanno alle Race for the Cure di Roma e Bari e saranno presenti allo stand di Perlana.
C'e` il rosa, c'e` la bonta`, ci sono i VIP, c'e` il cancro ma a sconfiggerlo ci pensa Perlana. E allora acquistatelo numerose. Dieci, venti confezioni per la causa. Aggiungetelo ad ogni bucato in modo che la merda che contiene vi si appiccichi addosso attraverso i vestiti e alimenti l'industria del cancro con sempre nuovi casi. E state ben attaccate alle vostre lavatrici, che` siete donne e il vostro posto e` in cucina o a lavare i panni. Anche se stale male, perche` in realta` non state male. E` tutta una grande festa. Il cancro e` una festa. E` bello. E` buono. E` rosa.
Facciamo sentire il nostro sdegno a Perlana. Facciamo loro capire che non siamo consumatrici passive, pronte a bersi qualsiasi stronzata e mettere mano al portafogli per far fare soldi a loro persino sulla nostra stesse pelle. Sulla pelle delle nostre sorelle, delle nostre amiche, delle nostre nipoti, delle vostre figlie. Le mie no...Il cancro l'ho avuto a 30 anni e figlie non potro` averne.
Cliccate su questo link. Cliccate di nuovo, in fondo alla pagina che si aprira`, su "Segui l'iniziativa su Facebook" e poi su "Aggiungi il tuo messaggio". Mettete il cursore all'interno del box rosa e fate sentire la vostra voce. Perche` capite, questi si sono inventati anche l'App su Facebook in modo che possiamo far loro da cheerleader...E allora fottiamoli, con i mezzi che loro stessi ci mettono a disposizione. Zitte mai!
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